Il CommentoAmministratori

Società, il Dm fantasma che punisce i compensi

Senza il decreto rimane in vigore il paradossale tetto parametrato al 2013

di Stefano Pozzoli

I compensi agli amministratori di società pubbliche sono da otto anni vittime di un’iniqua disposizione «provvisoria» che, in attesa del decreto del Mef a cui spetta ridefinire gli emolumenti, li cristallizza all'80% di quanto percepito nel 2013. Eppure la norma di otto anni fa stabiliva che il decreto sarebbe stato «adottato entro trenta giorni».

La stessa giurisprudenza contabile, pur difendendone i contenuti (Corte dei conti, delibera 29/2020 della sezione di controllo per la Liguria) ha cominciato a cercare di ridimensionarne gli aspetti più grotteschi, ancorché in maniera non del tutto convincente.

La Corte dei conti Lombardia, con delibera n. 1/2015 spiega, ad esempio, che nel caso in cui nel 2013 non risultino compensi, si potrà fare riferimento all’ultimo compenso erogato, con la motivazione che «non può … adottarsi un’interpretazione meramente matematica della disposizione in esame, che determinerebbe … l’impossibilità di affidare all'esterno tali incarichi, atteso che tale effetto pare eccedere le finalità della norma».

La Corte dei conti veneta (delibera n. 31/2018) ammette che sì, nel caso in cui non vi siano stati compensi nel 2013, magari anche per il semplice fatto che la società non fosse ancora esistente, un compenso può essere determinato, ma «è necessario evitare che, (…), si giunga all'opposto risultato interpretativo di considerare del tutto libera la discrezionalità dell’ente nel fissare detto compenso, confliggente con la ratio della disciplina di risulta sopra descritta».

Si parla, però, sempre di compensi inesistenti. Molte pronunce ritengono che ove il compenso nel 2013 sia presente sia necessario attenervisi. Il tetto ai compensi, in sostanza, dev’essere considerato tassativo anche in caso di radicale cambiamento della società perché «si pone … su un piano diverso dalla prevista opera di complessiva razionalizzazione delle partecipazioni societarie in mano pubblica. Ne consegue che un’opera di razionalizzazione delle partecipazioni posta in essere da un ente pubblico, per quanto efficace, non esclude comunque l’obbligo di ottemperare alla disposizione»(sezione Emilia Romagna, delibera 95/2016).

La Sezione Friuli Venezia Giulia, (delibera n. 15/2020/PAR) ritiene invece superabile il vincolo se «il valore del costo sostenuto nel 2013 è talmente esiguo da poter essere considerato sostanzialmente inesistente» e si spinge a dire che tutto ciò si applica «sia nel caso di una società dall'oggetto sociale e dalla governance talmente modificati da farla considerare come un soggetto nuovo, sia nel caso della continuazione dell'attività da parte del soggetto societario precedente, perché in questo ultimo caso mancherebbe il parametro di riferimento 2013 e non vi sarebbe nemmeno, secondo quanto riferito dall'amministrazione richiedente, la possibilità di individuarne uno in altri esercizi».

Non diversamente l'Osservatorio per la Finanza e la Contabilità degli Enti Locali (Atto del 25 giugno 2021) afferma che «potrebbe essere considerato dall'amministrazione controllante, in presenza di motivate e comprovate esigenze (…) di discostarsi dal dato del 2013 per fare riferimento ad altra annualità, dotata di maggiore significatività e omogeneità, sulla quale applicare la riduzione dell'80% prevista dall'art. 4, comma 4, d.l. 95/2012; ovvero, in caso di indisponibilità del dato relativo al 2013 (per essere la società costituita successivamente) di considerare la possibilità di procedere autonomamente all'individuazione del tetto di spesa, secondo un criterio di stretta necessità».

Nonostante questi interventi, però, permane l'incertezza ed ogni decisione è foriera di infinite polemiche. Davvero non è possibile emanare questo benedetto decreto? Questo servirebbe non solo a restituire equità di compenso ma anche ad evitare che molte società cerchino in ogni modo di sfuggire dal perimetro del Testo unico.