Personale

La «pausa caffè» senza timbratura è danno all'Erario

Indipendentemente dalle valutazioni e dalla qualificazione operata dall'Amministrazione ai fini disciplinari

di Pietro Alessio Palumbo

Il concetto di "alterazione" raggruppa tutti quei comportamenti che non permettono ai sistemi di rilevamento delle presenze quali essi siano - manuali o automatici, basati su una dichiarazione dell'interessato ovvero sul controllo da parte di terzi - di funzionare correttamente e di permettere all'amministrazione di acquisire una fedele rappresentazione dell'attività lavorativa dei propri dipendenti. A tal fine anche l'omessa timbratura della «pausa caffè» rientra in questa nozione. E ciò vale – ha evidenziato la Prima Sezione giurisdizionale centrale d'appello della Corte di conti (sentenza n. 163/2023) - anche laddove il dipendente abbia svolto la propria attività lavorativa con dedizione e impegno: tale condizione non può ritenersi giustificativa di un atteggiamento di consapevole scarsa osservanza degli adempimenti imposti dalla legge.

Nella vicenda gli impiegati avevano tutti richiamato la circostanza per la quale l'Amministrazione regionale da cui dipendevano, con delibera di giunta aveva espressamente consentito le cosiddette "pause caffè" purché contenute nei 15 minuti; escludendole dal computo delle assenze rilevanti ai fini disciplinari con una successiva decisione della Commissione disciplinare. Ma per il giudice contabile il giudizio erariale ha differenti finalità: è indipendente dalle valutazioni e dalla qualificazione operata dall'Amministrazione ai fini disciplinari; e soprattutto il giudizio erariale non incontra il limite del danno economicamente apprezzabile, non sussistendo un minimo al di sotto del quale non è esercitabile l'azione di responsabilità erariale.

Dal corredo probatorio prodotto dalla Procura regionale emergeva che nell'arco temporale considerato, i dipendenti coinvolti si erano effettivamente allontanati più volte dal luogo di lavoro senza "smarcare" le relative uscite. E tale circostanza peraltro non era stata contestata dai dipendenti i quali si erano limitati a fornire, sostanzialmente, le medesime giustificazioni, ossia che le assenze brevi (entro i 15 minuti) erano da ricondurre alle pause per il caffè, di fatto ammesse sulla base di taciti accordi con la dirigenza, e per le quali il sistema marcatempo non prevedeva alcun specifico codice. Inoltre le uscite o altri servizi all'esterno venivano registrate solo dopo alcuni giorni, con il rischio di imprecisioni sull'orario delle stesse, a causa della farraginosità della procedura autorizzatoria.

Tuttavia secondo il giudice contabile, le motivazioni addotte dagli impiegati interessati nella vicenda a giustificazione delle uscite in questione sono tutte inidonee a superare la contestazione di avvenuta violazione degli obblighi di diligenza e di rispetto dell'orario di lavoro, previsti dalla disciplina della contrattazione collettiva di comparto. Con ciò integrando la fattispecie di illecito per cui in tali occasioni il dipendente va condannato a risarcire l'ente per danno patrimoniale ed all'immagine per aver attestato falsamente lo svolgimento delle attività di servizio in cura.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©