Urbanistica

Superbonus occasione per triplicare i ricavi delle aziende, ma le banche faticano a sostenere il salto

L'incentivo non decolla: le imprese farebbero incetta di commesse, ma il credito segue i requisiti prudenziali

di Laura Serafini

Con un patrimonio in Italia di 13,7 milioni di edifici, molto energivori e inquinanti, il Superbonus al 110% (oggi limitato al patrimonio residenziale) potrebbe avere, secondo alcune stime grezze, un impatto fino a 500 miliardi di lavori necessari per migliorare l'efficienza energetica. A fronte dei provvedimenti dello scorso anno che hanno stanziato per l'incentivo, in scadenza a fine giugno 2022, 15 miliardi.
Eppure il fenomeno al quale si sta assistendo da ottobre, quando sono stati emanati i decreti attuativi, sembra avere più le caratteristiche di un "mordi e fuggi" . Il Superbonus non riesce a esprimere le potenzialità per quali è stato pensato: accelerare il raggiungimento dei target di efficienza energetica, rimettere in piedi la filiera dell'edilizia, in particolare le Pmi con un fatturato attorno a 10 milioni, e creare nuovi posti di lavoro.

Alla filiera serve più tempo
Non sono solo le complicazioni burocratiche, autorizzative, le aree "grigie" su cosa si può fare e cosa no, e la questione degli abusi edilizi a zavorrare questo strumento. A incidere c'è soprattutto la necessità di dare il tempo alle imprese di organizzarsi, sia in termini qualitativi per svolgere in modo qualificato il ruolo di general contractor, sia per assumere personale e per acquistare i materiali necessari ai lavori. E qui scende in campo l'altro grande protagonista di questa vicenda: le banche. Gli istituti di credito hanno chiesto e ottenuto di essere ammessi alla grande partita del Superbonus per dare liquidità al sistema. Come? Acquistando i crediti fiscali oppure finanziando l'impresa, con un prestito ponte, a fronte della cessione del credito fiscale recuperabile in 5 anni. Quello che sta accadendo da 6-7 mesi a questa parte, è che la parte del leone nell'avviare i cantieri la stanno facendo i direttamente condomini che fanno realizzare i lavori alle imprese e poi cedono i crediti fiscali alle banche (con l'obiettivo di incassare parte del margine del 10% sul costo dei lavori). E poi i proprietari di singole unità immobiliari, sulle quali è più facile portare a termine gli interventi, i quali si fanno finanziare dalla, banca e poi le cedono il credito. Le imprese nel ruolo di general contractor, cioè colui che avvia la realizzazione di un progetto chiavi in mano, espleta la parte autorizzativa e delle asseverazioni, esegue i lavori e li fa saldare al cliente con lo sconto in fattura per poi cedere il credito alla banca, sono molto meno attive.

Credito solo sul 20% dei lavori
Soprattutto esse chiedono poco credito a fronte degli interventi: secondo il resoconto di alcuni istituti, fatto cento l'ammontare di crediti fiscali da liquidare o delle Sal - gli stati di avanzamento lavori che consentono la liquidazione del credito - solo il 20% ha alle spalle un finanziamento ponte bancario. Le aziende si muovono utilizzando la propria liquidità, anche quella parcheggiata da quasi un anno sui depositi, perché tendono a prendere poche commesse, soprattutto quelle realizzabili in tempi brevi, complice anche la scadenza ravvicinata del Superbonus. Alcuni imprenditori, addirittura, si ingegnano per cercare commesse nei paesi di provincia, dove i tempi dei permessi sono molto più rapidi rispetto alle grandi città (qui ci vogliono dai 90 ai 120 giorni) e c'è certezza di avere il tempo per portare a termine i lavori e fare il dovuto incasso.

La verità è che il Superbonus consentirebbe a un'azienda che fattura 10 milioni di poter prendere commesse per 30-40 milioni e triplicare il fatturato nell'arco di un anno. Ma questo non accade. «Il credito d'imposta è uno strumento di portata eccezionale. Ma la possibilità da parte delle banche di finanziare le commesse delle imprese, che possono essere anche 3 o 4 volte superiori al fatturato precedente, non può essere considerata automatica, vanno fatte le valutazioni sull'affidabilità delle imprese – spiega Mauro Pastore, dg di Iccrea Banca – Se un'azienda fattura 10 milioni e trova commesse per 30-40 milioni non sempre riesce a trovare un finanziamento equivalente. Le banche devono valutare la capacità organizzativa, il capitale proprio e altri fattori. Poi ci sono i rischi legati al fatto che il credito d'imposta per i lavori potrebbe trovare ostacoli legati ad abusi edilizi o altri rischi. La banca non può esporsi troppo finanziando integralmente il valore delle commesse perché le metriche e i requisiti prudenziali sono quelli sempre. E quindi può accompagnare l'impresa in una crescita molto graduale e non esponenziale come il Superbonus potrebbe consentire».

Alcuni istituti cercano di supportare il processo di crescita guardando alla qualità del portafoglio lavori di un'impresa e quindi superando l'analisi dello storico dell'azienda. In fondo i crediti fiscali sono autoliquidanti e danno garanzie di rientro per la banca, la quale può avere un maggiore appetito per il rischio perché il Superbonus è finalizzato a obiettivi di sostenibilità che rendono per chi finanzia meno rischiosa l'esposizione. Ma anche in questo caso i tempi lunghi per far partire un cantiere limitano i margini di manovra. E in questa fase di grande fermento, è anche necessario tenere a freno "l'ingordigia" di alcune imprese che sarebbero tentate di prendere molte commesse pur non avendo ancora riorganizzato maestranze e capacità di fare network con altre imprese. È una sorta di circolo vizioso che non tiene ferma la macchina del Superbonus, ma la fa muovere con i motori al minimo e questo non aiuta la necessità di mettere in modo rapidamente un settore e la capacità di spendere quei soldi come il Recovery Fund richiederebbe.

Intesa: già 3 miliardi da liquidare
Gruppi bancari come IntesaSanPaolo, tra i più attivi sul Superbonus al 110%, hanno già cumulato un monte lavori per la cessione del credito (quindi riconosciuti come crediti fiscali buoni dall'agenzia per le entrate) caricati sulla piattaforma per 3 miliardi di euro. I primi pagamenti, relativi agli stati di avanzamento lavori (Sal), sono partiti a febbraio e sarebbero dell'ordine di qualche centinaio di milioni, anche se in forte crescita a marzo e aprile. «Non vediamo criticità sull'accesso ai finanziamenti propedeutici all'acquisizione dei lavori – commenta Anna Roscio, responsabile imprese di Banca dei Territori –. Sicuramente un punto di attenzione è il fatto che le aziende stesse devono essere in grado di strutturarsi in modo tale da sostenere un maggiore carico dei progetti da portare a termine». Gli ultimi dati ufficiali disponibili, aggiornati a febbraio, sui crediti maturati dell'Agenzia delle entrate evidenziano che i lavori ammessi all'agevolazione sono relativi a 338 milioni di euro per 2.960 cantieri; la maggior parte degli interventi, pari a 2.743, sono relativi a singole unità immobiliari e solo 217 sono relativi ai condomini.

Una soluzione: le garanzie
«Una soluzione per dare una spinta al credito e incentivare le imprese ad accelerare questo processo potrebbe essere l'introduzione da parte dello Stato, attraverso Sace o il fondo di garanzia per le Pmi, di garanzie di portafoglio. Potrebbero essere strumenti di mercato, con un prezzo ad esempio del 3-4 % che potrebbe essere suddiviso tra banca, impresa e beneficiario finale», osserva Pastore.

Il fondo per le Pmi oggi fornisce strumenti potenziati con l'emergenza Covid. «Le novità introdotte dalle misure per il Covid ci consentono di garantire il finanziamento a un'impresa singola fino a 5 milioni, rispetto ai 2,5 milioni precedenti. Questa opportunità dovrebbe essere resa permanente. Queste garanzie potrebbero aiutare a coprire l'importo della prima Sal, che serve a mettere in moto la macchina. Poi la cessione del credito consente all'impresa di ottenere i fondi per avviare un altro cantiere e mettere in moto un processo rotativo di finanziamento», commenta Bernardo Mattarella, ad di Mcc, che sta per partire con un nuovo prodotto per il Superbonus. In questo settore operano anche le utility e grandi aziende come Eni o Enel. Quest'ultima lavora con le imprese in logica di partnership industriale: offre al cliente un pacchetto chiavi in mano, si occupa dell'asseverazione tecnica, della gestione fiscale, amministrativa, dei controlli di qualità e sicurezza, lasciando i lavori all'azienda. «Noi vogliamo far crescere le imprese assieme a noi, aiutarle e districarsi in un contesto normativo molto complesso e in due-tre anni moltiplicare il loro fatturato per 3 o per 4. – dice Francesco Venturini, ad di EnelX - Diamo loro supporto anche in termini di liquidità, ma il nostro sforzo non basta e il mercato fatica a partire». Sullo sfondo resta la Commissione europea che in un a lettera ha chiesto all'Italia di rendere misurabili gli effetti del Superbonus. E ha puntato il dito su questi aspetti. «Un punto chiave del successo dello schema - si legge - è la possibilità per il proprietario di trasferire il credito a una banca o all'impresa senza anticipare nulla. Tuttavia i ritardi da parte della Pa e i vincoli di liquidità per le imprese possono impedire il trasferimento dei crediti».

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