Il CommentoAmministratori

Partecipate, sui controlli norme timide senza strategia

di Massimiliano Atelli

A cinque anni di distanza dall’avvento del Testo unico sulle partecipate pubbliche (Dlgs 175/2016), l’impressione è di una transizione ancora non compiuta, fra adempimenti essenziali che (in troppa misura) restano inosservati, disposizioni per certi versi enigmatiche, e, infine, nodi irrisolti.

Quanto ai primi, se - come ha fatto notare qualche giorno fa su questo giornale Stefano Pozzoli (NT+ Enti locali & edilizia del 27 settembre) traendo spunto dalla delibera 15/2021 della Sezione autonomie della Corte dei conti - circa 1.200 partecipate su 6.000 (cioè il 20%) non hanno approvato e pubblicato il bilancio di esercizio 2018, un problema evidentemente c’è. L’adempimento è in effetti basico, e per effetto della sua mancata attuazione non solo restano lettera morta misure di “penalizzazione” normativamente pensate per favorire gestioni sane ed efficienti, ma soprattutto resta avvolto da un alone di mistero lo stato di salute finanziario di entità che hanno talora migliaia di dipendenti e i cui conti sono in grado di rendere anche molto variabile, a livello di consolidato, il risultato di esercizio dell’ente socio.

In secondo luogo, laddove il Testo unico è chiaro nel far derivare da un mancato o cattivo adempimento una precisa misura deterrente, accade che l’adempimento presidiato è probabilmente quello meno strategico.

Così è, ad esempio, riguardo alla responsabilità sanzionatoria prevista dall’articolo 20, comma 7, che – per come finora interpretata dalle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti - è stata prevista dal legislatore nel solo caso di mancata adozione dei piani di razionalizzazione periodica, ossia degli aggiornamenti annuali previsti dal 2018 in poi, e non per la mancata precedente approvazione entro il 30 settembre 2017, con delibera di consiglio dell’ente locale, della revisione «straordinaria» delle partecipazioni (articolo 24 del Testo unico). Resta qui l’enigma di un presidio sanzionatorio solo per il meno strategico dei due adempimenti (se, infatti, manca la revisione straordinaria una tantum, è ben difficile che possano seguire quelle periodiche).

Infine, i nodi un po’ irrisolti. Fra questi, l’invio «a fini conoscitivi» alle Sezioni di controllo della Corte dei conti degli atti deliberativi di costituzione di una società o di acquisto di una partecipazione, che devono essere analiticamente motivati con riferimento, fra l’altro, alla convenienza economica e alla sostenibilità finanziaria dell’operazione (oltre che alla compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa). Se l'Antitrust ha un ruolo di presidio – ben definito nei contorni, anche in funzione della sua effettività concreta - sull’impatto che una partecipata può avere «nel» e «per» il mercato, occorre probabilmente domandarsi se invece quell’invio «a fini conoscitivi» sia sufficiente (e in specie, sufficientemente definito e chiaro) a garantire, dal punto di vista delle gestioni pubbliche volta per volta interessate, un analogo ruolo di presidio sulla sostenibilità finanziaria dell’operazione.

Un presidio, questo, che, l’articolo 5 del Testo unico in ogni caso assicurerebbe – anche, cioè, ove si desse risposta affermativa al quesito - nel solo momento genetico, mentre, come fa giustamente notare Pozzoli, ce ne sarebbe bisogno anche dopo.