Sblocca-cantieri, edilizia privata: addio al «tabù» del Dm sugli standard, spazio alle Regioni
L'articolo 5 del decreto sblocca-cantieri - in attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale - interviene, tra le altre cose, anche sui limiti di distanza tra fabbricati, riducendo l'ambito applicativo sovraordinato del decreto del ministro dei Lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e integrando le facoltà derogatorie riconosciute agli ordinamenti regionali, contenute nell'articolo 2-bis del Dpr n.380/2001 e introdotte nel giugno 2013.
Il decreto del fare (Dl. 21 giugno 2013 n. 69, convertito con la legge n.98/2013), infatti, aveva inserito nel Tue disposizioni "facoltizzanti" per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, consentendo nelle leggi e regolamenti regionali, di prevedere deroghe al Dm n.1444/68, cioè ai limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, sanciti ai sensi dell'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765.
La novella del 2013, non intervenendo direttamente sulla disciplina dei limiti inderogabili e mantenendo ferma la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, ha confinato i nuovi spazi normativi regionali nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali. Ora, la facoltà introdotta nel 2013 si trasforma in obbligo, ma anche le finalità e il conseguente ambito applicativo risultano modificati e ampliati dal legislatore statale: infatti, agli scopi prettamente urbanistici legati alla drastica riduzione del consumo di suolo e alla riqualificazione di aree urbane degradate, vengono aggiunte finalità di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, anche sul presupposto della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili e di assicurare il miglioramento e l'adeguamento sismico di detto patrimonio edilizio, il tutto anche mediante interventi edili (puntuali) di demolizione e ricostruzione. Il tutto nel rispetto del codice civile che resta, giustamente, il limite invalicabile per gli ordinamenti locali.
Il punto di equilibrio delle competenze.
La Suprema Corte, a seguito dell'introduzione di normative regionali derogatorie basate sull'articolo 2-bis del Tue, si è più volte pronunciata sul cd. "punto di equilibrio" tra potestà esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio, basando le proprie pronunce sull'ultimo comma dell'articolo 9 del Dm n.1444/68 (sostanzialmente recepito anche nell'art. 2-bis del Dpr n.380/2001), per cui sono ammissibili distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche.
Fino ad oggi, la Corte Costituzionale ha sempre ritenuto la legislazione regionale, che interveniva sulle distanze interferendo con l'ordinamento civile, legittima solo in quanto diretta a perseguire chiaramente finalità di carattere urbanistico, demandando l'operatività dei suoi precetti a strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio (in tali termini cfr. Corte Costituzionale, 15/07/2016, n. 178 sulla l.r. 16/2015 Marche; 20/07/2016, n. 185 sulla l.r. 7/2015 Molise; 03/11/2016, n. 231 sulla l.r. 12/2015 Liguria; 24/02/2017, n. 41 sulla l.r. 4/2015 Veneto). Principi interpretativi che si ritengono ancora attuali, in quanto il nuovo comma 1-bis dell'articolo 2-bis del Dpr n.380/2001 dispone chiaramente che le norme regionali derogatorie del Dm n.1444/1968 sono finalizzate a orientare i Comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio (in tema di competenza regionale derogatoria, cfr. anche Cassazione civile, sez. II, 30/10/2018, n. 27638 e 19/10/2018, n. 26518; sez. VI, 13/07/2018, n. 18588).
Le distanze minime
Nonostante la novella - sotto il profilo della demarcazione delle competenze tra Stato e Regioni - possa ritenersi neutra, lo stesso non può dirsi per gli effetti sulle vigenti disposizioni contenute nell'articolo 9 del Dm n.1444/1968. Infatti, il neo introdotto comma 1-ter dell'articolo 2-bis del Dpr n.380/2001 di rango legislativo, incide enormemente sull'ambito applicativo delle disposizioni regolamentari statali vigenti in materia di distanza tra fabbricati, sancendo in termini generali che «in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito». Facoltà concessa - sino ad oggi - esclusivamente per gli interventi ricadenti in Zone A di centro storico e comunque senza che si potesse tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale (cfr. art. 9, comma 1, punto 1) del Dm n.1444/1968). Per quanto attiene alla distanza tra pareti finestrate (protagonista costante delle sedi giudiziarie), la prescrizione della distanza minima assoluta di 10 metri (tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti) a valere su tutte le zone urbanistiche (eccetto le A e le C), non risulta oggetto di intervento specifico: limite che potrà essere derogato dalle normative regionali, ma che - comunque - non potrà trovare applicazione nei confronti degli interventi di ristrutturazione edilizia cd. "fedele" (realizzati anche al di fuori dei centri storici), proprio in forza della nuova previsione legislativa generale di cui al citato comma 1-ter dell'articolo 2-bis del Dpr n.380/2001.
