Urbanistica

Permesso di costruire, l'annullamento in autotutela deve tenere conto degli interessi privati

Tar Campania: il dietrofront della Pa non può essere disposto per la sola esigenza di ristabilire la legalità dell'azione amministrativa

di PIetro Verna

L'annullamento in autotutela di un titolo edilizio non può essere disposto per la sola esigenza di ristabilire la legalità dell'azione amministrativa, ma deve esternare i profili di interesse pubblico concreto e attuale al ripristino dello status quo ante, nonché dar conto della comparazione di tale interesse con i confliggenti interessi privati discendenti da posizioni giuridiche consolidate.

Lo impone l'art. 21- novies della legge n. 241 del 1990, introdotto dall'articolo 25 , comma 2, lettera b-quater), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 («Il provvedimento amministrativo illegittimo […] può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi […], tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati»), fermo restando quanto stabilito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ( sentenza 17 ottobre 2017, n. 8) secondo cui:
- l'Amministrazione ha l'obbligo di motivare in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell'atto, «non potendosi predicare in via generale la sussistenza di un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione in autotutela di tale atto»;
- «occorre responsabilizzare le amministrazioni all'adozione di un contegno chiaro e lineare, tendenzialmente fondato sullo scrupoloso esame delle pratiche di sanatoria o comunque di permesso di costruire già rilasciato [ …] nonché sull'obbligo di serbare un atteggiamento basato sul generale principio di clare loqui».

Alla luce di questi riferimenti, il Tar Campania-Napoli (sentenza 28 ottobre 2020 , n. 4903) ha accolto il ricorso proposto contro due provvedimenti adottati dal Comune di Palma di Campania, ossia l'annullamento in autotutela di un permesso di costruire avente ad oggetto la realizzazione di un complesso produttivo in una zona agricola ed il provvedimento con il quale il Comune aveva respinto la domanda di cambio di destinazione da complesso produttivo a civile abitazione, presentata dal titolare del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 4, comma 7 della legge regionale n. 19 del 2009 («E' consentita su edifici non residenziali regolarmente assentiti, destinati ad attività produttive, commerciali, turistico-ricettive e di servizi […] la realizzazione di opere interne finalizzate all'utilizzo di volumi esistenti […] anche attraverso il cambio di destinazione d'uso»).

La sentenza del Tar Campania
L'interessato aveva impugnato entrambi i provvedimenti per violazione dell'art. 21 novies della legge n. 241 del 1990:

1) il primo provvedimento, l' annullamento in autotutela del permesso di costruire, per la mancata valutazione dell'interesse pubblico e dell' affidamento riposto nella legittimità del titolo edilizio, affidamento che si era consolidato in ragione del tempo trascorso (di poco inferiore ai diciotto mesi richiesti dall'art. 21 novies) e dell'avvenuta realizzazione dell'immobile;
2) l'altro provvedimento, il diniego del cambio di destinazione, per l'illegittimità derivata («i motivi ostativi a supporto [del diniego] non riguarderebbero la conformità edilizia ed urbanistica della modifica della destinazione, ma l'illegittimità del precedente titolo edilizio con cui era stato assentito il complesso produttivo»).

Tesi che ha colto nel segno. A persuadere il giudice amministrativo partenopeo della illegittimità del provvedimento in autotutela è bastata la motivazione di accompagno, ritenuta dal Collegio priva delle (doverose) valutazioni riguardo all' affidamento del titolare del permesso di costruire, «ma incentrata esclusivamente sui vizi di legittimità soggettivi e oggettivi» (assenza della qualifica di imprenditore agricolo, violazione della distanza minima di 20 metri dalle strade comunali, errato scorporo della volumetria disponibile, illegittimo accorpamento di fondi non contigui, oltre il limite volumetrico consentito) ed il richiamo alla sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 8 del 2017, nella parte in cui precisa che il riconoscimento di un interesse pubblico al ripristino della legalità violata non sta necessariamente a significare che tale interesse sia «l'unico fattore idoneo a orientare le scelte discrezionali dell'amministrazione in caso di risalenti violazioni in materia urbanistica, sì da esonerare in radice l'amministrazione da qualunque motivata valutazione in ordine ad ulteriori fattori e circostanze rilevanti» (in senso conforme, Tar Campania- Napoli, sentenze n. 673 e n. 2640 del 2020).

Da qui la decisione del Collegio di dichiarare illegittimo anche il provvedimento di rigetto dell'istanza del cambio di destinazione e di ordinare al Comune di «rideterminarsi in relazione all'istanza, sul presupposto però dell'efficacia del permesso di costruire […] e della legittimità edilizia ed urbanistica delle opere realizzate sulla base di tale titolo edilizio».

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