Urbanistica

Intervento. Milano, sviluppare una nuova industrializzazione per attrarre investimenti ad alto valore aggiunto

L'obiettivo è fare della città uno dei cluster dominanti a livello europeo per automotive, plastica, energia, medtech, pharma

di Davide Reina, Niccolò Cusumano e Veronica Vecchi *

Milano e l'industria nel XX secolo sono stati un binomio inscindibile: fino quasi al 1990 il peso del settore secondario sul totale del PIL milanese era superiore al 30%, poi il declino.

Nel periodo 2000-2016, di cui sono disponibili i dati, la quota di valore aggiunto rappresentata dal settore industriale nell'area milanese è passata dal 22% al 17%. Una minoranza significativa, ma minoranza. Certo, al calo in termini relativi non corrisponde una contrazione in termini assoluti, dato che il valore aggiunto dell'industria milanese è comunque cresciuto in media dell'1,1% annuo. Ma i servizi, a cominciare da quelli finanziario-assicurativi e real estate, hanno fatto molto meglio coerentemente con la progressiva terziarizzazione delle economie più sviluppate.

Nel momento in cui a tutti è ormai evidente la necessità di un "Piano Milano" per far fronte alla sfida del post Covid, occorre sottolineare un punto essenziale: il rilancio della città non può prescindere da una politica di reindustrializzazione fondata sulla grande discontinuità tecnologica che caratterizzerà le principali filiere produttive - auto, energia e plastica in primis, negli anni a venire. In altre parole: un rilancio fondato sui servizi non basterà.

Bisogna, nello scenario difficile che si va delineando, definire delle politiche che supportino la città nella competizione europea per le nuove filiere industriali, al fine di attrarre investimenti ad alto valore aggiunto e fare quindi, di Milano, uno degli Hub industriali di riferimento del XXI secolo nel vecchio continente. L'opportunità di avviare una politica di reindustrializzazione di Milano e dell'area metropolitana allargata si fonda su due ragioni essenziali.

La prima è di scenario: l'iniziativa NextGenerationEU e il nuovo framework sugli aiuti di Stato che si va delineando renderanno disponibili notevoli risorse da destinare agli investimenti, a partire da quelli green.

La seconda è la situazione specifica del capoluogo lombardo: quarta area metropolitana in Europa per prodotto interno lordo nel 2016 alle spalle di Londra, Parigi e Madrid, e al centro di un tessuto industriale diffuso nella pianura padana che rappresenta la seconda manifattura europea alle spalle della Germania in termini di valore aggiunto. Inoltre, secondo l'Osservatorio Milano nel 2018 la nostra area metropolitana è diventata prima a livello europeo per qualità e reputazione delle principali facoltà universitarie, anche se potrebbe fare di più per l'integrazione con il mondo del lavoro degli studenti che attrae.

L'incrocio virtuoso tra lo scenario e il territorio determina l'opportunità: fare di Milano uno dei cluster dominanti a livello europeo per l'ideazione, la progettazione e la prototipazione d'innovazione di prodotto e di processo in settori industriali chiave - come, ad esempio, automotive, plastica, energia, medtech, pharma - in coerenza con le strategie di specializzazione già adottate sul territorio.

Tutt'intorno a Milano infatti, esistono centinaia d'imprese operanti in questi settori e in grado di proporre tecnologie e prodotti: una sorta di "cluster" distribuito in tutta la pianura padana, agile e reattivo, a cui però fanno difetto l'insufficiente focalizzazione, la dedicazione discontinua all'innovazione tecnologica e la scala ridotta degl'investimenti. Milano potrebbe colmare queste lacune, che sono insieme una sfida e una opportunità, agendo da ponte tra università e imprese attraverso la creazione di un grande Hub di ricerca applicata ed innovazione, sul modello del Fraunhofer Institut tedesco.

La reindustrializzazione di Milano non assumerebbe dunque la forma delle fabbriche con centinaia di operai che hanno caratterizzato il panorama ricorrente della periferia milanese nel secolo scorso. Si tratterebbe, piuttosto, di laboratori e spin-off d'avanguardia equipaggiati con linee produttive fortemente automatizzate e su piccola scala, per sviluppare progetti di ricerca applicata e realizzare prototipazioni e testing per conto delle aziende loro clienti. La "manodopera" di queste fabbriche di nuova generazione non sarebbero degli operai, ma ingegneri, fisici, chimici. E il modello di business di questi laboratori e spin-off si dovrebbe fondare sulla cessione dei brevetti e dei prototipi alle imprese produttive del Nord-Italia, in una logica di lavoro per progetto, royalties e success fee.

Il "Fraunhofer Institut" milanese produrrebbe un ulteriore risultato, oltre a quello di contribuire al rilancio del PIL di Milano: la possibilità di trattenervi le sue migliori risorse umane. Perché se è vero che la nostra città forma ogni anno migliaia di laureati eccellenti nelle discipline scientifiche, è altrettanto vero che molti ne perde a vantaggio dei paesi esteri. In questo modo, invece, li potremmo convincere a rimanere.

Data la dimensione del PIL lombardo, la grandezza di questo Hub di ricerca e sviluppo potrebbe avvicinare nel lungo periodo quella del Fraunhofer Institut tedesco, che impiega quasi 25.000 persone tra scienziati ed ingegneri suddivisi in 67 istituti, e che ha un bilancio annuale pari a 2.1 miliardi di euro, con il 70% di entrate provenienti dai progetti realizzati per il settore privato e un 30% proveniente da fondi pubblici.

La generazione di questo cluster produttivo d'avanguardia per capacità di fare innovazione tecnologica, in grado di riportare la tradizione produttiva nel cuore del tessuto urbano e di irrobustire Milano da un punto di vista competitivo rispetto alle altre città europee, esige però la definizione di un piano di azione basato su una forte collaborazione tra pubblico e privato, che consenta di utilizzare al meglio le risorse finanziarie presto disponibili, appunto, a livello europeo. Milano compete con l'Europa e, quindi, le strategie di investimento pubblico per la città non possono prescindere da un confronto europeo.

Tre dovrebbero essere le linee guida sui cui fondare l'azione pubblica per Milano. In primo luogo, occorre superare la polverizzazione degli strumenti di supporto nazionali e regionali riducendone il numero, e concentrando le risorse soltanto nelle filiere chiave. In secondo luogo, è necessario semplificare i criteri di accesso al capitale, incentrandoli sull'impresa invece che sul soggetto erogatore del contributo. Infine, occorre coinvolgere nell'ideazione degli strumenti e nella loro programmazione il settore privato fin dal principio, allo scopo di non creare a Milano una sorta di cattedrale del deserto, un "white elephant", bensì un organismo perfettamente integrato con il brain-power delle università milanesi da un lato, con il know-how delle imprese del Nord-Italia dall'altro, e che faccia leva sulle progettualità, sulle persone e sui capitali.

Stiamo per entrare in un tempo di grande trasformazione che rivoluzionerà le grandi GST (General Scope Technologies) del XX secolo: l'energia, l'automobile e la plastica. La città dove si realizzò la seconda centrale elettrica al mondo, la città che diede i natali all'Alfa Romeo, la città dove Giulio Natta inventò il polipropilene che gli valse il Premio Nobel per la chimica, deve farne parte da protagonista.

* Sda Bocconi School of Management

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