Fisco e contabilità

Società partecipate, da aggiornare i programmi di valutazione dei rischi

di Marco Bertocchi e Andrea Rancan

La crisi finanziaria generata dal Covid 19 evidenzia, anche per le società pubbliche e i loro enti soci, la necessità di dotarsi di strumenti di controllo basati sull’analisi prospettica della situazione economico finanziaria e patrimoniale aziendale. In quest’ottica è assai importante cogliere l’opportunità di adeguare, oltre agli strumenti di governo e gestione delle società, anche i programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale ex art. 6, c. 2 Tusp, da inserire nella relazione sul governo societario che le società devono predisporre annualmente e pubblicare contestualmente al bilancio d’esercizio (si veda l’articolo su QuelPA del 18/5/20). L’attuale crisi finanziaria richiede un aggiornamento e una messa a punto sostanziale dei programmi di valutazione del rischio per l’anno in corso, che tenga conto del radicale cambiamento di scenario che si sta verificando rispetto al periodo di riferimento dei bilanci in chiusura.
Sebbene la predisposizione dei programmi di valutazione del rischio sia una responsabilità specifica degli amministratori delle società a controllo pubblico, sarebbe opportuno, in questa delicata fase, che il loro aggiornamento avvenisse in modo congiunto tra società ed enti soci, nell’ambito di una strategia comune volta ad affrontare gli impatti economico finanziari della crisi.
In ogni caso, anche in assenza delle condizioni (e dei tempi) per realizzare un percorso condiviso con le società partecipate, gli enti locali, nel loro ruolo di soci, sono tenuti a verificare la presenza dei programmi di valutazione del rischio aziendale nelle relazioni sul governo societario. Questo, peraltro, è uno degli elementi che la Corte dei conti verifica nelle relazioni annuali sul funzionamento del sistema integrato dei controlli interni: si vedano in merito le linee guida 2018 per gli enti locali (Del. Sez. Autonomie n. 22/19) e le più recenti linee guida 2019 per le regioni (Del. Sez. Autonomie n. 5/20). Queste ultime, in particolare, non si limitano a richiedere se la relazione sul governo societario contiene il programma di valutazione del rischio aziendale, e se da tale programma sono emersi indicatori di crisi aziendale, ma si spingono oltre richiedendo (in caso di risposta affermativa) di indicare quali provvedimenti sono stati adottati a norma dell’art. 14 cc. 2-4 del Tusp da parte degli amministratori della società partecipata. Da ciò si desume che il controllo affidato agli enti soci non sia puramente formale e non debba limitarsi alla sola presenza dei programmi di valutazione del rischio, ma debba spingersi a verificare la loro effettiva attuazione da parte degli amministratori delle società partecipate.
È inoltre importante verificare che i programmi di valutazione del rischio contengano le informazioni idonee a rivelare tempestivamente eventuali criticità che potrebbero portare ad una situazione di crisi.
Ma come vanno strutturati i programmi di valutazione del rischio? Quali informazioni dovrebbero richiedere gli enti soci alle proprie società partecipate?

Come strutturare i programmi di valutazione del rischio
Una risposta a queste domande viene fornita dalle Linee guida su “Relazione sul governo societario - contenente Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale” rilasciate da Cndec e Fnc nel mese di marzo 2019.
Le Linee guida strutturano il programma di valutazione del rischio come una sezione della relazione sul governo societario (le altre due sezioni sono la relazione consuntiva sul monitoraggio del rischio di crisi al 31/12 e la sezione sugli strumenti integrativi del governo societario), e lo suddividono in tre sottosezioni:
1. Definizioni (continuità aziendale – crisi);
2. Strumenti per la prevenzione del rischio di crisi:
- Analisi di indici e margini di bilancio;
- Indicatori prospettici;
- Altri strumenti di valutazione;
3. Sistema di monitoraggio periodico.

