Urbanistica

Obiettivo «Milano aperta»: ecco perché sarà rilevante il vantaggio competitivo

INTERVENTO. Serve un network imprese-Pa-sanità-atenei per rendere il capoluogo lombardo la città più sicura del mondo dopo il coronavirus

di Veronica Vecchi, Niccolò Cusumano, Davide Reina*

Tra i settori che saranno maggiormente colpiti nella fase 2 dell'emergenza Covid vi sono l'horeca (Hotel, Ristoranti, Bar) e quello degli eventi, collegati per natura. Nella sola città di Milano, che contribuisce per un 12% al Pil nazionale, questi settori rappresentano una quota rilevante della produzione, che ha visto nel post Expo una forte espansione. Circa l'8% delle imprese appartengono alla ristorazione e all'ospitalità e la sola ristorazione conta un numero di addetti pari a 122mila (fonte Comune di Milano). Nel 2019 vi sono stati 7,5 milioni di arrivi, di cui circa il 65% dall'estero e il 33% degli eventi fieristici è di tipo internazionale (fonte Comune di Milano). Da dati Eurostat (2016), sebbene meno granulari, risulta che l'area metropolitana di Milano genera un valore aggiunto per commercio, trasporti, horeca di 38,5 miliardi e di 6,5 miliardi nel settore dell'arte e intrattenimento, generando, rispettivamente, 600 mila e 260 mila posti di lavoro.

Il crollo del fatturato dell'horeca sarà rilevante nella fase 2 come conseguenza del distanziamento sociale, della scarsa propensione degli utenti in un contesto in cui c'è ancora troppa incertezza sul livello di contagio e della chiusura delle frontiere internazionali. La Fipe ha stimato una perdita di fatturato di 1,8 miliardi di euro per il 2020 nell'area metropolitana di Milano. Il crollo del fatturato durante il lockdown è stato del 85% sui pubblici esercizi della città di Milano, con una perdita stimata da Fipe di 5 milioni al giorno.
Il settore horeca ha già gridato a gran voce che le misure di contenimento basate sul distanziamento sociale non sono adeguate per assicurare almeno la copertura dei costi di gestione; dall'altro lato l'utilizzo del suolo pubblico esterno, se può rappresentare una risposta per le città di medie-piccole dimensioni, non può certo essere la risposta per una città come Milano, perché il suolo pubblico utilizzabile è fortemente ridotto e perché è discriminatoria. Infine, è impensabile e insostenibile l'utilizzo prolungato di regimi di aiuto pubblico, quali quelli previsti dal Dl rilancio.

Passando dal macro al micro, per fare un esempio: un ristorante in centro a Milano, nelle prossimità dei cantieri della nuova metropolitana M4, subisce una riduzione dei coperti per più del 50%, solo per effetto del distanziamento. Molti ristoranti storici, inoltre e giustamente, non vorrebbero dover ricorrere al licenziamento di una parte del personale che rappresenta un elemento cardine della loro identità. Le sovvenzioni dirette previste dall'art.25 del Dl Rilancio del 19 maggio iniettano qualche migliaia di euro di liquidità (5.000/6.000 euro ipotizzando una impresa che fatturi 400mila euro all'anno e non abbia avuto ricavi nel mese di aprile), che seppur offra una boccata di ossigeno non è certo una soluzione convincente né per i beneficiari né per lo stato. Milano è tra le 50 città che trainano l'economia globale (secondo uno studio di Mckinsey) e i suoi competitor europei sono le città di Londra, Parigi, Berlino, Francoforte, Amsterdam, Madrid e Barcellona.

Dal mese di giugno le frontiere tra paesi europei potrebbero riaprire e, in questo scenario, Milano rischia di pagare un prezzo molto alto in termini di incertezza sul rischio di contagio, essendo la Lombardia una delle regioni più colpite in Europa. Lo studio francese di Miquel Oliu-Barton (dell'Università di Paris-Dauphine) & Bary Pradelski (Cnrs), che stanno dialogando con la Commissione europea per valutare la creazione di corridoi "verdi" tra regioni europee in vista della stagione estiva ma anche per evitare che la fase 2 comprometta la ripresa economica nelle aree che possono assicurare un controllo del contagio, indica quali misure centrali per rientrare nella zona verde il livello di contagio, rispetto a cui il test sierologico è fondamentale, e la disponibilità di posti letto di terapia intensiva.
Per non trovarsi impreparati alla riapertura ma soprattutto alla vera ripresa delle attività, con tutta probabilità a settembre, è necessario individuare un piano per Milano che non può essere lo stesso messo a punto nel resto d'Italia, e questo non tanto perché la città è stata tra le più colpite dall'epidemia, quanto piuttosto in ragione del fatto che essa compete con altre città a livello internazionale.

Per questo, Milano richiede un piano di protezione contro il rischio di contagio che vada oltre le indicazioni elaborate a livello nazionale, pur nel loro rispetto. I prossimi mesi saranno cruciali per mettere a punto soluzioni innovative che consentano alla città una rapida ripresa economica specialmente in quei settori come l'horeca in cui le misure attualmente definite per il contenimento del contagio rischiano di compromettere la sostenibilità economica di molte attività. Di conseguenza Milano deve avere il coraggio di proporre, grazie una forte collaborazione e dialogo pubblico-privato, soluzioni, anche sperimentali, di sanificazione degli ambienti chiusi, anche perché altre città a livello internazionale faranno con ogni probabilità la stessa cosa, al fine di determinare un vantaggio competitivo a loro favore nel mercato globale del turismo e dei viaggi d'affari.

