Urbanistica

Ferrovie, il piano di risanamento acustico non ha natura discrezionale

Consiglio di Stato: è solo un'attività esecutiva che prevede la mappatura del territorio e l'individuazione delle criticità ai fini dell'esecuzione degli interventi

di Donato Palombella

Il piano di risanamento acustico non ha natura discrezionale; si tratterebbe di una mera attività esecutiva che prevede la mappatura del territorio, l'individuazione dei punti critici, la programmazione ed esecuzione dei necessari interventi diretti a ridurre l'inquinamento acustico. Lo scorso anno ci siamo occupati delle lamentele del proprietario di una tenuta prospiciente il Lago Maggiore infastidito dai rumori causati dalla linea ferroviaria che costeggia la proprietà (Inquinamento acustico da ferrovia? I gestori hanno 15 anni per realizzare gli interventi anti-rumore - su Edilizia e Territorio del 04/0/2019). Il Comune, costituitosi in giudizio ad adiuvandum, aveva evidenziato l'inesistenza di motivi urbanistici o procedurali che impedivano la realizzazione delle opere necessarie a ridurre l'inquinamento acustico.

Il Tar Lazio (n.8328/2019) aveva "bacchettato" la Rfi Spa, gestore dell'infrastruttura ferroviaria, per il ritardo-inadempimento all'obbligo di realizzare le opere necessarie a mitigare l'inquinamento acustico. L'ente gestore aveva impugnato la sentenza di primo grado. Il caso viene deciso dalla quarta Sezione del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 7316 del 23 novembre 2020, fa il punto della questione.

La burocrazia rallenta le procedure
Il caso sembra caratterizzato dal classico rimpallo di responsabilità. L'ente gestore deduce di aver fatto tutto il possibile e di avere le mani legate. Sostiene di aver presentato il Piano al Ministero dell'ambiente che, però, aveva chiesto un aggiornamento. Il nuovo elaborato era stato trasmesso ai Ministeri competenti ed alle Regioni interessate. Il Ministero, da parte sua, dichiara di aver predisposto lo schema di decreto per l'approvazione degli interventi che, però, dovevano essere approvati dalle Regioni e si era in attesa del parere della Conferenza Unificata. Insomma, le solite lungaggini burocratiche a ci siamo (purtroppo) abituati.

Il cittadino cosa può fare?
Secondo il gestore il singolo cittadino sarebbe praticamente inerme. Il giudice amministrativo sarebbe stato chiamato ad esprimersi su atti di pianificazione a contenuto discrezionale che si rivolgono alla platea generalizzata degli abitanti i territori attraversati dall'infrastruttura. Il singolo cittadino, pertanto, non sarebbe titolare di un vero e proprio interesse legittimo da far valere in giudizio. Non sarebbe neanche possibile proporre una azione contro il silenzio-inadempimento dell'amministrazione in quanto non sarebbe configurabile un obbligo giuridico ad avviare e concludere procedimenti a carattere discrezionale.

Il profilo normativo
Il Dpr n.459/1998 fissa i valori-soglia acustici per le infrastrutture ferroviarie. Ove le soglie vengano superate, l'art. 10, comma 5, della Legge n. 447/1995 (legge quadro sull'inquinamento acustico) prevede che le società e i gestori dei servizi pubblici di trasporto debbano redigere il Piano di contenimento del rumore secondo le direttive del Dm del 29.11.2000 e presentarlo alle amministrazioni coinvolte.
L'art. 2 del Dm impone(va) ai gestori di effettuare entro il 5 agosto 2002 (ovvero entro 18 mesi dall'entrata in vigore del decreto) la mappatura acustica del territorio individuando le aree in cui era stimato e/o rilevato il superamento delle soglie e trasmettere i dati agli enti interessati (Ministero dell'Ambiente, Regioni e Comuni).
Entro il 5 febbraio 2004 (ovvero nei successivi 18 mesi) i gestori avrebbero dovuto chiedere l'approvazione dei Piani di risanamento acustico agli enti locali competenti.

