Vetrate panoramiche, l'edilizia libera non salva dalle possibili contestazioni
Niente permessi ma spazio ai controlli del Comune e a controversie in condominio sul decoro architettonico (con possibile impatto sui bonus casa)
Con la conversione in legge del decreto Aiuti bis (Dl 115/2022), dal 22 settembre scorso le cosiddette vetrate panoramiche amovibili (“Vepa”) rientrano in edilizia libera. Questo, però, non mette al riparo da contestazioni.
Sul fronte condominiale, aleggia la questione del decoro architettonico della facciata, tutelato dall’articolo 1120 del Codice civile. La regola è che sia il condominio che il singolo condomino che considerino penalizzato il decoro possono andare in tribunale e chiedere la rimozione del manufatto. Quindi, anche se in astratto l’installazione di Vepa non va autorizzata dal condominio, è bene muoversi con cautela, considerato che per la Cassazione (sezione II, 29 gennaio 2016, n. 1718) occorre riferirsi alla «estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell’edificio».
Anzitutto, bisogna verificare se il regolamento di condominio dispone qualcosa sul tema. Poi, sarà bene avvertire l’amministratore di condominio e, tramite lui, gli altri condòmini prima di procedere, spiegando l’intervento che si sta programmando: in questo modo, chi ha contestazioni da fare potrà esprimersi prima. Anche se formalmente non si tratta di un’autorizzazione, diventa difficile contestare dopo l’esecuzione un intervento sul quale non è stato detto nulla prima dei lavori.
Sul fronte amministrativo, la legge ha inteso superare la posizione ormai consolidata in giurisprudenza, secondo cui la chiusura di balconi e logge con vetrate, ancorché del tutto trasparenti e scorrevoli, integra una variazione di volume, sagoma e prospetti, con assoggettamento a permesso di costruire (di recente Consiglio di Stato, sezione VI, 9 agosto 2022, n. 7024).
È stato disposto, invece, che le Vepa possono rientrare in edilizia libera, laddove soddisfino una serie di condizioni: alcune di queste, però, non sono di facile interpretazione. Definite le Vepa come quell’installazione diretta «ad assolvere a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche», il Dl prescrive che queste strutture «devono favorire una naturale microaerazione» ed avere «caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche».
Nel quadro di queste definizioni non ci si è preoccupati in alcun modo di individuare parametri o standard che consentano, da un lato, di poter con esattezza distinguere le Vepa dalle “verande” (che continuano a costituire cubatura) e, dall’altro lato, di poter verificare il rispetto dei requisiti. Tra questi, le maggiori criticità emergono sulla “microareazione”, ma anche sulle regole sull’impatto estetico-architettonico della vetrata. Tema, quest’ultimo, che può in astratto far riemergere la questione “condominiale”.
L’indeterminatezza sembra aggravata dalla scelta di ricondurre le Vepa al regime dell’edilizia libera “pura”. La valutazione sui vari requisiti è affidata, così, al privato, senza vaglio di un tecnico, come avviene per gli interventi soggetti a Cila. Il mancato rispetto dei requisiti legittimerà i Comuni (senza limiti temporali) ad adottare provvedimenti di contestazione di abusi edilizi, con possibile “riqualificazione” da Vepa a veranda. Questo con potenziali ricadute sulla fruizione dei bonus fiscali.