Nel caos dello spoil system falliscono politica e dirigenza
Il dibattito sullo spoil system può rivelarsi utile se non si esaurisce in contrapposizioni strumentali.
In Italia c’è uno spoil system circoscritto per consentire a chi governa di cambiare i vertici dell’amministrazione. Il Dlgs 165/2001 prevede che gli incarichi dirigenziali apicali, circa 70 persone, cessano decorsi 90 giorni dalla fiducia al Governo. Il nuovo esecutivo può confermare gli incarichi o nominare nuovi soggetti. La norma venne estesa con l’articolo 2 del Dl 262/2006 ai direttori delle Agenzie. Con quel decreto il Governo cercò di estendere lo spoil system ai dirigenti di altre Pa e ai dirigenti nominati dall’esterno. Un ampliamento così scritto si sarebbe esteso ai dirigenti di prima e di seconda fascia. Norme che portarono ad un fiorire di sentenze della Corte costituzionale, che fecero venire meno le disposizioni (sentenze 161/2008 e 81/2010) e delimitarono lo spoil system: niente cessazioni anticipate, rispetto del termine per il raggiungimento dei risultati. Né hanno avuto spazio forme onerose di spoil system volte a risarcire il soggetto “spogliato” dall’incarico in quanto il pregiudizio non riguarda solo il dirigente, ma «l’interesse collettivo all’imparzialità e al buon andamento della Pa». La Corte ha invece giustificato lo spoil system per la dirigenza fiduciaria.
La durata breve dei governi ha aumentato l’utilizzo della norma. Il ricorso non fisiologico alla riorganizzazione di ministeri ed enti hanno consentito di far cessare anticipatamente gli incarichi anche dei dirigenti generali. Lo stesso è accaduto in regioni ed enti locali. Un’analisi dei dati mostra che, al di là di leggi e proclami, si tratta di fenomeni circoscritti anche per la mancanza di professionalità elevate.
C’è un problema di fiducia tra la dirigenza pubblica e la politica. I cambiamenti legislativi e organizzativi e la breve durata dei governi hanno generato un’incertezza nella dirigenza, tale da portarla a muoversi sottotraccia. A non osare, non rischiare, a chiudersi dietro leggi e decreti che la tutelano dalle scorribande di politici, considerati poco autorevoli, poco attrezzati e transeunti. Da qui la la discontinuità delle politiche pubbliche.
Inoltre, la tecnicizzazione delle politiche ha trovato impreparati politici e dirigenti, che di fronte ai fallimenti hanno risposto con un riflesso pavloviano cercando il colpevole nell’altro lato della barricata. In tutto questo è paradossale registrare due fenomeni: lo scarso utilizzo delle norme di prevenzione della corruzione come la rotazione degli incarichi, soprattutto nei settori a più alto rischio e responsabilità; e l’assenza di casi di responsabilità dirigenziale, che possono portare alla revoca degli incarichi. Non si ricorda a memoria d’uomo un caso di revoca dell’incarico per responsabilità dirigenziale, che scatta in caso di inosservanza delle direttive dell’organo politico.
Inizi la politica a emanare direttive e a fissare obiettivi chiari, tempestivi e con contenuti sfidanti, e valuti di conseguenza. Compito che soprattutto a livello statale non sa svolgere, dato che spesso il dirigente che si vuole rimuovere prende il massimo nella valutazione della performance (come tutti). Si ha l’impressione che i programmi puntuali e la valutazione minaccino il quieto vivere di tutti.
Serve una governance più semplice, con piani, meccanismi di valutazione e misurazione chiari anche ai cittadini, per raggiungere il fine dell’azione di governo: amministrare bene e non di frenare un Paese già in difficoltà.