Fisco e contabilità

Un «piccolo» debito erariale non pregiudica la veridicità della dichiarazione di mancanza di pendenze fiscali

I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede

di Michele Nico

Nell'ambito del procedimento amministrativo per il rilascio di un titolo autorizzatorio, un debito fiscale di importo esiguo è ininfluente e non inficia la veridicità di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa in base all'articolo 75 del Dpr 445/2000 in ordine all'assenza di pendenze fiscali verso l'erario.
Sulla base di questo principio il Consiglio di Stato (sentenza n. 7507/2022, Sezione VII) ha rigettato il ricorso della Direzione interregionale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la riforma della decisione del Tar Molise, che aveva accolto la domanda di una società per l'annullamento degli atti con cui l'Agenzia aveva respinto un'istanza di rinnovo del patentino per la rivendita di generi di monopolio.

Il fatto
In vista del rinnovo di cui sopra la società interessata aveva attestato l'assenza di debiti verso l'erario, mentre l'Agenzia aveva accertato l'iscrizione a ruolo, a carico della società in questione, di un importo di 238,74 euro, per il mancato pagamento del canone Rai per l'anno 2010, la cui cartella esattoriale era stata notificata il 22 luglio 2016. Di qui il diniego all'istanza di rinnovo con un provvedimento motivato dal venir meno del rapporto fiduciario della Pa nei confronti della società, con l'intimazione di restituire il patentino di cui sopra.
In sede di giudizio l'Agenzia delle Dogane ha suffragato il proprio modus operandi sostenendo che la giurisprudenza amministrativa in materia di dichiarazioni sostitutive di atto notorio non veritiere è molto rigorosa, a prescindere da qualsiasi valutazione dell'elemento soggettivo del dichiarante.
L'Agenzia ha inoltre rilevato che la perentorietà della regola prevista dall'articolo 75 del Dpr 445/2000, quale sanzione per la mendace dichiarazione sostitutiva di atto notorio, trova la sua ratio giustificativa nella violazione, da parte del dichiarante, dei doveri di autoresponsabilità e di leale collaborazione con la Pubblica amministrazione.

Il principio di buona fede
Di contro, la Sezione ha confutato queste argomentazioni difensive e ha escluso che, nelle circostanze date, il titolare della società abbia voluto rendere una dichiarazione mendace per accedere a benefici indebiti. Sotto il profilo giuridico il collegio ha evocato:
• l'articolo 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990 n. 241, secondo cui «i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede»;
• l'articolo 10 della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), in base al quale i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.
Di qui l'assunto, di portata dirimente ai fini dell'esito della decisione, secondo cui «il dovere di correttezza e buona fede, alla cui osservanza deve conformarsi l'operato della Pa, costituisce manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale, che rinviene il proprio fondamento nell'art. 2 della Costituzione e grava reciprocamente su tutti i membri della collettività, intensificandosi a seguito della instaurazione di momenti relazionali giuridicamente qualificati, dovendosi riconoscere l'esistenza di una proporzionalità diretta tra l'ambito e i contenuti dei doveri di correttezza, lealtà e buona fede e il grado di intensità del momento relazionale e del conseguente affidamento da questo ingenerato».

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