L'Italia ha dimostrato, nel pieno dell'emergenza sanitaria, come modelli di collaborazione pubblico-privato nati in modo frugale (le cosiddette "hastily-generated" partnership) abbiano dato una risposta interessante nella produzione sia di ventilatori e dispositivi per le terapie intensive sia di mascherine. Fattori abilitanti di questa capacità di trovare risposte sono state la straordinaria iniziativa imprenditoriale, specie delle piccole imprese, e interlocutori pubblici che hanno reso possibile, con percorsi accelerati, la produzione sperimentale. È da questo modello frugale di collaborazione che bisogna imparare e partire, per individuare risposte innovative all'emergenza che oggi è più economica che sanitaria.

Che cosa serve dunque? In primo luogo serve un approccio sistemico, basato sulla collaborazione di istituzioni pubbliche, sanità pubblica e privata, università e centri di ricerca, imprenditoria. Un network vasto delle migliori competenze che la città può offrire, da mettere a sistema con un obiettivo di fondo: come poter fare di Milano, e dei suoi ristoranti, alberghi e bar, una città aperta e la più sicura possibile nonostante il Coronavirus. Possibilmente (e ambiziosamente) più sicura delle altre città a livello internazionale. Per fare questo occorre, innanzitutto, che il network definisca un protocollo di sanificazione degli ambienti chiusi che sia tra i più innovativi e avanzati al mondo. E questo non tanto in termini di regole (chiunque può raccomandare di avere poche persone in un luogo chiuso al fine di ridurre il rischio di trasmettere un virus) quanto piuttosto di strumenti. Per quanto riguarda gli strumenti, a parte mascherine e guanti, ci sono diversi progetti in corso a livello internazionale per sviluppare modalità innovative di sanificazione dell'aria (e del coronavirus) in ambienti chiusi, portati avanti tra gli altri dalla Columbia University e dalla Harvard Medical School negli Stati Uniti.

Esattamente come per il vaccino, è scattata una corsa anche in questa direzione. Per ovvie ragioni: se si trovasse una modalità abbastanza semplice per eliminare il coronavirus da ambienti chiusi la domanda di mercato sarebbe enorme e riguarderebbe in primo luogo l'horeca, ma anche l'aviation e i trasporti in generale, gli ospedali e, ovviamente, le scuole di ogni ordine e grado. Milano, in particolare, deve prendere parte a questa gara, coinvolgendo le sue migliori competenze: epidemiologi e statistici, ingegneri ed esperti di artificial intelligence dovrebbero essere coinvolti per avviare protocolli di sperimentazione coordinati dal Comune. Ovviamente queste apparecchiature hanno un costo, e dovrebbe esserne facilitato l'acquisto da parte degli operatori del settore horeca attraverso incentivazioni economiche e finanziarie ad hoc (quali per esempio iper-ammortamento, credito d'imposta, ecc.). In secondo luogo è indispensabile ridurre l'incertezza, che è il nemico principale di qualsiasi ripresa economica. In particolare, è evidente anche a livello internazionale, che a Milano la diffusione dell'epidemia sia stata molto, ma molto più alta dei numeri ufficiali. Va superato il vulnus di questa incertezza, che altrimenti potrebbe marginalizzare Milano dai flussi del turismo di piacere ed affari nei prossimi mesi.

A questo scopo, incentivare il ricorso ai test da parte della popolazione della città di Milano e dell'area metropolitana e raccogliere in modo sistematico i dati consentirebbe di avere una visione il più possibile precisa del quadro epidemiologico. I benefici di questa operazione dovrebbero essere valutati non soltanto dal punto di vista sanitario, ma anche, e, forse, soprattutto di percezione del rischio e affidabilità, elementi questi particolarmente rilevanti per il traffico turistico e d'affari e in generale nella percezione di Milano da parte del resto del mondo. Il Comune, in collaborazione con la regione e le strutture sanitarie pubbliche e private, ha la forza per assicurare il test a una fetta statisticamente rilevante della popolazione. A tal riguardo i cittadini devono essere incentivati al test, superando la paura di un eventuale esito positivo, con la messa a punto di soluzioni mirate di assistenza, sanitaria ed economica. Da un punto di vista finanziario, la definizione di tariffe di riferimento e un credito di imposta recuperabile sull'Imu o sulla Tari potrebbero rappresentare una risposta efficace.

Città come Whuan, anch' essa tra le 50 città superstar mondiali come Milano, hanno già annunciato test sierologici sull'intera popolazione da realizzarsi in meno di un mese. Milano non può rimanere indietro in questo. Momenti di crisi come quello attuale richiedono che il pubblico agisca non in modo burocratico, come ha fatto sanzionando una protesta pacifica della ristorazione milanese, ma in modo imprenditoriale mettendosi al fianco degli operatori del settore, stimolando e facilitando amministrativamente, fiscalmente e finanziariamente ogni loro sforzo concreto nella direzione di soluzioni che garantiscano una sicurezza del personale e dei clienti. Una soluzione operativa in questo senso potrebbe essere la creazione di un one-stop shop guidato dai più capaci dirigenti e funzionari comunali che, con il supporto delle associazioni di categoria, delle università e dei centri di ricerca, diventi punto di snodo per individuare rapide risposte, in logica collaborativa e di partnership, con il mercato e soprattutto con il settore horeca. In un tempo come quello in cui viviamo non ci sono vie di mezzo, o si evolve in qualcosa di più grande oppure ci si ritira in qualcosa di più piccolo (in sintesi, go big or go home). E il vantaggio competitivo è sempre stato una conseguenza della propria eccellenza e della altrui mediocrità. A settembre, dobbiamo essere nel novero delle città eccellenti.

* SDA Bocconi school of management

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