Personale

Incarichi dirigenziali esterni, «sì» alla clausola risolutiva del contratto in caso di soppressione della struttura

Altra condizione è la sostanziale modifica delle competenze assegnate

di Michele Nico

In sede di incarico dirigenziale conferito dalla Pa a un soggetto esterno è legittima la clausola che prevede una condizione risolutiva al contratto di lavoro, con riferimento al caso di sopravvenuta soppressione della struttura o di sostanziale modifica delle competenze alla stessa assegnate. Tale condizione risolutiva non incorre nella fattispecie di nullità sancita dall'articolo 1418 del codice civile per le clausole negoziali di risoluzione automatica del contratto di lavoro subordinato, né dà luogo a un'ipotesi di licenziamento o di revoca dell'incarico dirigenziale in violazione del sistema ordinamentale.

Al contrario, la clausola costituisce la previsione anticipata di un effetto risolutivo che si produrrebbe comunque secondo l'articolo 1463 del codice civile (impossibilità totale nel contratto con prestazioni corrispettive).

Con queste motivazioni la Corte di cassazione (Sezione Lavoro, sentenza n. 14758/2022) ha accolto il ricorso proposto dalla Regione Marche contro la decisione n. 286/2015 della Corte d'Appello di Ancona, che:
• aveva dichiarato l'illegittimità della delibera regionale di risoluzione del contratto di lavoro stipulato nel 2011, avente a oggetto l'affidamento di un incarico per la dirigenza della struttura «Dipartimento per la salute e per i servizi sociali»;
• aveva condannato la Regione Marche al ripristino del rapporto di lavoro con il dirigente interessato e al risarcimento del danno.

La clausola risolutiva del contratto era stata applicata dopo il varo della legge regionale 45/2012 che disponeva la soppressione del «Dipartimento per la salute e per i servizi sociali» e la sostituzione di detta struttura con due nuovi servizi, cioè il «Servizio sanità» e il «Servizio politiche sociali», sempre incardinati nell'organizzazione regionale del settore. Di qui la risoluzione del rapporto con il dirigente del disciolto Dipartimento e l'avvio del contenzioso giunto poi all'esame della Suprema Corte.

La cassazione ha sostenuto che il divieto di clausole negoziali di risoluzione automatica del contratto non può essere automaticamente trasposto, nel pubblico impiego, al rapporto di lavoro subordinato a termine per lo svolgimento di un incarico dirigenziale.

Questo perché secondo il testo unico in materia negli incarichi dirigenziali si distinguono due momenti, ossia il conferimento dell'incarico, che ha luogo per atto unilaterale della Pa, e la fissazione del trattamento economico, che viene disciplinato con contratto (articolo 19 del Dlgs 165/2001).

In tale contesto, la revoca ante tempus è consentita dall'articolo 21 del decreto nella sola ipotesi di responsabilità dirigenziale, mentre nel caso di motivate esigenze organizzative il sistema ha codificato la facoltà della Pa di disporre il passaggio dei dirigenti ante tempus ad altro incarico.

Nel caso di specie, la clausola apposta al contratto dirigenziale si riferiva all'ipotesi di una soppressione della struttura o di una modifica delle sue competenze «effettuate nelle stesse forme previste dalla vigente normativa per la sua istituzione», facendo rinvio a un evento non solo futuro e incerto, ma anche indipendente dalla volontà delle parti.

Tutto ciò ha indotto la Suprema Corte a concludere che la sentenza impugnata ha operato un'indebita sovrapposizione della disciplina del licenziamento a quella della risoluzione dell'incarico dirigenziale per la sopravvenuta modifica della struttura organizzativa della Pa.

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