Urbanistica

Demolizione di opere abusive connesse a opere assentite: esclusa solo se si crea un rischio statico

La Corte di Cassazione penale richiama il principio guida cui attenersi per l'applicazione degli articoli 33 e 34 del Testo unico edilizia

di Massimo Frontera

Il ripristino dello stato dei luoghi è impedito solo se l'abbattimento delle parti abusive connesse a quelle assentite determini perdita di staticità dell'intero edificio. Così la Corte di Cassazione penale (Terza Sezione) nella sentenza n.43250/2022 depositata lo scorso 15 novembre. La pronuncia riguarda il caso di una proprietaria di un'unità immobiliare che ha realizzato una serie di interventi riconosciuti abusivi e per i quali è stata condanna dal Tribunale di Salerno dopo aver accertato che le opere realizzate senza titolo avevano comportato modifica di sagome e incremento di superficie e volumi. Successivamente l'interessato a ha presentato ricorso in Cassazione contro l'ordinanza di rimessa in pristino del Comune. Nella ricostruzione della vicenda come emerge dalla lettura della sentenza, la proprietaria ha presentato prima una richiesta di sanatoria ex articolo 34, comma 2 del Dpr 380 (opere in parziale difformità) e successivamente una richiesta di sanatoria ex articolo 33, comma 2 (opere in totale difformità) sostenendo, nella sua difesa, che le opere in irregolari erano a tal punto interconnesse con quelle assentite e che, in base a quanto attestato dal perito di parte, la rimessa in pristino attraverso una demolizione non sarebbe stata possibile. A una conclusione opposta arrivava invece il Tribunale.

I giudici della Terza sezione penale hanno colto l'occasione per ricordare che, in linea di principio, l'unico caso in cui è ammesso il mantenimento delle opere realizzate senza titolo è il rischio statico causato dalla demolizione; e che, semmai, in caso di una "fusione" inscindibile di opere irregolari e opere legittime, in assenza di rischio statico si dovrebbero demolire anche le opere regolari, e non invece salvare anche quelle illecite. «Nel caso in cui le opere abusive siano interconnesse con opere assentite - si legge nella sentenza - la demolizione dovrà riguardare solo le prime, con salvezza di quella lecitamente realizzata, sempre che entrambe siano univocamente identificabili come tali e che, dunque, il manufatto non sia stato sottoposto a modifica radicale e definitiva; in tal caso, infatti, non potrà che addivenirsi ad una demolizione integrale del manufatto stesso, atteso che il bene risultante dall'intervento abusivo viene ad assumere una definitiva ed irrevocabile connotazione illecita, che impone la sua radicale eliminazione, a meno che l'abuso sia stato sanato sotto il profilo urbanistico o che il consiglio comunale abbia deliberato nel senso dela conservazione delle opere». «Deve inoltre affermarsi - aggiungono i giudici - che l'impossibilità della demolizione, che autorizza la disciplina di cui all'art.33, comma 2 del d.P.R. n.380 del 2001, deve essere oggettiva e assoluta; a tal proposito, laddove le opere abusive siano strutturalmente connesse con quelle abusive [rectius "assentite", ndr], occorre valutare se il ripristino comprometta la stabilità dell'intero edificio: evenienza, quest'ultima, che si rappresenta l'unico limite a detto ripristino».

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