Personale

Pa, dal 15 ottobre ritorno in ufficio con orari flessibili di entrata e uscita

Firmato il decreto che archivia le regole emergenziali per «supportare la ripresa»

di Gianni Trovati

Con la firma messa ieri dal presidente del Consiglio Draghi in calce al decreto di Palazzo Chigi diventa ufficiale il ritorno alla presenza in ufficio come «modalità ordinaria» del lavoro pubblico a partire dal prossimo 15 ottobre.

Ora toccherà a un decreto della Funzione pubblica fissare le modalità del rientro, insieme alle Linee guida realizzate con il ministero della Salute per le verifiche sul Green Pass e la gestione del nuovo obbligo. Il nuovo quadro aprirà la porta a orari più flessibili di entrata e uscita, con l’obiettivo di ridurre l’affollamento sui mezzi pubblici nelle ore di punta, e come anticipato sul Sole 24 Ore del 15 settembre reintrodurrà l’accordo individuale per lo Smart Working. Che le amministrazioni potranno continuare a concedere ad alcune condizioni.

Per tenere una quota di dipendenti in lavoro agile occorrerà accertarsi che questa scelta non pregiudichi l’erogazione dei servizi agli utenti; le Pa dovranno essere dotate di strumenti tecnologici (per esempio cloud o piattaforma digitale) che garantiscano la sicurezza delle informazioni, e dovranno prevedere un piano di smaltimento degli arretrati. Ai lavoratori «agili» andranno forniti i computer e in generale i device necessari per lavorare. «Ora si apre l’era di una nuova normalità e si completa il quadro avviato con l’estensione dell’obbligo di Green Pass a tutto il mondo del lavoro», commenta il ministro per la Pa Renato Brunetta. Il cambio di prospettiva punta a riportare il focus sui livelli di servizio, che nelle fasi più critiche dell’emergenza erano passati in secondo piano rispetto alla sicurezza dei singoli. Sicurezza ora affidata alGreen Pass, che dovrebbe convincere anche molti dei 320mila dipendenti pubblici (il 10% del totale) ancora senza vaccino secondo le stime governative.

Il decreto di Palazzo Chigi archivia infatti lo scenario emergenziale con cui si era aperta la strada allo Smart Working generalizzato nelle attività che non richiedessero la presenza come condizione indispensabile.

Il Dpcm motiva la scelta con la necessità di «sostenere cittadini e imprese nelle attività connesse allo sviluppo delle attività produttive e all’attuazione del Pnrr», obiettivi che richiedono «alle amministrazioni pubbliche di operare al massimo delle loro capacità». In quest’ottica, il Dpcm sostiene la necessità di «superare la modalità di utilizzo del lavoro agile nel periodo emergenziale come una delle modalità ordinarie dello svolgimento della prestazione lavorativa», dal momento che «il ritorno al lavoro in presenza come modalità ordinaria» secondo il governo permette «alle pubbliche amministrazioni di dare il massimo supporto alla ripresa». Sono esattamente le considerazioni portate avanti in questi ultimi mesi da Brunetta, regista dell’operazione che ha trovato il sigillo nel Dpcm di ieri.

Ora proprio a Palazzo Vidoni toccherà appunto il compito di dettare le regole operative. Con il ritorno in campo dell’accordo individuale e le precondizioni organizzative e tecnologiche per lo Smart Working, decreto e Linee guida vogliono costruire un ponte verso la situazione a regime, che sarà disciplinata dai contratti nazionali (Sole 24 Ore di ieri). Sarà poi ogni amministrazione a declinare queste regole nella propria realtà, con il Piano integrato della Pa che assorbe il Piano organizzativo del lavoro agile e va definito entro il 31 gennaio prossimo.

Nel caso di Quirinale, Parlamento e Consulta (gli «organi costituzionali», per gli «organi di rilevanza costituzionale» (Cnel, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Csm e Consiglio supremo di difesa) oltre che per le Autorità indipendenti, saranno le singole amministrazioni a decidere come uniformarsi al nuovo quadro, in base all’autonomia richiamata dall’articolo 87, comma 4 del Dl 18/2020 citato nel Dpcm di ieri.

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