Fisco e contabilità

Tari studi professionali, il Comune non può applicare i coefficienti massimi senza motivazione

di Giuseppe Debenedetto

Sono illegittime le tariffe Tari degli studi professionali se il Comune applica i coefficienti massimi previsti dal metodo normalizzato, senza alcuna motivazione plausibile. Lo ha stabilito il Tar Lazio con la sentenza n. 5788/2020 che ha annullato le delibere di approvazione delle tariffe Tari per gli anni dal 2017 al 2019 di una città toscana.

Il ricorso contro le delibere comunali è stato proposto da un comitato di professionisti e dai rappresentanti dei rispettivi ordini professionali (commercialisti, avvocati, architetti eccetera) e dai singoli professionisti che contestavano l'applicazione, per la categoria 11 delle utenze non domestiche (agenzie e studi professionali), dei coefficienti di produttività nella misura massima consentita dal Dpr 158/1999. In particolare i ricorrenti hanno censurato l'illegittimità di un sistema presuntivo senza tenere conto della quantità di rifiuti effettivamente prodotta, in violazione al principio del «chi inquina paga». É stata inoltre eccepita la mancanza di motivazione in ordine all'applicazione dei coefficienti massimi e la violazione dello statuto dei diritti del contribuente.

Superate una serie di questioni pregiudiziali, il Tar ha richiamato l'evoluzione della disciplina sul prelievo sui rifiuti, a partire dal testo unico per la finanza locale (Rd 1175/1931) fino ad arrivare alla legge 147/2013 che consente ai Comuni di ricorrere al metodo normalizzato per la determinazione delle tariffe, con conseguente perdurante efficacia del Dpr 158/1999. Si tratta di un sistema presuntivo in linea con il principio comunitario del «chi inquina paga» in quanto basato su un meccanismo di proporzionalità: i criteri di calcolo sono infatti riferiti alla potenzialità della produzione annua di rifiuti per ogni singola categoria economica. Per il calcolo della tariffa si utilizzano i coefficienti Ka e Kb per le utenze domestiche, Kc e Kd per le utenze non domestiche, nell'ambito dei valori stabiliti dal Dpr 158/1999.

Fin qui tutto regolare, ma il Tar ha ritenuto fondati i rilievi sulla carenza di istruttoria e di motivazione, non avendo il Comune spiegato le ragioni per le quali ha scelto di assoggettare gli studi professionali a una imposizione, la più elevata possibile, non sostenuta da plausibili e adeguate evidenze che avrebbero dovuto essere il frutto di un'istruttoria.

In particolare, il Tar ha evidenziato che il Comune ha scelto di applicare il coefficiente massimo previsto dal Dpr 158/1999 per gli studi professionali (categoria 11) senza alcuna ragione e in mancanza peraltro di un criterio omogeneo con le altre categorie tendenzialmente assimilabili. In particolare per gli studi professionali sono stati utilizzati i coefficienti massimi Kc e Kd, mentre per la categoria 12 (banche e istituti di credito) e 21 (attività artigianali) sono stati utilizzati quelli minimi nell'ambito dei range previsti dal Dpr 158/1999.

Il Tar ha fatto presente che il Dl 124/2019 ha ricondotto gli studi professionali nella categoria 12 del Dpr 158/1999, con coefficienti di produttività più bassi, ma questa innovazione trova applicazione a decorrere dal 2020. Per le annualità precedenti il Comune avrebbe dovuto esplicitare le ragioni alla base della determinazione nella misura massima della tariffa per la categoria degli studi professionali. Si tratta in conclusione di un deficit motivazionale che comporta l'annullamento delle delibere tariffarie Tari per gli anni 2017, 2018 e 2019.

La sentenza del Tar Lazio n. 5788/2020

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