Amministratori

Tpl, l'intervento della Consulta «complica» l'applicazione delle sanzioni disciplinari alle società pubbliche

Resta aperta la questione nel merito della validità della retrocessione del dipendente che la Corte ha ritenuto inammissibile

di Luca Vitali

Aderendo alla lettura da tempo consolidata della dottrina sulla misura della retrocessione, prevista dall'articolo 44, allegato A del Rd 148/1931, la Corte di cassazione, con l'ordinanza 13525/2019, aveva rimesso la questione alla Corte costituzionale sollevando molteplici e ampiamente motivati dubbi di compatibilità costituzionale della norma sanzionatoria e i diritti inviolabili dei lavoratori. E infatti la norma concede la possibilità al datore, a fini sanzionatori all'esito di un procedimento disciplinare, di assegnare al lavoratore uno o due "gradi" (rectius livelli) in meno di inquadramento con la sanzione accessoria della proroga dell'aumento dello stipendio. La sanzione disciplinare, secondo la Cassazione, appare non solo «inattuale», ma anche irragionevole «per effetto delle novità politico-sociali e normative intervenute nelle more del lungo tempo trascorso, caratterizzate essenzialmente dal mutato regime costituzionale». In particolare, la norma si pone in netto contrasto con l'articolo 7della legge 300/1970 poiché permette che l'effetto della sanzione sia virtualmente definitivo in quanto il ripristino del "grado" è rimesso alla valutazione discrezionale dell'azienda.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 188/2020, nei limiti della propria potestà di intervento, tenta di chiarire diversi aspetti problematici della vecchia normativa. La questione è di grande importanza dato che per le società pubbliche esercenti i servizi di trasporto pubblico locale non si applicano le norme del contratto del 1976 del Titolo VIII, e che, dunque, hanno come fonte del potere disciplinare solo l'allegato A del Rd 148/1931.

In primo luogo, incidentalmente la Corte rileva che il giudice rimettente non è carente di giurisdizione, in qualche modo avallando la nota pronuncia n. 460/2005 delle Sezioni Unite che avevano dichiarato implicitamente abrogato l'articolo 58 che affermava la giurisdizione del giudice amministrativo nella materia.

Successivamente alla Corte interessa sgombrare il campo dall'equivoco creato dallo stesso legislatore sulla effettiva vigenza del Rd 148/1931 che, con tecnica normativa piuttosto singolare, nell'aprile 2017, prima viene abrogato tutto in blocco, rinviando alla contrattazione collettiva (Dl 50/2017, articolo 27, comma 12-quinques), salvo poi essere ripristinato nel giugno successivo (Dl 91/2017), abrogando la norma abrogatrice.

Prima di decidere la questione, quindi, alla Corte interessa dichiararne la vigenza con un passaggio molto significativo che era stato prima colto anche dal giudice rimettente. Rileva infatti la Corte che, prima che spirasse il termine della perdita di efficacia definitiva del Rd 148/1931, il Legislatore è tornato sui suoi passi abrogando la norma abrogatrice, «Ciò a testimonianza del fatto che il legislatore continua ad annettere una valenza significativa alla presenza nel sistema di una regolamentazione speciale di settore». La Corte, dunque, con questa osservazione toglie ogni dubbio sulla vigenza e sulla legittimità della specialità della disciplina, confermata dal legislatore.

Resta però aperta la questione nel merito della validità o meno della sanzione disciplinare. Ciò perché la Corte ha ritenuto inammissibile e, dunque, non ha deciso sulla validità costituzionale della sanzione in sé considerata, limitandosi al vaglio sull'applicazione indiretta. La Cassazione aveva censurato la misura nella sua globalità, ma la questione di fatto rimessa al giudice e poi al vaglio incidentale della Corte, era limitata alla retrocessione applicata quale misura alternativa al licenziamento. Assimilando, dunque, tale ipotesi alle varie fattispecie di repechage comunque previste per tutti i lavoratori, non ha ritenuto tale differente trattamento irragionevole, affermandone la compatibilità costituzionale.

Se questo era un intervento chiarificatore atteso dagli interpreti, già spiazzati per il recente contrasto interpretativo della Cassazione sulla permanenza o meno dei consigli di disciplina, a ben guardare, invece, la sentenza rischia, nella pratica applicazione della norma, di creare contenzioso poiché manca un indirizzo interpretativo definitivo e il legislatore si è ben guardato dall'intervenire.

Difatti, avviando un procedimento disciplinare per le fattispecie previste dall'articolo 44, le società dovranno decidere se applicare la misura diretta della retrocessione rischiando un'impugnazione. La Corte costituzionale ha dato un indubbia forza al Rd n. 148 che è legge speciale sicuramente vigente e applicabile, ma è vero allo stesso momento che la Cassazione, con l'ordinanza n. 13525/2019 si era espressa sulla sanzione nella sua globalità, censurandola con motivazione molto pregevole, la cui autorità potrebbe essere richiamata dai giudici di merito. Inoltre, se un siffatto giudizio tornasse alla Cassazione, la stessa Corte potrebbe ritenere di interessare nuovamente il giudice delle leggi.
Il quadro che ne deriva è che, rispetto alle sanzioni più gravi, nel settore Tpl c'è ancora grandissima incertezza applicativa.

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