Urbanistica

Superbonus, cessione del credito: se un condomino non decide può deliberare l'assemblea

Se ci sono dei morosi la soluzione può prevenire un serio pregiudizio all’appalto delle opere

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di Glauco Bisso e Saverio Fossati

Per il superbonus del 110%, se in condominio c’è chi non decide, potrebbe deliberare il condominio. Questa una delle soluzioni possibili alle situazioni di stallo. E se ci sono di mezzo dei morosi la soluzione può prevenire un serio pregiudizio all’appalto delle opere.

I problemi nascono soprattutto dal rapporto tra istituto di credito e condominio. Di norma, i condòmini cedono alla banca il credito fiscale del 110% e questa concede un prestito ponte (per coprire il periodo tra inizio lavori e periodo in cui in cui il cessionario può usufruire del credito). Ma, dato che questo avviene con il tramite di condominio e amministratore, si tratta di raccogliere con pazienza certosina tutte le cessioni di tutti i condòmini.

I problemi riguardano soprattutto i condòmini irreperibili, che di norma non intervengono mai in assemblea e si disinteressano del condominio, spesso non ritirano in posta gli avvisi di convocazione dell’assemblea.

Il rebus morosi

Spesso si tratta di condòmini morosi, ormai estranei alla vita condominiale, che possono però costituire un ostacolo enorme: se questi non firmano la cessione del credito restano estranei al meccanismo del prestito ponte, che verrà concesso solo per le quote di chi aderisce, con il rischio (o meglio la certezza) che le quote di chi non ha aderito, che dovrebbero essere versate direttamente al condominio perché possa pagare l’impresa, non arriveranno mai. E saranno i condòmini in regola che dovranno chiudere il buco, anticipando gli importi che probabilmente non verranno mai restituiti.

Silenzio quasi assenso

In questi casi potrebbe soccorrere il comma 9-bis, introdotto nell’articolo 119 della legge 34/2020, secondo cui «le deliberazioni dell’assemblea del condominio aventi per oggetto l’approvazione degli interventi di cui al presente articolo e degli eventuali finanziamenti finalizzati agli stessi, nonché l’adesione all’opzione per la cessione o per lo sconto di cui all’articolo 121, sono valide se approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio».

Quindi, un’assemblea condominiale che deliberi la cessione del credito fiscale risolve il problema dei morosi e degli indifferenti, che con il loro mancato consenso individuale alla cessione del credito farebbero da freno all’operazione 110%, dato che sono ben pochi i condòmini in regola che vorrebbero accollarsi la loro quota: la banca, infatti, una volta votata la delibera, può incassare tutto il credito fiscale di tutti i condòmini senza ulteriori complicazioni.

I contrari

Ma c’è un altro problema: molti sostengono che il diritto alla cessione del credito fiscale è del singolo proprietario e quindi la delibera dell’assemblea che vi incidesse sarebbe priva di effetti. Qui non si tratta di condòmini morosi o “assenti”, che certo non si opporrebbero alla delibera, ma di chi, avendo una discreta liquidità, sa che un rendimento del 2% annuo in cinque anni dalla detrazione individuale rappresenta una scelta economicamente interessante. Ebbene, un’impugnazione della delibera da parte loro resta comunque improbabile (a meno che gli importi siano davvero importanti) ma occorre, in effetti, che l’amministratore cerchi di raccogliere le opinioni di tutti prima dell’assemblea, perché la delibera impugnata potrebbe diventare un vero disastro per la complessa operazione del 110 per cento.

L’alternativa (sempre affidata alle capacità dell’amministratore, il cui compenso, ricordiamo, è per assurdo indetraibile) è quella di un accordo preventivo con le banche che escluda dal prestito ponte i condòmini che, nonostante la delibera, dichiarino di impegnarsi direttamente con il condominio, anche con la votazione di una delibera specifica che consenta loro di non cedere il credito fiscale. Naturalmente questi condòmini verseranno direttamente al condominio le loro quote della spesa per il 110 per cento.

Prima la garanzia, poi l’appalto.

Anche l’impresa, del resto, a fronte degli importi rilevanti dei lavori, non sottoscriverebbe il contratto se non vi fosse la certezza di ottenere i quattrini, sempre garantiti dalla cessione. È probabile che richiederebbe, nella trattativa contrattuale, la costituzione di un fondo di garanzia pari all’ammontare di cui non si è espressa l’opzione di cessione. La motivazione del fondo non sarebbe quella di adempiere alle indicazioni dell’articolo 1135, comma 1, numero 4, del fondo obbligatorio per i lavori ma la necessità, ben più stringente, perché neppure graduabile in ragione dello stato d’avanzamento dei lavori, di costituire tutto subito come pregiudiziale condizione contrattuale.

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