Urbanistica

I casi irrisolti del superbonus: dagli inquilini delle società al trattamento in bilancio

A due anni dal debutto nonostante quattro circolari restano ancora molti nodi

di Giorgio Gavelli

Nonostante quattro corpose circolari (24/E e 30/E del 2020, 16/E/2021 e 19/E/2022) e un numero impressionante di risposte a interpello, diversi aspetti sull’applicazione del superbonus restano ancora nel limbo. A due anni di distanza dal varo del decreto Rilancio (Dl 34/2020) chi si approccia alla materia deve spesso fare i conti su questioni di incerta interpretazione, al punto che i precetti del comma 5-bis dell’articolo 119 (irrilevanza delle violazioni meramente formali e limitazione di quelle rilevanti al singolo intervento irregolare) – apparsi ai più come pleonastici in quanto espressione di principi generali – saranno da tenere ben presenti quando inizieranno i controlli.

Senza avere l’ambizione di esaurire le tematiche dubbio, si possono sollevare qui le più frequenti.

Immobili locati da imprese

Nelle scorse settimane l’Agenzia ha affrontato una tematica per lungo tempo sommersa, anche se si conosceva una risposta della Dre Toscana (prot. 911-846/2021), peraltro ora in parte smentita dai recenti interpelli.

Il caso esaminato è quello in cui l’immobile è di proprietà di un soggetto non compreso nell’agevolazione (una impresa individuale o una società), ma si verifica la concessione in uso (locazione o comodato) a un soggetto “meritevole” ammesso all’agevolazione (persona fisica). Diversamente dalla Dre Toscana, le Entrate (risposte 288/2022 e 307/2022) non affermano che ogni volta in cui l’immobile appartiene all’impresa il 110% va negato, ma si inerpicano in una interpretazione casistica alquanto difficoltosa, soprattutto se confrontata con il dato letterale delle norme. Pare di capire che:

in linea di principio andrebbe valorizzato l’utilizzatore dell’immobile, non il proprietario dello stesso;

tale principio, tuttavia, diverrebbe inefficace qualora l’edificio «composto da più unità immobiliari» sia «interamente di proprietà o in comproprietà di soggetti» non agevolabili, come, appunto, le imprese, a meno che l’unità utilizzata dalla persona fisica non abbia accesso autonomo e sia funzionalmente indipendente;

in ogni caso, senza alcuna spiegazione, si introduce una preclusione al bonus per tutti i soci di società commerciale che utilizzano (anche con contratto registrato di locazione o comodato) l’unità immobiliare residenziale di proprietà della società.

La sensazione è che l’interpretazione non sia (come dovrebbe) il risultato di una riflessione sul dato normativo, ma discenda direttamente da “come si vorrebbe” funzionasse l’agevolazione. Elemento che ha ben poco a che fare con l’aspetto giuridico e che, presumibilmente, in sede di contenzioso non incontrerà molto successo. Senza considerare che sapere ora che una agevolazione in vigore dal 1° luglio 2020 incontra limiti tanto ambigui crea conseguenze non di poco rilievo.

Il trattamento contabile

Altra questione di estrema rilevanza, spesso a torto dimenticata, è la fiscalità di questi bonus nell’ambito del reddito d’impresa, dopo che l’Oic (agli inizi di agosto 2021) ha reso definitivo il proprio documento in cui, in estrema sintesi, la detrazione viene assimilata a un contributo in conto impianti.

Nonostante l’Oic sia stato chiamato in causa dalla stessa Agenzia, non si conoscono documenti di prassi in cui sia dia seguito, a livello fiscale, alle modalità di contabilizzazione che sono state prescritte, del tutto innovative rispetto al passato. L’interpretazione prevalente (resa anche di recente nel corso del webinar organizzato dal Cndcec lo scorso 17 maggio) sostiene – facendo trasparire una sorta di “rassegnazione” – che questi bonus finiscano per creare materia imponibile, sotto forma di proventi o minori ammortamenti, per una combinazione “sfortunata” tra derivazione dal bilancio e assenza di una norma che disattivi questa conseguenza. Tra l’altro è una lettura che riguarda tutti i bonus casa, non solo il 110%, con pesanti ricadute sul passato.

Non mancano di certo argomenti che porterebbero in altra direzione (si veda Il Sole 24 Ore del 20 agosto 2021, del 28 settembre 2021 e del 30 settembre 2021). Del resto la “derivazione” mal si adatta alle imprese minori, semplificati, minimi e forfettari compresi. Ma quello che qui si vuole sottolineare è che i bilanci 2021 sono stati chiusi (e le imposte calcolate) senza una “bussola” che guidasse il trattamento di voci di conto economico (non solo i bonus, ma anche i differenziali di acquisto e cessione) che, per molte imprese, rappresentano importi assai significativi.

Ricadute reddituali
per i privati

Per i “privati”, se nessuno – fortunatamente – si pone il tema dell’imponibilità (e sono sterilizzate anche le plusvalenze: risposta ad interpello 204/2021), non è banale il tema del trattamento dei differenziali positivi per quei soggetti che hanno acquistato i crediti d’imposta per utilizzarli in proprio o rivenderli. La norma da interpretare, nel caso specifico, parrebbe la lettera c-quinquies) del comma 1 dell’articolo 67 del Tuir, non certo di frequente applicazione.

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