Superbonus, sei indici di controllo per testare la diligenza di chi acquista crediti
La circolare dell'agenzia delle Entrate 23/2022 ha da subito contribuito a rendere il percorso della già complessa disciplina del superbonus 110% ancora più accidentato
La circolare dell'agenzia delle Entrate 23/2022 ha da subito contribuito a rendere il percorso della già complessa disciplina del superbonus 110% ancora più accidentato. Soprattutto, in riferimento alla delicata posizione del cessionario. Nel precisare che «il livello di diligenza richiesto dipende dalla natura del cessionario, soprattutto con riferimento agli intermediari finanziari o ai soggetti sottoposti a normative regolamentari per i quali è richiesta l'osservanza di una qualificata ed elevata diligenza professionale», l'Agenzia individua precisi indici, utili alla valutazione della sussistenza e del grado di tale diligenza, ovvero: 1 assenza di documentazione o palese contraddittorietà rispetto al riscontro documentale prodotto;2 incoerenza reddituale e patrimoniale tra il valore e l'oggetto dei lavori asseritamente eseguiti e il profilo dei committenti beneficiari; 3 sproporzione tra l'ammontare dei crediti ceduti ed il valore dell'unità immobiliare; 4 incoerenza tra il valore del credito ceduto e il profilo finanziario e patrimoniale del soggetto cedente il credito qualora non primo beneficiario della detrazione; 5 anomalie nelle condizioni economiche applicate in sede di cessione dei crediti; 6 mancata effettuazione dei lavori.
La conseguenza sulla mancata verifica di questi indici (o solo di alcuni di essi) è tranchant: «Ciascun cessionario deve sempre valutare, al momento dell'utilizzo in compensazione dei crediti fiscali acquisiti, di aver preventivamente operato con la necessaria diligenza all'atto dell'acquisto del credito, con speciale riguardo a quelli oggetto di sequestro da parte dell'Autorità giudiziaria. Pertanto, è esclusa in ogni caso la possibilità di compensare i crediti acquisiti in violazione dei princìpi sopra espressi».La circolare, allora, non può non destare notevole preoccupazione nella vasta platea di cessionari che hanno acquistato significative masse di crediti di imposta, e già utilizzato in compensazione le relative prime quote. Si pensi all'indice più evidente, la mancata effettuazione dei lavori: su un piano squisitamente giuridico, nessuna disposizione impone al cessionario di effettuare dei controlli fisici sul cantiere, essendo previste specifiche responsabilità in capo agli asseveratori e alla direzione lavori, chiamati a rilasciare attestazioni a supporto della regolare esecuzione degli interventi; riesce difficile ipotizzare che anche il cessionario più diligente abbia commissionato e conservato nel suo archivio, con riferimento a crediti già sorti magari uno o due anni fa, fotografie geolocalizzate dei cantieri o fascicoli comprovanti visite ispettive commissionate ad hoc.
Anche il secondo indice, sull'incoerenza reddituale e patrimoniale tra il valore e l'oggetto dei lavori e il profilo dei committenti beneficiari delle agevolazioni, risulta non del tutto coerente con la prassi (massiva) dello sconto in fattura; se lo sconto realizza l'insorgere a titolo originario in capo al fornitore del credito di imposta e se l'ammontare dello sconto è pari al 100% del valore dell'intervento realizzato, allora non si pone un tema di confronto con il reddito del beneficiario dell'agevolazione. Probabilmente, l'operatività di questo indice dovrebbe essere limitata ai casi di insorgenza del credito di imposta in capo al beneficiario che, senza dimostrare adeguata capacità reddituale, corrisponde in prima persona il corrispettivo dell'intervento.Allo stesso modo, perplessità desta il terzo indice, quello relativo alla sproporzione tra l'ammontare dei crediti ceduti e il valore dell'unità immobiliare: mai e poi mai si è parametrato il valore del singolo intervento al valore dell'unità immobiliare, valore quest'ultimo di difficile individuazione soprattutto se a posteriori. Ben si comprende l'ottica dell'Agenzia, che nelle attività di verifica di crediti asseritamente inesistenti ha avuto a che fare con utilizzi impropri di immobili fatiscenti, oggetto di costosissimi interventi agevolati, ma chiedere al cessionario di valutare, a posteriori, le proporzioni dell'intervento rispetto al valore dell'immobile che ne beneficia risulta estremamente oneroso.
Si sottolinea peraltro lo scostamento di questa interpretazione dagli obiettivi della misura, che intendeva proprio favorire gli immobili più disagiati e certamente più energivori, con degli interventi di riqualificazione energetica più incisivi, in misura quindi inversamente proporzionale. In conclusione, ci si limita a rilevare che un'interpretazione dell'Agenzia che interviene a due anni dal decreto Rilancio e che pone a carico del cessionari degli oneri di diligenza qualificata che le stesse disposizioni che interpreta non prevedono, non è un buon esempio di civiltà giuridica e di certezza dei rapporti tra fisco e contribuenti; e al contempo, ci si augura che l'introduzione di questi indici, seppure apprezzati nell'intento e nelle finalità dei soggetti preposti al controllo, non crei nuovi rallentamenti nell'acquisto dei crediti.