Personale

Niente peculato per il medico in intramoenia che trattiene somme «percentualmente insignificanti»

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di Francesco Machina Grifeo

Non scatta il reato di peculato per il medico ospedaliero – nel caso il dirigente del reparto di ginecologia di un ospedale del catanese – che non ha versato all'azienda sanitaria le parcelle ricevute per tre visite in "intra moenia" su un totale di oltre 600 consulti in tre anni. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11003 di ieri, accogliendo con rinvio il ricorso del sanitario per l'assenza della prova di aver agito spinto dalla volontà di incamerare le somme destinate all'Asl.

La Corte di appello, invece, pur riconoscendogli le attenuanti generiche, lo aveva condannato a un anno e cinque mesi di reclusione per peculato continuato proprio per «essersi appropriato, nella qualità di incaricato di pubblico servizio, di somme di denaro - di importo oscillante fra 50 e 200 euro - non fatturate e direttamente ricevute da alcuni pazienti per le sue prestazioni professionali».

Proposto ricorso, il medico ha puntato sul vizio di motivazione con riguardo all'elemento psicologico del reato. Dall'istruttoria dibattimentale infatti era emerso che «solo in tre casi, a fronte di circa seicento interventi, si sarebbe verificata la ritenzione di somme di denaro per un valore complessivo di trecento euro». Dunque, solo nello 0,5 per cento del totale dei casi trattati, troppo poco per sostenere il dolo del professionista, dovendosi piuttosto qualificare un simile comportamento come «mera negligenza».

Deduzioni plausibili, afferma la Sesta Sezione penale, che invece hanno ricevuto «una risposta contradditoria» dalla sentenza impugnata.

Né, prosegue la sentenza, le dichiarazioni del medico si possono "travisare"al punto da ricavarne «un'implicita ammissione di responsabilità sotto il profilo del dolo», per essersi egli limitato ad affermare che "può capitare", trattandosi di "tre persone in tre anni", di omettere il versamento di quanto ricevuto. Tanto più, conclude sul punto, che «in termini percentuali l'omissione corrisponderebbe come sopra evidenziato, ad una misura quasi insignificante dei casi complessivamente trattati».

La sentenza della Corte di cassazione n. 11003/2020

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