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Nelle Regioni la crisi apre un buco da 4 miliardi

I conti pubblici piegano drasticamente in rosso, e non solo a livello centrale. Negli stessi minuti in cui il ministero dell’Economia comunicava che a maggio il saldo del settore statale si è chiuso in negativo per 25,5 miliardi, cioè 24,5 miliardi peggio rispetto a 12 mesi fa, le Regioni in videoconferenza con i vertici di Via XX Settembre, presentavano i numeri dei loro buchi di bilancio: in sintesi, 4 miliardi circa, aggiuntivi rispetto a quelli coperti con il fondo da 1,5 miliardi messo nel decretone anticrisi.

Il problema è speculare a quello sollevato dai Comuni la scorsa settimana al presidente del consiglio: i sindaci lamentano un crollo di entrate che a livello annuale può arrivare intorno ai 7 miliardi, mentre il decretone ne stanzia 3 come fondo aggiuntivo e quasi un altro per accompagnare i diversi interventi fiscali. I presidenti di Regione calcolano una voragine da 3,2 miliardi nelle Autonomie speciali, e superiore ai 2 miliardi dove lo Statuto è ordinario. La manovra anticrisi al momento offre appunto un miliardo e mezzo.

Identico il tema, analogo lo svolgimento proposto ieri dal ministro dell’Economia Gualtieri: un tavolo tecnico per definire al meglio i numeri e costruire le «soluzioni condivise». Rispetto alle questioni comunali, però, una differenza c’è: ed è data prima di tutto dal fatto che in regione circolano anche i fondi europei. La norma del decreto anticrisi che permette il «cofinanziamento al 100%» con risorse Ue, e che quindi in pratica consente di smarcare i fondi regionali a supporto degli interventi, può liberare una quota di risorse. E una flessibilità maggiore nelle riprogrammazioni, suggeriscono i presidenti di Regione, potrebbe aiutare a destinare i fondi Ue al ventaglio, ampio, delle spese emergenziali oggi riconosciute da Bruxelles. Difficile trovare 4 miliardi per quella via, certo, ma più di un passo in avanti può essere compiuto per cercare di sostenere il welfare locale e l’istruzione, accanto al trasporto locale puntellato per ora con 500 milioni dalla maximanovra.

Nel caso dei Comuni questa flessibilità non c’è, al punto che la scorsa settimana Conte è arrivato a ipotizzare un nuovo scostamento sul deficit per venire incontro ai sindaci ma anche ai tanti altri settori in difficoltà. Sul tema Gualtieri ovviamente frena, anche per non mettere nuovo sale sullo spread proprio nei giorni in cui i rendimenti dei Btp hanno cominciato a scendere grazie all’avanzata del cantiere europeo sugli interventi comunitari (ieri il decennale ha chiuso un’unghia sotto l’1,5%). In vista del tratto decisivo del negoziato, il governo lavora al Piano nazionale di riforma che rappresenta la premessa per il Recovery Plan italiano, cioè la lista degli interventi che in autunno si candideranno al finanziamento comunitario. Nella definizione dei programmi, ha assicurato ieri Gualtieri ai presidenti, saranno coinvolte anche le Regioni. Ma il calendario non aiuta, perché gli eventuali anticipi 2020 degli aiuti Ue non si profilano consistenti, e la chiusura di ogni spazio di ulteriore intervento italiano non è facile da gestire.

Il deficit però, rischia di aumentare rispetto agli obiettivi anche senza nuove richieste al Parlamento. Il rosso da 25,5 miliardi registrato a maggio non è una sorpresa, perché nasce dall’incrocio fra il rinvio dei versamenti fiscali e contributivi e l’impennata della spesa emergenziale prodotta per esempio dal pagamento dei bonus avviati con il decreto Marzo. I numeri del fabbisogno misurano la temperatura della cassa, ma è inevitabile che una parte dei versamenti sospesi dai decreti di marzo e maggio non si presenteranno puntuali una volta terminata la moratoria. E una caduta del Pil in linea con gli scenari più neri fra quelli elaborati da Mef e Bankitalia allargherebbe inevitabilmente il deficit rispetto ai calcoli del Def.

In questo scenario complicato arrivano due buone notizie. La prima è per le imprese: la convenzione fra Mef e Cdp permette di avviare la macchina delle anticipazioni destinata a fornire fino a 12 miliardi ad Asl ed enti territoriali per il pagamento dei loro vecchi debiti ai fornitori. Il tasso di interesse, 1,226%, e la possibilità di ripiano in 30 anni per l’anticipazione dovrebbero spingere le amministrazioni, che avranno tempo dal 15 giugno al 7 luglio per chiedere il finanziamento da trasformare in liquidità per le imprese. L’altra novità è per i dipendenti statali: la Corte dei conti ha registrato il decreto sull’anticipo della buonuscita, che dopo un anno e mezzo vede finalmente vicino il traguardo dell’attuazione.

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