Personale

Lavoro agile, soglia minima solo per teste

Il nuovo Dm fissa la regola del 50% ma non pone vincoli sul numero di giorni in smart working

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

L’acuirsi dell’emergenza epidemiologica, insieme al decreto Dadone firmato il 19 ottobre, rilanciano il tema del lavoro agile nella pubblica amministrazione. La regola del 50% come limite minimo dello smart working per le categorie di dipendenti impegnati in attività che lo consentono preoccupa non poco i dirigenti e i responsabili di servizio. La corsa all’adempimento è partita anche se il quadro normativo non cambia gran che rispetto al luglio scorso.

Il primo passo consiste nella mappatura delle attività «smartizzabili» oggetto di approvazione da parte dell’amministrazione. In pratica, ogni dirigente deve identificare quali processi siano compatibili con il lavoro agile. Non è un’operazione semplice, ma la stessa attività doveva essere già stata fatta, quantomeno in modo informale, nel marzo scorso in base all’articolo 87 del Dl 18/2020. Nella prima fase dell’emergenza tutti i dipendenti erano in smart working compatibilmente con la prestazione lavorativa. La tendenza attuale è quella di limitare i processi interessati al lavoro agile in quanto, se astrattamente il percorso può essere intrapreso, dal punto di vista pratico i risultati, sia in termini qualitativi che quantitativi, prestano il fianco a non poche criticità.

Solo limitando il numero di processi coinvolti si contiene il numero di dipendenti in lavoro agile. La nuova mappatura dovrà tener conto di quanto già posto in essere in primavera salvo motivare mutamenti organizzativi, senza peraltro poter considerare l’efficienza del modello adottato. Se l’amministrazione tarda nella mappatura dei processi, il dirigente deve comunque agire con «immediatezza» per identificare le attività e i dipendenti da collocare in lavoro agile.

Successivamente deve essere adottato una sorta di piano per lo smart working, un mini Pola, che preveda i criteri per identificare i dipendenti coinvolti e le modalità di rotazione tra di loro. Il decreto prevede di considerare anche le eventuali disponibilità dei lavoratori. Qualora le richieste, comprese le priorità di legge, superino il fabbisogno del 50%, non sarà necessario coinvolgere i rimanenti dipendenti. Il dato letterale non porta necessariamente ad affermare che il lavoratore debba rendere la prestazione in lavoro agile per il 50% del suo tempo. Infatti, sembra potersi coinvolgere la metà dei dipendenti dell’unità organizzativa prevedendo un solo giorno di smart-working ciascuno. Sicuramente, si tratta di una soluzione limite in quanto l’obiettivo è sempre quello di contenere i contatti e gli spostamenti.

A questo punto ci si rivolge alle organizzazioni sindacali. In assenza di una specifica regolamentazione del lavoro agile nei contratti collettivi, sia il decreto sia il protocollo firmato il 24 luglio dal ministro della Funzione Pubblica e dalle organizzazioni sindacali ritengono che debba essere attivato un tavolo di confronto. Ne consegue che si dovrà trasmettere alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale un’informativa che contenga quantomeno i processi che rientrano nel lavoro agile, il numero dei dipendenti coinvolti con la percentuale media in lavoro agile e i criteri che si intendono adottare per identificare quelli che svolgeranno la prestazione non in presenza.

La procedura del contratto nazionale solitamente prevede la possibilità di attivare il tavolo da parte dei sindacati entro cinque giorni, dando 30 giorni per cercare un accordo. In assenza, la parte datoriale procede in autonomia col rischio di arrivare a fine anno. Non sono comunque previste sanzioni per gli inadempienti.

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