Ristrutturazione o nuova costruzione? Dipende se si dimostra esistenza e consistenza dell'edificio scomparso
Per "ricreare" l'edificio demolito qualificandolo come una ristrutturazione edilizia occorrono elementi certi e verificabili su volumi e altezze, altrimenti si deve parlare di nuova costruzione
L'intervento edilizio volto a ricostruire un edificio ormai scomparso si può qualificare come una ristrutturazione edilizia solo se l'originaria consistenza dell'edificio sia individuabile sulla base di riscontri documentali o altri elementi certi e verificabili. Se invece non è possibile risalire in modo certo e dimostrabile ai connotati essenziali del manufatto originario - come mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura - attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare - anche eventualmente con l'ausilio di foto, aerofotogrammetrie e mappe catastali - si deve parlare di nuova costruzione.
Il Tar Umbria - con la sentenza n.723/2022 pubblicata lo scorso 1 ottobre - conferma in pieno l'orientamento della giurisprudenza che attribuisce la qualifica di ristrutturazione edilizia solo nei casi in cui sia stato possibile accertare «la consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato». Tale accertamento «deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell'edificio diruto».
La controversia sulla quale è stata chiamata a giudicare il Tar Umbria riguardava la ricostruzione di un edificio ormai completamente scomparso. L'intervento è stato promosso dal proprietario di un terreno dove il precedente proprietario aveva già demolito un edificio preesistente. Edificio che il nuovo proprietario ha voluto ricostruire, chiedendo al Comune il rilascio di un titolo edilizio per una ristrutturazione edilizia. Il diniego dell'ente locale è stato impugnato al Tar, il quale ha respinto il ricorso confermando la correttezza dell'operato dell'ente locale.
A seguito di una verifica tecnica chiesta dagli stessi giudici - oltre che a un contraddittorio con l'interessato - è stato possibile constatare come dalla documentazione prodotta «non sia oggettivamente possibile determinare con certezza l'ingombro planivolumetrico e del sedime dell'edificio né, tanto meno, se quanto dichiarato in sede di istanza di titolo abilitativo edilizio possa corrispondere con le reali fattezze dell'immobile preesistente».
I giudici della Prima Sezione del Tar Umbria non hanno che potuto ribadire che la ristrutturazione edilizia «presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire; non è sufficiente quindi che si dimostri che un immobile in parte poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre all'an anche il quantum e cioè l'esatta consistenza dell'immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione; occorre, quindi, la possibilità di procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell'edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente "abitato" o "abitabile", esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione».
Conclusione: «È necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l'intervento come ristrutturazione, che l'originaria consistenza dell'edificio sia individuabile sulla base di riscontri documentali o altri elementi certi e verificabili; ove, invece non sia possibile l'individuazione certa dei connotati essenziali del manufatto originario (mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura) attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare, scatta la qualificazione dell'intervento di ricostruzione come nuova edificazione».