Fisco e contabilità

Pnrr, a rischio la prossima tranche da 46 miliardi

Confronto con la Ue sui 45 obiettivi di giugno e altri 55 da centrare per dicembre con la macchina legislativa e amministrativa

di Giorgio Santilli

L’Italia ora è in bilico sul Pnrr. Ai partiti servirà qualche giorno per mettere a fuoco gli enormi rischi che il Paese corre su questo fronte dopo le dimissioni di Mario Draghi. In particolare cresce la possibilità di fallire gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza del prossimo dicembre e di perdere non solo i 46 miliardi in ballo da qui a fine anno (24,137 miliardi della rata legata agli obiettivi del 30 giugno e 21,839 miliardi della rata legata agli obiettivi del 31 dicembre 2022) ma l’intero Piano da 191,6 miliardi.

Con il governo dimissionario diventa pressoché impossibile, infatti, approvare nei tempi previsti alcune riforme in Parlamento, prima fra tutte quella sulla concorrenza. A fine legislatura (e già con lo scioglimento del Parlamento) i disegni di legge non approvati decadono e con la nuova legislatura - che diventerà operativa non prima di metà novembre - si ricomincia tutto da capo (e ci sarà da fare la legge di bilancio). La possibilità di raggiungere tutti gli obiettivi di fine anno del Pnrr va dunque in pezzi.

Non si tratta di un obiettivo fra i tanti perché Bruxelles ha già fatto sapere che proprio sulle riforme fondamentali della concorrenza e della giustizia sarà intransigente. Riforma della giustizia che si articola in tre riforme su processo penale, processo civile e contenzioso tributario. Sui primi due il passaggio parlamentare c’è già stato, ma bisogna approvare i decreti attuativi della delega. Come, per altro, è fissato anche per la concorrenza (dopo che sarà stata approvata la legge).

Ma andiamo per ordine. La prima partita da giocare con Bruxelles riguarda la tranche di 24.137 milioni legata al raggiungimento degli obiettivi del 30 giugno. Il governo ha trasmesso alla commissione Ue nei tempi previsti tutti i dossier dei 45 obiettivi previsti ed è convinto che sia tutto in regola: è scritto chiaramente anche nella Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr messa a punto nei giorni scorsi dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, e congelata per la crisi di governo. L’esame della commissione Ue sarà comunque molto puntiglioso, come già fu quello di inizio anno, e la delegazione italiana dovrà rispondere a decine di osservazioni, su tutti gli obiettivi. Oltre gli aspetti tecnici, che saranno curati dai singoli ministeri, verrà meno l’altro pilastro che in molte occasioni ha consentito di superare le difficoltà: la forza politica del governo (e di Mario Draghi).

C’è poi la partita di dicembre. Oltre alle riforme principali su cui Bruxelles ha gli occhi puntati, si tratta di portare a casa 55 obiettivi, legati in gran parte all’approvazione di deleghe legislative o atti amministrativi complessi, con numerosi concerti e pareri. Anche se formalmente l’attività amministrativa ordinaria può andare avanti (e dovrà essere nei prossimi giorni una circolare di Palazzo Chigi a dire se il Pnrr rientra nell’attività ordinaria), è impensabile che con un governo dimissionario i ministeri lavorino a pieno regime come è stato in questi ultimi mesi. Il Pnrr ha imposto - e al tempo stesso richiesto - una macchina amministrativa straordinaria che non si potrà tenere costante passando da una legislatura all’altra. Prima che i ministeri possano tornare a pieno regime passeranno mesi.

Come accoglierà la Ue questo inevitabile rallentamento italiano? Questa è la domanda decisiva per i prossimi giorni.

Sono possibili deroghe legate ai periodi elettorali ma l’Italia ha una credibilità scarsa proprio sulla capacità amministrativa e per avere un atteggiamento benevolo di Bruxelles bisognerà dare garanzie che il periodo straordinario vissuto in questi mesi continuerà. Non facile soprattutto se cambierà l’indirizzo politico del governo e molti provvedimenti si vorranno inevitabilmente ridiscutere.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©