Appalti

Scadenza delle concessioni demaniali marittime, la Consulta blinda la potestà legislativa dello Stato

di Pietro verna

Disciplinare la durata delle concessioni demaniali marittime è un compito dello Stato (articolo 117, commi 1 e 2, lettera e), della Costituzione), poiché il mercato delle concessioni balneari non ha solo una dimensione locale, ma potenzialmente anche transfrontaliero in base all'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue) e all'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE (cosiddetta «direttiva Bolkestein»), recepita dall'articolo 16, comma 4 del Dlgs 59/2010.
È quanto ha stabilito la Consulta con la sentenza n. 1/2019, dichiarando l'incostituzionalità degli articoli 2, comma 1, e 4, comma 2, della legge della Regione Liguria 26/2017 «Disciplina delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative» in base alla quale: «è riconosciuta l'estensione della durata della concessione di trenta dalla data di entrata in vigore della presente legge»; «la durata della nuova concessione demaniale marittima non deve limitare la libera concorrenza oltre il tempo necessario a garantire l'ammortamento degli investimenti materiali e immateriali, nonché un'equa remunerazione dei capitali investiti. In ogni caso la durata della concessione […] non può essere inferiore a venti anni e superiore a trenta anni».

Cornice normativa
La legge regionale si colloca nel travagliato contesto normativo che trae origine dalla procedura d'infrazione n. 2008/4808 avviata dalla Commissione europea contro l'Italia, per via del regime preferenziale riservato al concessionario uscente dall'articolo 37 del codice della navigazione e dall'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 «Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime», convertito, con modificazioni, dalla legge 494/1993, recanti, rispettivamente, il diritto di insistenza e il rinnovo automatico delle concessioni sessennali. Procedura che si è conclusa con l'emanazione dell'articolo 11, comma 1, della legge 217/2011 «Legge comunitaria 2010», che ha eliminato il regime del rinnovo automatico delle concessioni, mentre non è stata la delega per il riordino delle concessioni demaniali marittime prevista dal comma 2 dello stesso articolo 11. Sulle quali è intervenuto invece l'articolo 34-duodecies del decreto-legge 179/2012 «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», convertito dalla legge 221/2012, in base al quale il termine di durata delle concessioni in scadenza al 31 dicembre 2015, in virtù dell'articolo 1, comma 18, del Dl 194/2009 «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative» è stato prorogato fino 31 dicembre 2020. Proroga che ha dato luogo a rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia Ue, decisi con la sentenza del 14 luglio 2016, che ha stabilito:
a) le concessioni demaniali marittime rientrano nel campo di applicazione dell'articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, con la conseguenza che non possono essere automaticamente rinnovate perché ciò contrasterebbe con il principio della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, prevista dagli articoli 49, 56 e 106 del Tfue;
b) la disparità di trattamento tra concessionari esistenti e coloro che aspirano alla concessione è ammessa soltanto in presenza di «motivi imperativi di interesse generale».
Il resto è storia recente: la legge di conversione 160/2016 del Dl 113/2016 «Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio» il cui articolo 24, comma 3-septies, dispone che nelle more della revisione e del riordino delle concessioni demaniali marittime «conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all'articolo 1, comma 18 del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194» e la legge 145/2018 «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019», il cui articolo 1, comma 282, ha esteso la durata di queste concessioni sino al 31 dicembre 2034, «dimenticando» quanto stabilito dalla Corte di giustizia.

La pronuncia di incostituzionalità
Dinanzi alla Consulta la Regione Liguria aveva sostenuto che la proroga delle concessioni disposta dall'articolo 2, comma 1, della legge regionale 25/2017 non sarebbe stata in contrasto con l'articolo 49 del Tfue, né con l'articolo 12 della direttiva 2006/123/CEE, stante il carattere temporaneo della norma regionale e la «finalità di tutelare l'affidamento e la certezza del diritto nei confronti degli operatori liguri». Così come non sarebbe stato in contrasto con la Costituzione il successivo articolo 4, comma 2, recante la disciplina delle nuove concessioni, perché in linea con la «clausola di cedevolezza» prevista dall'articolo 84 del Dlgs 59/2010 (« le disposizioni del presente decreto si applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione della direttiva 2006/123/CE, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario»). Argomentazioni che la Consulta ha ritenuto prive di pregio alla luce dell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui:
la tutela dell'affidamento degli operatori balneari riguarda la sfera di competenza riservata in via esclusiva al legislatore statale, che deve disciplinare in modo uniforme le modalità e i limiti della tutela dell'affidamento dei titolari delle concessioni già in essere nelle procedure di selezione per il rilascio di nuove concessioni (Corte costituzionale, sentenza n. 118/2018);
l'intervento che il legislatore regionale può anticipare nell'inerzia del legislatore statale attiene soltanto a materie di competenza concorrente della Regione (Corte costituzionale, sentenza n. 398/2006).
È pur vero tuttavia che un intervento del legislatore statale volto a dare una disciplina organica alla materia continua a essere rinviato con misure tampone (da ultimo la legge di bilancio 2019) destinate immancabilmente a essere oggetto di procedura d'infrazione.

La sentenza della Corte costituzionale n. 1/2019

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©