Tacere pendenze penali non basta per essere esclusi dalla gratuatoria di un concorso pubblico
Le false dichiarazioni sono causa di decadenza quando comportano la carenza dei requisiti per l'accesso al pubblico impiego
Solo il determinarsi di falsi documenti o dichiarazioni non veritiere per l'assunzione è causa di decadenza nel pubblico impiego; la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 12460/2022, ha accolto il ricorso di una dipendente pubblica, già in ruolo, che era stata esclusa da una graduatoria per infedeli dichiarazioni contenute nella domanda.
Nel caso in esame la lavoratrice, già inserita nella graduatoria permanente provinciale per il profilo di collaboratore scolastico, ai fini dell'instaurazione di un rapporto lavorativo con il ministero dell'Istruzione, aveva chiesto l'aggiornamento biennale del proprio punteggio per gli anni scolastici 2005/2006 e 2006/2007; in tale occasione , tuttavia, aveva appreso che l'Ufficio scolastico provinciale l'aveva dichiarata decaduta per infedeli dichiarazioni contenute nella domanda; il problema era individuato nel fatto che aveva dichiarato di non avere pendenze penali, dichiarazione oggettivamente falsa perché la lavoratrice aveva subito una condanna, sebbene di primo grado. La successiva assoluzione non rilevava perché la falsità della dichiarazione non riguardava la propria colpevolezza o innocenza ma la circostanza obiettiva della pendenza del procedimento penale, a prescindere dalla fondatezza, o meno, delle accuse. La lavoratrice, dopo la sentenza sfavorevole della Corte di appello. è ricorsa in Cassazione.
La Corte di cassazione osserva preliminarmente che gli atti di gestione delle graduatorie hanno natura privatistica. Con l'approvazione della graduatoria nelle procedure concorsuali si esaurisce l'ambito riservato al procedimento amministrativo ed all'attività autoritativa della Pa e subentra una fase in cui i comportamenti dell'amministrazione vanno ricondotti all'ambito privatistico, espressione del potere negoziale della Pa nella veste di datrice di lavoro, da valutarsi alla stregua dei principi civilistici sull'inadempimento delle obbligazioni inclusi i parametri della correttezza e della buona fede.
La lavoratrice ricorrente ha censurato la sentenza della Corte territoriale per violazione della normativa vigente anche in relazione al Dlgs 165/2001, con riferimento ai canoni di gradualità sanzionatoria, non potendo compararsi la pendenza di carichi pendenti e l'esistenza di condanne penali che incidono sui presupposti per l'accesso al pubblico impiego a quelli che non hanno nessuna rilevanza, e dovendosi comparare l'inserimento in graduatoria con le sanzioni disciplinari.
Per la Cassazione il motivo di ricorso è fondato; secondo un principio consolidato dalla giurisprudenza di legittimità il determinarsi di falsi documenti o dichiarazioni non veritiere in occasione dell'accesso al pubblico impiego è causa di decadenza, per conseguente nullità del contratto allorquando tali infedeltà comportino la carenza dei requisiti che avrebbe in ogni caso impedito l'instaurazione del rapporto di lavoro con la Pa. Nelle altre ipotesi, le produzioni o dichiarazioni false effettuate in occasione o ai fini dell'assunzione possono comportare, una volta instaurato il rapporto, il licenziamento in esito al relativo procedimento disciplinare ed a condizione che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti.