Il CommentoFisco e contabilità

Sui controlli l'alleanza fra politica e i dirigenti nella battaglia fra istituzioni

di Ettore Jorio

Una cosa è dare ordine alle regole sui controlli, di modo che la "Giustizia dei conti" eserciti liberamente e correttamente il proprio ruolo attraverso organi legittimamente preordinati allo scopo. Altro è che venga consentito al Governo di impedire politicamente alla magistratura contabile di dire la sua sul Pnrr anche nel corso di realizzazione dei progetti, seppure per il tramite e con modalità per alcuni versi non condivisibili sul piano della ricaduta interna ed europea. La prima costituisce un esercizio di esaltazione dello Stato di diritto; la seconda è una sua pericolosa smentita, quasi a considerarlo un optional da tenere nel cassetto a ogni esigenza della politica.

Si è arrivati a questa grave considerazione seguendo la diatriba insorta di recente tra il Collegio del controllo concomitante sul Pnrr e il Governo, a fronte di due deliberazioni dello scorso 3 maggio, le nn. 17 e 18, con le quali l'organo speciale preposto al controllo in corso d'opera del Pnrr ha ammonito l'Esecutivo sui ritardi attuativi dei progetti finanziati con i quattrini europei, attribuendo una responsabilità d'opera ai dirigenti, da sanzionare ad hoc ricorrendone i presupposti.

Ne è nata una guerra tra istituzioni, da considerarsi oramai conviventi in un clima di scombussolamento, dove le armi messe in campo sono - da una parte - emendamenti seriali, per lo più a decreti legge in conversione e - dall'altra - richiami diffusi a osservare di più la Costituzione, forti anche del sostegno di voci autorevoli della Commissione europea, per cultura intransigente sui controlli (NT+ Enti locali & Edilizia del 12 maggio).

Quest'ultima ha emanato, infatti, una nota di sintesi che ha bisogno di qualche approfondimento interpretativo. Allorquando sostiene di pretendere, in relazione al Pnrr, un «quadro di controllo adeguato e proporzionato alla sua natura unica di programma di spesa basata sui risultati» sembra infatti propendere per una verifica concomitante interna propedeutica alla propria finalizzata a concedere definitivamente i ratei intermedi di finanziamento semestrali nonché per l'emersione delle cause negative da rimuovere prontamente, pena la riduzione degli importi semestrali corrispondenti.

Così, tra le dichiarazioni rese dai magistrati contabili, nel più alto rango, in un incontro a Palazzo Chigi e i dicta europei espressi sull'argomento è intervenuta una nutrita nota del Governo a difesa dei suoi rilievi, sia sul piano del diritto che del merito (NT+ Enti Locali & Edilizia del 2 giugno).

L'Esecutivo liquida la partita in otto punti, attribuendo al suo operato un legittimo supporto procedurale: la sospensione dei controlli concomitanti sul Pnrr e la proroga di un anno (2024) della responsabilità erariale dei dirigenti in presenza di colpa grave. Ciò solo ed esclusivamente per assicurare alla macchina governativa il massimo dell'efficienza, asserendo al riguardo la conformità delle scelte governative al dettato costituzionale e alle norme ordinamentali, le quali differiscono chiaramente il controllo di gestione, attribuito al Giudice dei conti, da quello concomitante, unilateralmente preteso dallo stesso. Insomma, nella vicenda è emersa una sorta di insofferenza della politica ai controlli. Un elemento che si registra ovunque, in tutte le istituzioni statali e infra-statali, tanto da mettere in serio imbarazzo le decisioni assunte dagli organi di revisione delle quali i decisori non tengono quasi sempre in alcun conto. Così facendo si predilige di giocare la più importante delle partite ma senza l'arbitro.

Prescindendo dalle ragioni di diritto che supportano le reciproche pretese, in tutta questa vicenda sono emersi due fenomeni non propriamente apprezzabili: l'inaccettabilità della politica all'esercizio dei controlli, effettuati nel mentre, e la eccessiva "familiarità" che la stessa ha consolidato con la dirigenza, di fatto "bersaglio" dei suo controlli.

La prima si concretizza quotidianamente attraverso un esagerato nervosismo della politica preposta ai governi, nazionale e regionale, nei confronti delle decisioni che pervengono, a suo eventuale discapito ma certamente a tutela generale, da parte della magistratura, finanche costituzionale. Sentimento, questo, di contrapposizione inaccettabile tra i rappresentanti di due poteri che rintracciano nella loro assoluta autonomia la loro utile e codificata convivenza a garanzia dello Stato di diritto. Una intolleranza che fa sì che la politica faccia a gara con le decisioni ostative della magistratura a ogni evento che si presenti non propriamente conforme alla Costituzione arrivando a reiterare soventemente leggi di strumentale superamento dei vizi riscontrati, confermandone tuttavia ratio e obiettivi. Una brutta abitudine, questa, assunta nell'esercizio del potere legislativo, tanto da impegnare di frequente la Corte costituzionale, soprattutto da parte di numerose Regioni dove abbondano le leggi ad personam sostitutive degli atti amministrativi, molto spesso impugnate solo incidentalmente perché facili a superare il filtro governativo dell'articolo 127 della Costituzione.

La seconda, oltra a essere caratterizzata dagli stessi limiti giuridici della prima, suscita un ingombrante imbarazzo. L'ordinamento pone una regola invalicabile (articolo 4 del Dlgs 165/2001): alla politica spettano l'indirizzo politico amministrativo, la programmazione e i controlli sulla gestione. Quest'ultima affidata alla dirigenza, cui compete l'adozione degli atti relativi e l'esercizio della spesa. I primi pagano il cattivo adempimento dei doveri con la sanzione elettorale. I secondi rispondono del proprio operato generativo di danno all'istituzione dalla quale dipendono con sanzioni economiche corrispondenti, prodotto con dolo o colpa grave, un elemento soggettivo quest'ultimo recentemente sospeso sino al 2024 sul piano della attribuzione delle responsabilità risarcibili, sino al 2023 dal secondo Governo Conte. Una decisione (dicunt) occorrente per evitare quella «paura di firma» che impedisce alla dirigenza di completare il lavoro disegnato dalla politica, determinando danni enormi agli investimenti e alla spesa del Pnrr, così come degli altri fondi. Un tema specifico ben affrontato e approfondito nel recente convegno organizzato dalla Corte dei conti il 13 marzo scorso, cui si rinvia ogni ulteriore dettaglio anche sull'esigenza di pensare a un nuovo codice dei controlli (NT+ Enti locali & Edilizia del 2 giugno).