Il CommentoAmministratori

Ripresa, come aggirare la giungla della burocrazia

di Angelo Guarini

el lontano 1973 Guido Carli, nelle «Considerazioni finali» della sua relazione come Governatore della Banca d’Italia, utilizzò l’espressione «lacci e laccioli» (coniata da Tommaso Campanella negli “Aforismi politici”) per sottolineare gli ostacoli, soprattutto di carattere burocratico, allo sviluppo economico.

Constatare che - a distanza di circa mezzo secolo - questa espressione è assolutamente attuale, lascia sgomenti, interdetti e perplessi. Significa che i tanti Governi che si sono succeduti non hanno avuto la forza o la voglia o la capacità di risolvere questa grave problematica, che produce effetti disastrosi sulla crescita economica. Peraltro, sono cadute nel vuoto citazioni di casi concreti di una negatività disarmante, come quella dell’ex Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che dimostró di avere impiegato ben otto anni per ottenere tutte le autorizzazioni necessarie alla costruzione di uno stabilimento di Mapei a Mediglia (Milano), mentre nello stesso arco di tempo l’azienda aveva realizzato e fatto decollare ben dodici stabilimenti in diversi Stati nel mondo. Altro caso concreto: l’investimento del Gruppo Rana nell’Illinois. Come ha dichiarato in un’intervista Gianluca Rana, figlio di Giovanni, «in sette mesi si è partiti da un capannone vuoto per realizzare una fabbrica attiva, con un centinaio di addetti. In Italia, invece, ci vogliono sette anni ed un’ottantina di autorizzazioni». Altro esempio, secondo una ricerca svolta da Confartigianato, è l’iter per aprire una gelateria: occorrono ben 73 adempimenti, con 26 Enti diversi e con un costo di 13 mila euro.

La mia proposta è molto semplice: procedere ad un’operazione di benchmarking, cioè verificare come sono regolamentati gli iter autorizzativi nei Paesi nostri competitors, per poi copiarne il meglio, senza passare anni per inventare l’acqua calda. Anzi, andrebbe “usata” la grave situazione determinata dalla pandemia da Coronavirus per farne un grimaldello per scardinare la burocrazia con i suoi “lacci e lacciuoli”. Sulla base di queste considerazioni ho effettuato - con la collaborazione degli Uffici dell’Ice di Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna (che ringrazio pubblicamente) - una veloce indagine sulle normative esistenti presso questi Paesi. Al di là di alcune differenze nei tempi e nelle modalità, quanto emerge da questa rapida ed empirica indagine è che presso i nostri competitor gli iter autorizzativi sono snelli, rapidi ed in grado di assicurare all’investitore tempi certi. Quasi ovunque viene accentrato in un’Agenzia nazionale il ruolo di interfaccia con l’investitore, fornendo tutta l’assistenza possibile non solo quanto ad informazioni circa agevolazioni e cofinanziamenti, ma anche supporto per la logistica ed infine per le autorizzazioni, spesso decise o coordinate dalla stessa Agenzia. La certezza dei tempi è garantita da meccanismi di silenzio-assenso di due/tre mesi, lontani mille miglia dalle nostre tortuosità bizantine.

Sono convinto che addentrarsi nella nostra giungla dei percorsi autorizzativi, intervenendo a colpi di machete per ridurla e semplificarla, è un esercizio illusorio. La cosa più semplice è di aggirare la giungla, copiando il meglio delle esperienze altrui, per cercare di colmare un gap, che rappresenta una palla al piede delle nostre prospettive di sviluppo. Anche perché non è il massimo che i nostri iter autorizzativi siano così tortuosi, forse anche per giustificare l’esistenza di tanti Uffici ed Enti, in merito ai quali non è stata mai fatta un’analisi di costi/benefici. Con il paradosso di scaricare doppiamente sull’utenza questi costi, nel senso che le aziende, oltre all’eccessivo carico fiscale, sopportano anche i costi di tante, troppe lentezze burocratiche, che spessofiniscono anche con lo scoraggiare la voglia di fare investimenti. Per dirla tutta (anche a costo di rischiare di sembrare velleitario) la riforma degli iter autorizzativi per gli investimenti, richiederebbe anche un drastico intervento in alcuni settori della Pubblica Amministrazione (escluderei in proposito Forze dell’ordine, Sanità, Istruzione, Università e Ricerca).

A mio avviso, non possiamo continuare ad avere cittadini e lavoratori di serie A, intoccabili con lo stipendio variabile indipendente, e cittadini e lavoratori di serie B, che vivono sulla propria pelle le incertezze e le incognite del mercato e della concorrenza. Basterebbe quanto meno inserire anche nel pubblico impiego tutti gli ammortizzatori sociali (in particolare la Cassa integrazione), parificando normativa e trattamenti economici tra pubblico e privato. Questa proposta è già stata avanzata da esponenti di Confindustria e sarebbe anche giusta dal punto di vista sociale. Certo, per attuarla - unitamente a quella sugli iter autorizzativi - occorrono determinazione e coraggio. Ora si tratta di vedere se c’è nel mondo della politica una vera forza innovativa e riformatrice (nei fatti, non nelle parole). Senza scelte veramente drastiche - ed è ora il momento giusto per adottarle - purtroppo il nostro Paese non uscirà mai da una situazione di lento ed inesorabile declino.