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La Consulta salva le norme di riorganizzazione delle Camere di commercio

Il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni sulla formazione delle norme è stato rispettato

di Amedeo Di Filippo

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale delle norme di riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, sollevate dal Tar Lazio a causa della mancata intesa tra Stato e Regioni. Lo ha disposto la Corte costituzionale con la sentenza n. 169/2020.

L'oggetto
Il Tar Lazio ha sollevato diverse questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 10 della legge delega 124/2015 e dell'articolo 3 del Dlgs 219/2016 di riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio che, in violazione del principio di leale collaborazione, non avrebbero promosso un adeguato coinvolgimento delle Regioni in quanto hanno previsto un mero parere e non l'intesa.
La tesi non è stata però avallata dalla Consulta, secondo cui non è venuto meno, in tutto il procedimento che ha portato alla riforma del sistema delle camere di commercio, il confronto del governo con le autonomie territoriali. Un risultato a cui ha contribuito la sentenza 261/2017, con cui la Corte stessa ha imposto l'adozione del decreto ministeriale attuativo non previo parere bensì previa intesa in conferenza Stato-Regioni.

La collaborazione
Secondo i giudici costituzionali, il principio di leale collaborazione si impone anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale è rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal governo sulla base dell'articolo 76 della Costituzione. Tuttavia, nel seguire le cadenze temporali entro cui esercita la delega, il governo può fare ricorso a tutti gli strumenti che reputa, di volta in volta, idonei al raggiungimento dell'obiettivo finale. Questo comporta che il coinvolgimento regionale non deve rispondere a rigidi automatismi ma abbraccia un orizzonte ampio, offerto dall'intero procedimento innescato dal legislatore delegante, da valutarsi alla luce dei meccanismi di raccordo complessivamente predisposti dallo Stato.
Particolarmente rilevante è stata l'attivazione delle procedure per addivenire a un'intesa sul Dm di attuazione, che è stato ritirato e sostituito con un altro su cui il governo ha tentato di raggiungere un accordo con le Regioni, ma di fronte a reiterate interlocuzioni il Consiglio dei ministri ha deliberato di superare l'impasse autorizzando il ministero dello Sviluppo economico ad adottare il decreto.

L'intesa
Nemmeno rileva la mancata intesa sul testo del Dm, in quanto strumento che non pone un obbligo di risultati ma solo di mezzi: se da un lato il superamento del dissenso deve essere reso possibile, anche col prevalere della volontà di uno dei soggetti coinvolti, per evitare che l'inerzia di una delle parti determini un blocco procedimentale, impedendo ogni deliberazione, dall'altro il principio di leale collaborazione non consente che l'assunzione unilaterale dell'atto sia mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa entro un determinato periodo di tempo o dell'urgenza del provvedere. Il principio esige che le procedure volte a raggiungere l'intesa siano configurate in modo tale da consentire l'adeguato sviluppo delle trattative al fine di superare le divergenze.

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