Patto sulla Pa, atto di responsabilità che indica la direzione ma ora si apre una complicata fase negoziale
Un inizio di percorso con finalità e metodi condivisi, ma con contenuti in gran parte da definire. Il “Patto per l'innovazione del lavoro pubblico” siglato ieri al massimo livello istituzionale dal Governo e dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil è anzitutto un atto di responsabilità. In una fase drammatica dal punto di vista sanitario ed economico è meglio sedersi attorno a un tavolo e negoziare, piuttosto che sfoderare l’ascia di guerra.
Le finalità e i metodi sono ben illustrati e riprendono anche i concetti sviluppati dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel discorso al Senato in occasione del voto di fiducia.
La pubblica amministrazione è essenziale per far fronte a quella che viene definita come una «triplice emergenza sanitaria, economica e sociale». Nessun programma di investimenti inseriti nel Piano nazionale da presentare entro aprile alla Commissione europea per accedere agli oltre 200 miliardi di euro di finanziamenti potrà essere realizzato senza una capacità amministrativa adeguata. Il patto enfatizza il ruolo della pubblica amministrazione come «motore di sviluppo». Basterebbe forse che essa non funga da freno, come oggi lamentato da più parti.
Il metodo privilegiato è quello della concertazione e il piano sottolinea il proposito del ministero della Pubblica amministrazione di avviare «una nuova stagione di relazioni sindacali». Il primo passo sarà costituito da atti di indirizzo del Governo per il riavvio della stagione contrattuale a livello nazionale e decentrato. Un secondo aspetto metodologico positivo è che va evitata «una iper-regolamentazione legislativa». Per esempio, il lavoro agile può essere normato in sede di contrattazione. Inoltre, se si volesse riprendere il cammino dei premi e degli incentivi al personale, basterebbe attuare la “legge Brunetta” del 2009 sulla misurazione e valutazione delle performance. Servirà invece una legge per semplificare e accelerare i concorsi per l’assunzione di personale con le competenze necessarie per promuovere la transizione digitale ed ecologica. Come anticipato due giorni fa dal ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, nell’audizione di fronte alle commissioni parlamentari competenti, occorre individuare percorsi di selezione digitali, trasparenti, focalizzati sull’esigenza di dotare le amministrazioni di competenze tecniche e gestionali adeguate. Potranno essere coinvolti anche le università, gli ordini professionali e il settore privato.
Quanto ai contenuti, il Patto per l’innovazione ribadisce la necessità di favorire il ricambio generazionale (oggi l’età media è 50,7 anni). Ma sottolinea anche l’esigenza di “reskilling”, con percorsi di crescita e di aggiornamento professionale e con l’impegno a considerare le attività formative come attività lavorative a ogni effetto. Dovranno essere poi valorizzate le professionalità non dirigenziali dotate di competenze e conoscenze specialistiche in grado di assumere maggiori responsabilità anche organizzative.
In definitiva, il Patto per l’innovazione indica poco più una direzione di marcia. L’auspicio è che lo spirito che sembra animarlo non venga meno nelle fasi successive della negoziazione, certamente più complicate.