Fisco e contabilità

Nel fisco locale l’abuso del diritto costa di più

Dalle somme da versare non va scomputato quanto già pagato a un altro ente

di Gianni Trovati

L’abuso del diritto si fa largo anche fra i tributi locali, e in quel caso il suo accertamento rischia di costare ancora più caro di quel che si verifica per le entrate erariali.

La novità arriva dalla sentenza 229/2023 della Ctp di Bologna che stabilisce un principio innovativo nell’esame degli effetti della «concorrenza fiscale» fra diversi territori in Italia. La vicenda riguarda una delle tante società di noleggio di auto che hanno dato vita al fenomeno della «migrazione» delle sedi verso la Provincia autonoma di Trento, a partire da quando, nel 2011, uno dei decreti attuativi del federalismo fiscale (il Dlgs 68 di quell’anno) ha aumentato il bollo regionale sulle auto. L’esodo è poi cresciuto nel 2013, quando il federalismo ha interessato anche l’imposta provinciale di trascrizione.

Tra le società «migrate» c’è anche quella interessata dalla sentenza, che ha promosso un accertamento a suo carico effettuato dalla Regione Emilia-Romagna (difesa in giudizio dallo studio Fratini & Partners). La Regione ha contestato all’impresa il mancato pagamento di 650.733 euro, in un conto complessivo portato fino a quota 878.489,65 da interessi di mora e sanzioni.

L’abuso del diritto (articolo 10-bis della legge 212/2000) nasce dal fatto che il cuore operativo e le attività di direzione della società sono rimaste nei dintorni di Bologna anche dopo il trasferimento a Nord, dove hanno continuato a riunirsi i consigli di amministrazione e dove è proseguita la registrazione di tutti i mandati dei procuratori. Lo spostamento della sede, quindi, è nato da motivi esclusivamente fiscali, senza che a queste si accompagnassero reali ragioni economiche e organizzative estranee al raggio d’azione delle tasse.

Su questi presupposti, e qui arriva l’aspetto più innovativo e ricco di conseguenze pratiche della sentenza, i giudici tributari non si limitano a promuovere in pieno la richiesta avanzata dall’Emilia-Romagna; ma aggiungono che la Provincia di Trento, avendo «legittimamente incassato le somme versate dalla ricorrente a titolo di tassa automobilistica, in ragione della dichiarazione resa» dalla stessa società, «è e resta estranea al giudizio». Quindi non è chiamata dalla sentenza a restituire i 451.318 euro incassati negli anni.

Di qui la differenza fondamentale con l’abuso del diritto contestato nei tributi erariali. Perché è vero, ricordano i giudici, che l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente chiede di calcolare le somme da versare «tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto» delle operazioni elusive. Ma «è evidente dal tenore letterale della norma che il legislatore presuppone che l’ente accertatore sia anche il soggetto che ha incassato le somme» alleggerite dall’abuso del diritto: identità che non si verifica quando in gioco ci sono due enti territoriali.

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