Infine, il secondo comma dell'articolo 5 dello sblocca-cantieri, sancisce che le disposizioni di cui all'articolo 9, commi secondo e terzo, del Dm n.1444/1968, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alla zona C (cioè alle parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità previsti per le zone B). La nuova disposizione, quindi, afferma che le distanze minime previste per i fabbricati tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (ad esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti per cui detti limiti già non sussistevano), siano riferite unicamente alle zone di espansione: la norma ha natura dichiaratamente interpretativa e pertanto suscettibile di applicazione retroattiva anche nei procedimenti pendenti. Sul punto va precisato che al legislatore non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive, sia innovative che di interpretazione autentica, purché tale scelta sia giustificata sul piano della ragionevolezza: motivazione in tale caso riconducibile ai principi di coerenza e certezza dell'ordinamento giuridico, in quanto - in assenza di tale interpretazione - si sarebbero potute verificare situazioni di disparità di trattamento tra tipologie di interventi edili, o tra zone urbanistiche assoggettate o meno a pianificazione attuativa, ovvero tra fabbricati a cui si interponga o meno viabilità carrabile.
I principi ancora attuali e quelli superati
L'articolo 5 del decreto incide anche su diversi principi esegetici declinati dalla Giurisprudenza in sede di applicazione concreta dei limiti di distanza statali ed eventuali diverse previsioni degli strumenti urbanistici. In termini generali devono considerarsi immuni dalla novella tutte le pronunce che sanciscono i criteri valutativi delle distanze legali tra edifici di cui all'articolo 873 del codice civile, ovvero precisazioni sulle tipologie di manufatti ai fini dell'assoggettamento alla nozione di "costruzione" (v. da ultime Cassazione civile, sez. II, 27/11/2018, n.30708 e Consiglio di Stato, sez. IV, 02/03/2018, n. 1309). Sicuramente ancora attuale è l'esegesi sulla legittimità delle deroghe locali quando si tratti di interventi che comportano il recupero di un bene esistente (già collocato a distanza inferiore a quella legale, cfr. Cassazione civile, sez. II, 23/01/2018, n.1616), principio d'ora in poi estensibile anche in favore degli interventi di ristrutturazione con parità di sedime e volume, eseguiti anche all'esterno delle zone di centro storico. Diversamente, le valutazioni in ordine all'entità delle modifiche apportate al fabbricato in sede di ricostruzione (cioè quando l'opera realizzata nel suo complesso sia oggettivamente diversa da quella preesistente, cfr. Cassazione civile, sez. II, 30/06/2017, n. 16268) non saranno più utilizzabili: non solo nel caso di sopravvenute discipline regionali derogatorie, ma anche in loro assenza, in tutti i casi di coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito (come stabilito dal citato comma 1-ter dell'art. 2-bis del Dpr n.380/2001). Pari considerazioni possono sollevarsi in merito alle pronunce che hanno dichiarato illegittime le prescrizioni locali sul solo presupposto della prevalenza, cogenza e tassatività della disciplina statale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10/09/2018, n.5307 e 31/03/2015, n.1670), ovvero sul fatto che imponevano il rispetto della distanza minima di dieci metri tra pareti soltanto per i tratti dotati di finestre, con esonero di quelli ciechi (Cassazione civile, sez. II, 17/05/2018, n.12129 e 02/03/2018, n.5017; sez. UU, 07/07/2011, n.14953).
In sintesi
La novella ha riportato la disciplina delle distanze minime assolute (cioè inderogabili dalle normative regionali) all'interno del codice civile (nella specie l'art. 873 secondo cui le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri), prevedendo al contempo l'onere in capo alle Regioni di introdurre deroghe al Dm n.1444/1968. Resta il dubbio se la nuova previsione di cui al comma 1-ter dell'art. 2-bis del Dpr n.380/2001 sia da intendersi disposizione inderogabile ovvero comunque integrabile o espandibile a livello locale. Ciò rileva proprio in ossequio alle finalità dichiarate e legate alla drastica riduzione del consumo di suolo e alla riqualificazione di aree urbane degradate, nonché alla necessità di razionalizzare il patrimonio edilizio esistente, in forza delle quali alle Regioni dovrebbe esser riconosciuta la facoltà di sancire l'irrilevanza - ai soli fini del Dm n.1444/1968 e mantenendo fermo l'articolo 873 del codice civile - anche di alcuni interventi di sopraelevazione (e quindi comportanti maggior volume ancorché a parità di sedime, rispetto al fabbricato preesistente), ovvero di ristrutturazione che portino ad un organismo edilizio sopraelevato rispetto al precedente ma a parità di volume (cioè con riduzione o modifica del sedime originario). La questione non è marginale, in considerazione dell'orientamento secondo cui qualora lo strumento urbanistico locale, successivamente intervenuto, abbia sancito l'obbligo inderogabile di osservare una determinata distanza dal confine ovvero tra le costruzioni, tale nuova disciplina vincola il preveniente che rimane tenuto, se vuole sopraelevare, alla osservanza della diversa distanza stabilita, senza alcuna facoltà di allineamento (in verticale) alla originaria preesistente costruzione, a meno che la normativa regolamentare non preveda una espressa eccezione in proposito (da ultima Cassazione civile, sez. II, 10/05/2018, n.11320, conforme a sez. II, 27/05/2003, n.8420).