Urbanistica

Il Consiglio di Stato «cancella» il condono edilizio previsto dalla Regione Lazio

Ricorso proposto da un privato contro l'ordinanza del Comune di Tarquinia che aveva ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi e la demolizione di alcune opere abusive

di Pietro Verna

In base alla normativa statale che ha introdotto il principio della "doppia conformità" ai fini dell'espletamento delle procedure di condono e di sanatoria edilizia, è da intendersi abrogato l'articolo 16 della legge della Regione Lazio 2 maggio 1980, n. 28 che richiede unicamente la conformità dell'opera agli strumenti urbanistici ed alla normativa vigenti momento del rilascio del titolo edilizio. Diversamente operando, si violerebbe l' articolo 117, comma 3, della Costituzione secondo cui la funzione del governo del territorio è rimessa alla potestà legislativa delle Regioni nel rispetto dei principi stabiliti con leggi dello Stato.
Lo ha affermato il Consiglio di Stato (parere n.1219/2022) in merito al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da un privato contro l'ordinanza con cui la quale il Comune di Tarquinia aveva ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi e la demolizione di alcune opere abusive realizzate in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

Il parere di Palazzo Spada
Il ricorrente aveva sostenuto che l'ordinanza sarebbe stata illegittima «in quanto in illogica contraddizione » con le delibere della giunta comunale con cui quest'ultima aveva manifestato l'intento di recuperare le situazioni di abusivismo con lo strumento della "variante speciale" prevista dall'articolo 4 della legge regionale n. 28 del 1980 («I comuni del Lazio, dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione approvato, nel cui territorio siano individuati nuclei edilizi abusivi in contrasto con le destinazioni di zona previste nello strumento urbanistico, provvedono ad adottare una speciale variante diretta al recupero urbanistico dei nuclei abusivi»).

Ad avviso del ricorrente, la manifestazione d'intenti della giunta comunale in ordine al recupero degli insediamenti abusivi avrebbe posto in capo all'ente locale l'obbligo di «astenersi dal reprimere l' abuso» in attesa della sua regolarizzazione ai sensi del citato articolo 4 (« Quando siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti […] le costruzioni abusive […], se conformi alle previsioni di detti strumenti ed alle altre norme vigenti al momento del rilascio, possono ottenere la concessione edilizia»). Tesi che non ha colto nel segno. Il Consiglio di Stato ha ritenuto la norma regionale "superata" dalla sopravvenuta normativa statale in materia (legge n. 47/1985, DPR 380/2001, legge n. 724/1994 e legge n. 326/2003) e in contrasto con l'orientamento della Corte costituzionale secondo il quale:

- la verifica della cd. "doppia conformità" costituisce un principio fondamentale della materia governo del territorio, trattandosi di un adempimento «finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità" (sentenze: n. 232/2017, n. 107/2017 e n. 101/2013);
- spettano al legislatore statale « le scelte di principio, in particolare quelle relative all'an, al quando e al quantum, ossia la decisione sul se disporre un titolo abilitativo edilizio straordinario, quella relativa all'ambito temporale di efficacia della sanatoria e infine l'individuazione delle volumetrie massime condonabili» (sentenza n. 70 del 2020), dimodoché « esula dalla potestà legislativa concorrente delle regioni «il potere di ampliare i limiti applicativi della sanatoria» (sentenza n. 290/2009) e di «allargare l'area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato» ( sentenza, n. 117/2015).
Ciò non mancando di evidenziare due ulteriori elementi a sfavore del ricorrente. In primis il fatto che la variante contemplata dall'articolo 16 della legge regionale in narrativa « non determina in sé la legittimazione delle singole opere abusive» dal momento che tali opere «rimangono assoggettate alla normativa statale in materia di condono ed alla rigorosa connessa rigorosa verifica, strettamente vincolata, dei presupposti di legge per il rilascio dell'eventuale sanatoria».
In secondo luogo il mancato adeguamento da parte del legislatore regionale agli articoli 9, comma 1, e 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali) a mente dei quali:
- «L'emanazione di norme legislative da parte delle Regioni nelle materie stabilite dall'articolo 117 della Costituzione si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti»;
- «Le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell'articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse. I Consigli regionali dovranno portare alle leggi regionali le conseguenti necessarie modificazioni entro novanta giorni».

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