Quali informazioni richiedere (oltre gli indici di bilancio)
Le Linee guida sottolineano la necessità di integrare i programmi di valutazione del rischio andando oltre i tradizionali indici di bilancio. L’analisi di bilancio, infatti, fornisce una visione retrospettiva, basata su dati sintetici storici che, soprattutto nella situazione di forte discontinuità che si è venuta a creare rispetto al recente passato, non sono in grado di fornire indizi adeguati sulla solvibilità di un’azienda nei prossimi mesi.
Gli indici di bilancio vanno quindi integrati con strumenti di pianificazione e controllo, adeguati rispetto a dimensioni, complessità e contesto aziendale, tali da consentire di monitorare l’andamento e di prevenire situazioni di crisi e/o di insolvenza in un’ottica prospettica.
Da questo punto di vista, un primo nucleo base di indicatori dovrebbe prendere direttamente riferimento dalle casistiche individuate dall’art. 13 del Cci, quali sintomi dello stato di crisi aziendale:
· la non sostenibilità del debito nei successivi sei mesi;
· il pregiudizio alla continuità aziendale nell’esercizio in corso o se la durata residua dell’esercizio è inferiore a sei mesi per i successivi sei mesi;
· la presenza di reiterati e significativi ritardi nei pagamenti, che comportino non episodiche azioni esecutive da parte dei fornitori, ovvero grave pregiudizio negli approvvigionamenti.
Il documento elaborato dal Cndec nel mese di ottobre 2019 “Crisi d’impresa - gli indici dell’allerta” individua due indicatori fondamentali che fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi aziendale:
1. il valore del patrimonio netto negativo, oppure al di sotto del limite legale;
2. il valore del Debt Service Cover Ratio (Dscr) a sei mesi inferiore a 1.
Qualora il Dscr non sia disponibile, il documento del Cndec suggerisce l’utilizzo dei seguenti cinque indici:
a) indice di sostenibilità degli oneri finanziari in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato;
b) indice di adeguatezza patrimoniale, in termini di rapporto tra patrimonio netto e debiti totali;
c) indice di ritorno liquido dell’attivo, in termini di rapporto da cash flow e attivo;
d) indice di liquidità, in termini di rapporto tra attività a breve termine e passivo a breve termine;
e) indice di indebitamento previdenziale e tributario, in termini di rapporto tra l’indebitamento previdenziale e tributario e l’attivo.
Nel caso in cui si debba ricorrere agli indici per indisponibilità del Dscr, è da rilevare un doppio problema: se gli indici si basano su dati di bilancio storici, in periodo di discontinuità questa indicazione non può più essere considerata sufficiente. Il secondo problema è insito nella dichiarazione che mancano gli elementi per calcolare il Dscr: in questa ipotesi, l’impresa non ha adempiuto a quanto richiesto dall’art. 2086 Cc che impone un “adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale”. È evidente che mancando tale assetto non si possa calcolare il Dscr, autocertificando questa carenza.
Le stesse Linee guida elaborate nel Marzo 2019 suggeriscono che gli indici di allerta ex art. 13 del Cci possano essere presi come riferimento dagli amministratori delle società pubbliche nei programmi di valutazione del rischio ex art. 6, c. 2 Tusp.

La centralità del business plan e del Dscr
In ogni caso, sia le Linee guida di marzo 2019 che il Documento del Cndec di ottobre 2019 convergono sulla centralità di business plan basati su flussi di cassa prospettici, quale elemento portante dei sistemi di valutazione del rischio. Solo un business plan rigoroso e monitorato sistematicamente:
· consente in modo inequivocabile di valutare la continuità aziendale;
· permette di individuare con ragionevole certezza la sostenibilità del debito;
· fornisce agli amministratori le informazioni che consentono ex ante di misurare il fabbisogno finanziario e le risorse disponibili per la sua copertura;
· consente di individuare le azioni da adottare per correggere tempestivamente la rotta.
Il business plan, inoltre, costituisce la base su cui calcolare il Dscr basato sul metodo cd diretto, che consente una valutazione più analitica e più attendibile della sostenibilità finanziaria, rispetto al metodo di calcolo c.d. indiretto.
Il Dscr calcolato con il metodo diretto deriva da un budget di tesoreria che rappresenti le entrate e le uscite di disponibilità liquide attese nei successivi sei mesi (meglio ancora, però, se ci si spinge fino ai successivi dodici mesi). Da tale budget si ricavano il numeratore e il denominatore dell’indice:
- al denominatore si sommano le uscite previste contrattualmente per rimborso di debiti finanziari (verso banche o altri finanziatori);
- al numeratore si sommano tutte le risorse disponibili per il suddetto servizio al debito, dati dal totale delle entrate di liquidità previste nei prossimi mesi, incluse le giacenze iniziali di cassa, dal quale sottrarre tutte le uscite di liquidità previste riferite allo stesso periodo, ad eccezione dei rimborsi dei debiti posti al denominatore.
Se il Dscr presenta un valore superiore a 1, allora esso è indicatore di equilibrio finanziario. Viceversa, valori inferiori a 1 danno evidenza della non sostenibilità finanziaria del debito nell’orizzonte temporale.

Il sistema di monitoraggio e il controllo degli enti soci
Il programma di valutazione del rischio deve inoltre descrivere il sistema di monitoraggio adottato dalla società. Lo schema proposto dalle Linee guida di marzo 2019, in proposito, suggerisce che l’organo amministrativo debba redigere con cadenza almeno semestrale un’apposita relazione avente a oggetto le attività di monitoraggio dei rischi in applicazione di quanto stabilito nel programma di valutazione del rischio.
Tuttavia, l’efficacia del sistema di controllo interno adottato è strettamente legata alla sua capacità di rendere disponibili informazioni tempestive, per consentire agli amministratori di agire preventivamente per allontanare, o comunque governare gli effetti della crisi. Pertanto, è ragionevole ipotizzare che, quantomeno le previsioni dei flussi di cassa su cui si basa il business plan aziendale siano aggiornate con periodicità almeno trimestrale (o ancora meglio mensile), mantenendo sempre l’orizzonte temporale futuro di dodici mesi.
Nell’ambito del sistema di monitoraggio, dovrebbe essere previsto anche un riporto periodico agli enti soci , da integrare nei sistemi di controllo degli organismi di partecipati ex art. 147 Tuel Oltre alla relazione semestrale, dovrebbero essere previsti report più sintetici a cura della struttura di controllo interno societaria, con frequenze più ravvicinate (almeno trimestrali), che potrebbero essere basati sull’aggiornamento del calcolo del Dscr, segnalando eventuali scostamenti significativi (migliorativi o peggiorativi) rispetto al periodo precedente.

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