Legittimi i limiti previsti dalla Asl sulle prestazioni sanitarie che acquista dal privato accreditato
Il Consiglio di Stato, Sezione III, con la sentenza n. 8259/2019, ha affermato un importante principio in materia di rapporti fra sanità pubblica e sanità privata.
Un laboratorio di analisi mediche privato convenzionato ha appellato la sentenza del Tar Sardegna con la quale è stato rigettato il ricorso, proposto dallo stesso laboratorio, per annullamento della proposta di contratto dall'Azienda per la tutela della salute della Regione Sardegna (Ats) per il triennio 2018/2019/2020 per l'acquisto di prestazioni di specialistica ambulatoriale, dell'istruttoria, dei provvedimenti che hanno approvato la proposta e il contratto, nonché della deliberazione del Direttore dell'Ats, nella parte in cui ha respinto il suo ricorso contro la proposta di sconto e di contratto dell'Ats Sardegna. Secondo la ricorrente, fermi restando i limiti di spesa previsti a livello regionale, la proposta dell'Ats prevedeva un immotivato trattamento deteriore rispetto ad altre strutture, anche a seguito dell'applicazione al suo fatturato, considerato quale base di calcolo del limite, di uno sconto del 20% che invece avrebbe avuto un carattere solo temporaneo, e quindi non sarebbe risultato applicabile all'anno considerato.
Secondo il laboratorio privato il fatturato 2017 è stato erroneamente determinato in quanto è stato ridotto dello sconto del 20% di cui all'articolo 1, comma 796, lettera O), della legge 296/2006, poiché questo istituto ha invece cessato gli effetti al 31.12.2009. La richiamata lettera O) prevedeva che le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticassero uno sconto pari al 2% degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal decreto del Ministro della sanità 22 luglio 1996 e pari al 20% degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto.
La sentenza del Tar Sardegna sarebbe quindi viziata dalla omessa considerazione della mancanza di un'idonea istruttoria volta a evidenziare le modalità di calcolo del tetto di spesa imposti al laboratorio, non essendo reputati sufficienti, al riguardo, i previsti criteri generali, dalla grave ed immotivata disparità di trattamento rispetto ad altri laboratori privati e, infine dalla errata decurtazione dal fatturato 2017 dello sconto di cui all'articolo 1, comma 796, lettera O), delle legge 296/2006, che nel frattempo aveva more cessato i propri effetti.
Il Collegio ha ritenuto infondato il ricorso. Nel merito, alla ricostruzione normativa di parte regionale che attesta la progressiva accentuazione di una pianificazione finanziaria autoritativa volta a ricondurre la spesa nei limiti delle risorse disponibili, secondo in giudici amministrativi, l'operato dell'amministrazione è ragionevole, poiché ha ricondotto a tipi negoziali predefiniti e a budget di spesa prevedibili, la spesa sanitaria per le strutture private convenzionate, calcolando il possibile risparmio finanziario a partire dai volumi di attività di ciascuna struttura sanitaria, rilevati secondo metodi e tempi di calcolo omogenei al fine di garantire l'imparziale applicazione del meccanismo.
Come affermato dall'amministrazione e come accertato dalla sentenza di primo grado, il piano approvato con la deliberazione del Direttore dell'Ats ha, quindi, rispettato il contenuto della delibera di giunta regionale scindendo in due fasi consequenziali il processo di determinazione dei tetti sulla base dei pregressi fatturati e limitando poi lo scarto delle variazioni al fine di evitare possibili effetti distorsivi di mercato, di modo che il laboratorio appellante ha potuto ottenere per il 2018 un tetto superiore del 17% a quello del 2017. Questo rende dubbia la sussistenza di un interesse tutelato a sindacare il difetto di motivazione, che comunque non sussiste, rispondendo l'operato dell'Ats ai criteri direttivi generali impartiti in sede regionale.
La coerente applicazione dei criteri regionali richiamati esclude, del resto, che possa ravvisarsi una disparità di trattamento rispetto ad altri operatori del settore. Quanto, poi, alla errata individuazione del fatturato 2017 a seguito dell'applicazione di uno sconto del 20, il Collegio concorda con la tesi dell'amministrazione, già accolta dal Tar, che ricostruisce la vicenda in termini di obbligata applicazione di un criterio di conformazione della spesa sanitaria per strutture private convenzionate agli ineludibili e via più stringenti limiti di compatibilità con la finanza nazionale. Il richiamo allo sconto del 20%, dunque, risulta ammissibile nell'ambito di una discrezionalità tecnica non manifestamente irragionevole o vessatoria, secondo un criterio di calcolo volto al contenimento dei costi sanitari entro i precisi limiti. La previsione dello sconto, per inciso, era inserita nello schema di contratto dell'anno 2017, approvato dalla Regione con una delibera non impugnata.
In conclusione, le aziende sanitarie, nel rispetto delle direttive generali regionali, possono prevedere tetti di spesa per le prestazioni erogabili, a carico della sanità pubblica, al fine di garantire l'equilibrio economico del sistema sanitario e dei bilanci regionali.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 8259/2019