Gli stipendi piatti spingono il lavoro dove non serve
La proposta del ministro per l’Istruzione Valditara di riconoscere un trattamento economico differenziato per i docenti in base al costo della vita della sede di insegnamento ha provocato la solita alzata di scudi. Ma più delle polemiche è utile proporre un ragionamento fondato su qualche dato.
Un lavoro è giusto se anche la sua retribuzione lo è. Per questo deve essere in grado di remunerare le differenti performance, i rischi, le responsabilità, le competenze e i diversi costi della vita.
L’alto rischio di scarso impegno o abbandono della Pa deriva anche da retribuzioni piatte nel valore nominale, ma diseguali nel potere di acquisto.
In Francia, da anni, c’è l’indennità di residenza calcolata in base a indici prestabiliti per compensare le differenze del costo della vita e quindi attrarre il personale nelle zone più disagiate. Strumenti simili ci sono in altri Paesi.
L’Italia è un Paese lungo con forti differenze economiche che incidono sui diritti sociali e sulla qualità della vita. La stessa Pa non è un corpo monolitico: anche in un ministero, con retribuzioni uguali si rischia di avere responsabilità profondamente diverse, al punto che certi uffici vengono evitati come la peste dai dirigenti. Se ci sono risorse da spendere, fondi Ue da gestire e bandi da emanare, scatta il terrore. Oppure parte la delega o l’esternalizzazione, dal personale alle gare.
Se ci saranno più risorse per il lavoro pubblico bisognerebbe prevedere indennità che consentano di remunerare rischio, responsabilità e disagio. Ciò renderebbe più «giusto», e quindi più attrattivo, il lavoro pubblico. In certe aree e in certe posizioni, un reclutamento mirato con dei servizi di welfare per favorire l’insediamento aiuterebbe. Ridurrebbe il turnover nelle regioni e nelle sedi meno appetibili per i disagi e il costo della vita.
Non a caso, secondo i dati Formez, il fenomeno delle dimissioni dei nuovi assunti si è concentrato al Nord e nelle grandi città. D’altronde il 70% dei candidati ai concorsi è residente al Sud. L’età media di 40 anni fa capire che molti candidati erano già radicati nella regione di provenienza. Migliaia di avvocati del Sud hanno partecipato ai concorsi del ministero della Giustizia a causa della proletarizzazione delle professioni nel Mezzogiorno. Lo stesso rapporto afferma che il fenomeno complica il reclutamento al Nord.
Il problema riguarda diversi aspetti dell’attrattività della Pa, data la mancanza di un welfare di settore o aziendale, oggi sempre più presente nel privato, di formazione e aggiornamento e a causa di una retribuzione piatta e paradossale, che incentiva il lavoro dove non serve. Una retribuzione che non è in grado di tenere conto del disagio di chi dovrà risiedere in luoghi lontani o dal costo della vita più elevato, le maggiori responsabilità o i maggiori rischi, qualificherà quel lavoro come non giusto.
I dati e i fenomeni richiamati dicono che la retribuzione differenziata non ha nulla a che fare con le gabbie salariali, ma con il lavoro giusto, quello che sa retribuire le differenze anche legate alla specializzazione. Il lavoro pubblico con le sue attuali retribuzioni genera invece lavoro povero e diseguaglianze. Anche per questo nella competizione con il datore di lavoro privato, la Pa si rivelerà perdente.