Il CommentoFisco e contabilità

Sulle anticipazioni di liquidità una catena di errori a carico delle generazioni future

di Federico Pica

Sono senza pace le questioni del Fondo anticipazione di liquidità). È forse giusto dire che ciò si verifica perché i problemi di cui si tratta sono stati impostati male fin dal principio.

Come è noto, lo Stato, opportunamente, con il Dl 35/ 2013, ha consentito il pagamento, per cassa, di debiti degli enti locali, a questo fine assicurando agli enti, per il tramite della Cassa depositi e prestiti, adeguata liquidità. Le somme anticipate sono erogate da ciascun ente ai creditori a fronte di residui passivi risultanti dal suo rendiconto. L'effetto è quello che, in situazione di equilibrio, la riduzione dei residui passivi produce avanzi di bilancio, che possono essere utilizzati per accrescere la spesa degli enti. Per evitare questo effetto, lodevolmente, la giurisprudenza contabile e poi quella costituzionale hanno stabilito il principio della "sterilizzazione" del Fal, ponendo a fronte di esso, nei rendiconti degli enti, un fondo (di sterilizzazione) tale da compensarne l'importo. Vi sono, dunque, due "fondi": le somme corrisposte agli enti; l'appostazione che gli enti medesimi sono tenuti a scrivere nei loro rendiconti.

La difficoltà è quella di una corretta interpretazione del meccanismo del Fal. Vale, infatti, in Italia, per norma costituzionale (l'articolo 119, comma 6, della Costituzione), la "regola aurea": non è consentito alla generazione attuale di finanziare spese correnti con debito, cioè caricandone l'onere sulle generazioni future. Ciò comporta che le risorse per mezzo delle quali la spesa corrente è finanziata debbono essere quelle che sono sottratte alla generazione attuale e destinate al finanziamento delle spese. Il meccanismo deve essere tale, perciò, che il fondo non finanzi la spesa che, per suo mezzo, è pagata, ma copra, appunto, momentanee (?) carenze di liquidità.

Solo una ben precisa interpretazione del Fal consente di stabilire che esso è compatibile con la regola aurea. Non basta, a questo riguardo, dire che si tratta di "anticipazione": la stessa anticipazione di cassa che il tesoriere consente agli Enti al fine di superare momentanee deficienze di liquidità è compatibile con la regola aurea non per il suo nome, ma perché la brevità dell'intervallo riferito all'obbligo della sua restituzione fa ritenere che la generazione attuale (che utilizza l'anticipazione) sia non diversa da quella che ne restituisce, con sue risorse, l'importo. Se la durata della anticipazione di cassa fosse stabilita in trenta anni sarebbero le risorse del tesoriere a finanziare le spese e l'importo di esse sarebbe restituito (con interessi) dalle generazioni future in un termine non breve: l'anticipazione si comporterebbe, cioè, in modo analogo a quello di un mutuo.

Va osservato, a questo riguardo, che anche un mutuo è destinato a produrre liquidità attuale a fronte di oneri cui dovrà farsi fronte in futuro (dalle successive generazioni). Ciò che caratterizza un mutuo è che le risorse necessarie della sua restituzione dovranno essere prodotte dalle successive generazioni. Nel caso dell'anticipazione sono, invece, le risorse della attuale generazione a essere poste a fronte della spesa: la generazione attuale fruisce dei benefici attuali delle spese e subisce la sottrazione attuale di risorse, che sono poste a fronte di esse.

Perciò, la distinzione tra mutuo e anticipazione va rintracciata non sul lato della spesa, come in sede giudiziaria si è ritenuto, ma sul lato dell'entrata. Se la spesa non è finanziata dal fondo, sembra inevitabile concludere che essa debba essere finanziata dai residui attivi dell'ente. Sono le risorse costituite da residui attivi ad essere poste a fronte del pagamento dei debiti verso i fornitori. Ciò risulta, peraltro, dalle stesse norme del Dl 35/2013. L'"anticipazione" ha la sola funzione di porre rimedio alla scarsa liquidità di residui attivi, consentendo in tal modo alla generazione attuale di pagare con i suoi mezzi (residui attivi) le sue spese.

Se questa impostazione viene rifiutata, è poi difficile capacitarsi che un meccanismo che consente alla generazione attuale di finanziare spese di consumo con risorse che dovranno essere reperite da quelle future e che, per di più, carica su di esse, con riferimento alle medesime risorse, l'ulteriore onere del Fondo crediti dubbia esigibilità sia compatibile con il divieto di cui all'articolo 119, comma 6, della Costituzione. Solo il ginepraio confuso di controvertibili ragionamenti in cui la giurisprudenza si è cacciata impedisce di riconoscere queste evidenti costatazioni.

Ne seguono alcune evidenti implicazioni. Ciò che è sterilizzato attraverso l'appostazione del fondo liquidità nei rendiconti è il corrispondente importo dei residui attivi (anche, eventualmente, in un momento successivo alla riscossione di essi). Se i residui attivi sono sterilizzati, ponendo per di più sulle successive generazioni il costo corrispondente al tasso di interesse applicato, è stravagante porre a carico delle successive generazioni un fondo crediti di dubbia esigibilità riferito ai medesimi residui sterilizzati dal Fal. Si tenga conto, al riguardo, che se i residui attivi non sussistono, le successive generazioni, frodate dalla generazione attuale, sono in ogni caso costrette dalle regole contabili vigenti a farsi carico degli oneri conseguenti, finanziando esse medesime il Fal.

Ne segue altresì, che se i residui attivi sono sottratti alla finanza ordinaria dell'ente, il che avviene per il caso del dissesto, evidentemente il fondo di sterilizzazione dei residui attivi medesimi ne segue le sorti, uscendo dalla competenza della amministrazione ordinaria per entrare nella competenza dell'Osl.