Urbanistica

Consiglio di Stato: illegittima la domanda di condono limitata a una parte degli abusi

di Donato Palombella

Illegittimo il condono parziale limitato ad una sola parte del manufatto a causa dell'unicità della domanda di condono. A stabilirlo è stata la quinta sezione del Consiglio di Stato che, con la sentenza del 28 settembre 2015, n.4506, ha confermato il verdetto reso quasi dodici anni prima dalla seconda sezione bis del Tar Lazio, con la sentenza del 16 gennaio 2003, n. 180. Il condono edilizio risale al 1985. Può sembrare incredibile ma, a distanza di trentanni, nelle aule di giustizia si parla ancora di sanatoria e in molti comuni giacciono ancora cumuli di fascicoli accatastati in attesa che qualche volenteroso vada a spolverarli. Il caso in esame nasce da una "vecchia" concessione edilizia (per la cronaca siamo nel lontano 1991, prima dell'emanazione del Testo Unico e dell'avvento del permesso di costruire).

L'abuso è determinato dal dislivello del suolo
In fase esecutiva, come spesso accade, si è costretti ad adeguare l'opera allo stato dei luoghi che, nel nostro caso, presenta un cospicuo dislivello così, alla resa dei conti, si realizza un piano pilotis sopraelevato su un lato rispetto al terreno esterno e, come tale, un maggior volume difforme dagli elaborati progettuali concessionati. L'amministrazione comunale, ovviamente, rileva la difformità tra le opere assentite e quelle realizzate ed emette ordinanza di sospensione dei lavori e di sequestro del cantiere. Il proprietario cerca di salvarsi in corner presentando una istanza di sanatoria ex articolo 13 della Legge n. 47/1985 e, successivamente, ai sensi dell'articolo 39, comma 11, della Legge n. 724/1993.

I motivi del rigetto
Il Comune rigetta l'istanza di sanatoria ritenendo che la violazione contestata non posa essere condonata a seguito di alcune incongruenze. In effetti l'istanza di concessione in sanatoria, come spesso accade, non era del tutto trasparente, da un lato il proprietario dichiarava che «i lavori risultano essere appena strutturati in cemento armato» mentre, parallelamente, dichiarava che i lavori risultavano già ultimati. L'istanza di condono, inoltre, presentava altri "peccatucci": la domanda non accennava alle riscontrate violazioni in materia di distanze dai confini, mancava, inoltre, una precisa indicazione sui volumi oggetto di sanatoria. Ciliegina sulla torta, l'opera, in realtà, non era ultimata. Il Comune respinge l'istanza in sanatoria su un duplice presupposto: l'opera non sarebbe ultimata e definita nelle sue dimensioni finali, inoltre, non era stata chiesta la sanatoria per la violazione dei distacchi. Come tradizione vuole, il provvedimento di diniego viene impugnato dinanzi al Tar che, in questo caso, respinge il ricorso.

Secondo il proprietario l'abuso sarebbe solo ipotetico
Il proprietario sostiene che, in pratica, non sarebbe stato effettuato alcun abuso; l'unico problema sarebbe stato configurabile in relazione al pilotis realizzato a seguito del maggiore sbancamento e la nuova quota di imposta. Il piano terra sarebbe stato eseguito come da progetto ed i piani superiori, rispetto ai quali sarebbe stato possibile ipotizzare una violazione nel distacco dai confini, non sarebbero stati più realizzati.

L'esito del giudizio
Il giudizio si svolge praticamente a senso unico: il Tar respinge il ricorso ed il Consiglio di Stato conferma il verdetto. Secondo il giudice amministrativo il Comune ha ragione, la domanda di condono non può essere accolta in quanto parziale e circoscritta al piano pilotis. Le violazioni nelle distanze non sono state condonate e rimangono illegittime. Non è possibile neanche stabilire con certezza quali siano i volumi di cui si chiede la sanatoria.

Pollice verso da parte del giudice amministrativo
Il proprietario aveva omesso di indicare per quale ragione non sarebbero state applicabili le norme in materia di distanze tra edifici. Non sarebbe stato possibile procedere ad un condono parziale "salvando" i volumi emergenti fuori terra rispetto alla quota della strada ed abbandonando al proprio destino le altre opere non condonate. Il giudice amministrativo sottolinea, al riguardo, che la domanda di condono è unica, o viene respinta o viene accolta in toto ma non è possibile ipotizzare un "condono parziale" limitato ad alcune opere che si tradurrebbe, in sostanza, in una modifica del progetto assentito. In ipotesi, sarebbe al limite ipotizzabile un'opera scindibile in più parti autonome, ciascuna di per sé idonea a formare oggetto di una distinta domanda di concessione edilizia.

La confusione non salva le opere abusive
Nel caso in esame il giudice non ha posto l'accento sulla data indicata per l'ultimazione delle opere oggetto di condono in quanto i dubbi di legittimità riguardano la stessa domanda di condono presentata in modo tale da non indicare, con la dovuta chiarezza, quale poteva essere la parte del manufatto già ultimata (e, quindi, condonabile) e quale la parte ancora in costruzione. Insomma, la confusione regna sovrana e, almeno in questo caso, non è servita a "salvare" le opere asseritamente abusive.

Irrilevante il sequestro penale
Il proprietario cerca di salvarsi sostenendo che le opere non erano state portate a completamento non per sua incuria ma perché era sopraggiunto il decreto penale di sequestro del cantiere. I termini indicati nella concessione per l'esecuzione delle opere erano scaduti e il titolo abilitativo non era stato rinnovato. In tale ottica, sostiene sempre il proprietario, il condono non poteva essere respinto in quanto il fermo del cantiere era stato determinato da cause di forza maggiore. Anche questa eccezione non è stata accolta in quanto le norme sul condono edilizio sono applicabili solo per le opere portate a termine a prescindere dai motivi che hanno determinato la sospensione delle opere. D'altro canto il sequestro penale del cantiere serve proprio ad evitare che il proprietario, nel contempo, completi il manufatto.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4506/2015

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