La natura del piano di risanamento acustico
Alcuni ritengono che il Piano di risanamento acustico coincida con un atto di pianificazione a carattere generale. Proprio la "natura discrezionale e generale" di questi atti, che si rivolgono ad una collettività di soggetti astrattamente determinati (ovvero a tutti i soggetti che, a vario titolo, risiedono nei territori interessati dal provvedimento), fa nascere il dubbio sull'individuazione dei soggetti legittimati ad attivarsi per l'adozione di questa tipologia di provvedimento. Parte della giurisprudenza ritiene che, in relazione ai procedimenti di natura generale programmatoria e pianificatoria l'amministrazione, in mancanza di una puntuale previsione normativa, non può sospendere o interrompere sine die il procedimento di approvazione (Cons. Stato, Sez. V, del 2 aprile 2020 n. 2212).

Il parere della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale (sentenze n. 176/2004; n. 355/2002; n. 262/1997), ha precisato che i principi previsti dalla Legge n.241/90, che impongono alla Pa di concludere il procedimento entro i termini previsti dalla legge, debbano essere applicati anche agli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione. L'inosservanza del termine per la definizione del procedimento verrebbe letta come silenzio-rifiuto con conseguente possibilità di agire contro il comportamento illegittimo della Pa.

Il parere del Consiglio di Stato
Il giudice d'appello ritiene che il Piano di contenimento acustico (ex art. 10, comma 5, d.P.R. n. 447/1998), non sia un atto di pianificazione volto a disciplinare in via generale l'uso del territorio e dunque manifestazione di potere di governo. Si tratterebbe, invece, di attività esecutiva consistente nella mappatura del territorio e nella programmazione degli interventi da eseguire per ridurre l'inquinamento acustico.

La posizione del ricorrente
Il ricorrente non si trova in una posizione indifferenziata come tutti gli altri cittadini che, per esempio, transitano in prossimità della ferrovia. Esso agisce perché, a seguito della mappatura del territorio, la sua abitazione è stata individuata come un "recettore" - ovvero come una sorta di "obiettivo sensibile" - da tutelare mediante precisi interventi che prevedono la posa di barriere fono-assorbenti lungo il tracciato ferroviario. Quindi, sostanzialmente, abbiamo un "doppio passaggio": prima è stato localizzato il "punto critico" poi è stato previsto l'intervento da eseguire. Il ricorrente, quindi, è titolare di un interesse legittimo nonché del diritto alla salute e ad un ambiente salubre.

La posizione dell'ente gestore
Il ricorrente non chiede il risarcimento dei danni subiti ma, più semplicemente, chiede di voler concludere il procedimento di approvazione del Piano nella parte di suo interesse in quanto, diversamente, non sarebbe possibile dare avvio alle opere. Sotto questo profilo stabilire se i ritardi siano dovuti a dolo o colpa del gestore o dell'amministrazione diventa irrilevante. Di certo c'è un dato di fatto: siamo di fronte ad un procedimento complesso che richiede la collaborazione e l'impegno sia dell'ente gestore (nella predisposizione del Piano) che delle amministrazioni pubbliche (chiamate alla sua approvazione).

Il giudice amministrativo non può entrare nel merito
Il giudice amministrativo non può sindacare la bontà del Piano né, tantomeno, stabilire l'entità dei singoli inadempimenti da parte dei soggetti coinvolti, vario titolo, nella proceduta. Sta di fatto che i tempi previsti non sono stati rispettati e non è dato sapere se ciò dipenda da ostruzionismo ovvero da vincoli procedurali. Di certo, sia il Comune che le Regioni si sono dimostrate collaborative mentre l'ente gestore è intervenuto aggiornando il Piano e il cronoprogramma dei lavori solo su sollecitazione dell'interessato. Anche la circostanza che le procedure per l'affidamento dei lavori siano diventate particolarmente articolate rappresenta un fatto irrilevante.

Morale della favola
Alla resa dei conti il Consiglio di Stato respinge l'appello confermando la sentenza del Tar che aveva ordinato -al Ministero dell'Ambiente ed alla Rfi- di adottare un provvedimento espresso entro 90 giorni dalla notifica della sentenza. Il malcapitato cittadino ha segnato certamente un ulteriore punto a proprio favore ma la partita non è finita. In caso di mancato adempimento alla decisione del giudice amministrativo, sarà costretto ad armarsi nuovamente di carta bollata per chiedere il risarcimento del danno, il tutto alla faccia della sbandierata semplificazione delle procedure.

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