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Professionisti, anche dalla Pa il contributo del 4% sulla parcella

Il Consiglio di Stato dà ragione alla Cassa di previdenza pluricategoriale (Epap), guidata da Stefano Poeta, e riconosce legittima l’applicazione del contributo integrativo al 4% anche per la pubblica amministrazione. Si tratta di una pronuncia storica che elimina – dopo anni – una disparità di trattamento tra settore pubblico e privato che, di fatto, pesava sulle future pensioni dei professionisti che lavorano in prevalenza o in esclusiva per la Pa.
Un disparità di trattamento che non riguardava tutte le professioni ordinistiche, ma in particolare quelle nate con il Dlgs 103/96. Quindi se commercialisti, avvocati e ingegneri applicano da anni un contributo integrativo superiore al 2% a tutte le commesse, senza distinzione tra pubblico e privato, questo non era permesso a biologi, psicologi, infermieri, geologi, chimici, attuari, dottori agronomi e forestali e periti industriali.

A mettere la parola fine a questa “ingiustizia” è la sentenza 4062/2018 del Consiglio di Stato del 3 luglio che boccia il ricorso presentato dai ministeri del Lavoro e del’'Economia contro la sentenza del Tar del Lazio 966/2016.
Una querelle cominciata nel 2013 con il ricorso dell'Epap al Tar per la mancata approvazione della delibera che aumentava l’integrativo al 4% senza escludere la Pa e che vede le sue radici nella legge Lo Presti (legge 133/2011) che consentiva agli enti di previdenza dei professionisti nati con il Dlgs 103/1996 (Enpab, Enpap, Enpapi, Epap, ed Eppi) di elevare il contributo integrativo, che viene applicato su ogni parcella e addebitato al cliente, fino a un valore massimo del 5% invece del precedente 2%; questo contributo, che fino al 2011 andava a finanziare la sola gestione dell’ente, per un quarto poteva integrare le pensioni degli iscritti. Una legge introdotta perché le Casse nate con il “103” applicano il sistema di calcolo contributivo, che ha il vantaggio di garantire l’equilibrio finanziario dell’ente ma ha il grosso problema di erogare pensioni molto basse. La legge 133/2011 puntava proprio a creare le condizioni per pensioni un po’ più elevate, ma era stata approvata con la clausola di non generare «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», un inciso che, per come interpretato fino ad oggi, commenta il Consiglio di Stato ha permesso «un'ingiustificabile ed insanabile disparità di trattamento che finirebbe per rendere peraltro recessiva, la finalità .. di garantire al libero professionista… un trattamento pensionistico adeguato».

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4062/2018

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