Personale

Sanzione valida anche se a decretarla è stato il capo coinvolto nella vicenda

É arbitraria solo se irregolarmente contestata ovvero infondata nel merito

di Pietro Alessio Palumbo

In caso di sanzione disciplinare di minore entità non può dirsi violata la legislazione sulla competenza per il solo fatto che lo stesso dirigente che l'ha disposta sia anche coinvolto personalmente nella vicenda. Secondo la Corte di cassazione (sentenza n. 32900/2021) la sanzione può definirsi arbitraria solo se risulti irregolarmente contestata ovvero infondata nel merito, ma non per il fatto che a decretarla sia stato il capo del dipendente sanzionato; anche se in ipotesi direttamente implicato nei comportamenti scortesi addebitati al suo collaboratore.

Nella vicenda il procedimento disciplinare aveva riguardato l'atteggiamento del dipendente, ritenuto non conforme ai principi di correttezza nei rapporti interpersonali durante l'orario di lavoro. Ciò anche in riferimento ad alcune e-mail dirette al superiore, dal contenuto irriverente, ineducato e persino minaccioso.

Nel pubblico impiego privatizzato può dirsi assodato il principio per cui, escluso il requisito di "imparzialità" che presupporrebbe l'attribuzione del potere disciplinare ad un soggetto del tutto estraneo alla Pa, opera invece il principio di "terzietà". Regola che impone rispetto alle sanzioni di maggiore rilevanza di evitare che l'ufficio procedimenti disciplinari sia composto dal solo manager della struttura di appartenenza del dipendente; potendo al massimo accadere che il dirigente sia membro di un collegio per i procedimenti di disciplina.

Per le sanzioni minori la disciplina del pubblico impiego prevede la competenza del capo della struttura di appartenenza. In tali casi la terzietà è evidentemente molto più ridotta in quanto il dirigente preposto alla struttura non di rado è coinvolto negli abusi comportamentali del dipendente. Infrazioni che riguardando il rapporto di lavoro di un sottoposto, spesso interferiscono con la regolarità dell'attività dell'ufficio non solo con riguardo alle mansioni del singolo dipendente ma della struttura nel suo complesso. Ha evidenziato la Suprema Corte che tuttavia non si può dire che in tali casi la terzietà sia del tutto inesistente, perché è insita nel fatto che comunque il dirigente cui sia attribuito il potere disciplinare agisce non in proprio ma come organo della Pa; nei cui riguardi ha rilievo l'offensività della condotta, ed a cui si imputano le decisioni da assumere. Rientra infatti nel potere discrezionale del legislatore dosare il grado di terzietà richiesto per le diverse tipologie di sanzione da applicare; con un criterio fondato sull'apprezzamento della gravità delle infrazioni, tenendo anche conto dell'impatto che le diverse misure possono avere sull'incolpato.

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