Appalti

Dagli appalti ai lavori in casa: le risposte agli ultimi 100 quesiti inviati dai lettori

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di Mauro Salerno

Dalle semplificazioni per i microappalti alle cause di esclusione, fino ai temi della sicurezza e ai titoli abilitativi per i lavori in casa. In attesa dell’annunciata revisione del codice degli appalti - preceduta dalla consultazione che il Mit ha chiuso lo scorso 10 settembre - Edilizia e Territorio ha deciso di raccogliere in un unico documento gli ultimi 100 quesiti rivolti dai lettori ai nostri esperti, raccolti per argomento.

Speriamo sia un contributo a fare chiarezza in almeno qualcuna delle situazioni in cui si vengono a trovare le migliaia di imprese e di enti pubblici che giorno per giorno si imbattono nella necessità di districarsi nella giungla di regole (e di decisioni della giustizia amministrativa) che disciplinano il mercato dei lavori pubblici e dell’edilizia privata . Dall’analisi del caso specifico spesso si traggono suggerimenti e soluzioni di carattere più generale e dunque applicabili a evenienze diverse da quelle che hanno generato la richiesta di un parere ai nostri esperti.

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Risposta ai quesiti a cura degli esperti Luigi Caiazza, Paola Conio, Fabrizio Luches, Roberto Mangani, Donato Palombella, Laura Savelli.

REQUISITI E QUALIFICAZIONE

1) Le linee guida Anac n. 4 prevedono modalità semplificate di verifica dei requisiti in caso di affidamento diretto rispettivamente e in modo diversificato per le soglie di importo da 0 a 5.000 euro e da 5.000 a 20.000 euro. Nel caso di affidamento, inferiore alle soglie sopra indicate, preceduto da richiesta informale di preventivi a più operatori economici, si può ritenere di ricadere nell'affidamento diretto e quindi poter usufruire delle semplificazioni sopra viste? Grazie

Secondo l'interpretazione fornita dalle linee-guida Anac n. 4 con riferimento all'articolo 36, comma 2, lettera a), del Codice, si considerano diretti gli affidamenti di importo inferiore a 40 mila euro, a prescindere dal fatto che siano stati preceduti o no da una richiesta informale di preventivi a più imprese, come confermato peraltro dalla stessa disposizione che adopera appunto l'espressione “anche senza previa consultazione di due o più operatori economici”. Quindi, le modalità semplificate di verifica dei requisiti indicate dalle linee-guida si applicano indistintamente a tutti gli affidamenti al di sotto delle soglie di 5 e 20 mila euro. (L.S.)

2) L'impresa in possesso dell'attestazione Soa ha partecipato alla gara con i propri requisiti, poiché l'attestazione Soa è in scadenza triennale e non può essere revisionata, chiedo se è possibile ricorrere all'avvalimento dei requisiti tecnici-economici in corso di gara.

La fattispecie prospettata nel quesito non trova regolamentazione in alcuna specifica disposizione. Essa va quindi esaminata sulla base dei principi generali in materia di qualificazione. In particolare il principio che viene in considerazione è quello della continuità della qualificazione, nel senso che i relativi requisiti devono essere posseduti durante tutta la procedura di gara. Nel caso prospettato questa continuità verrebbe assicurata attraverso il ricorso all'avvalimento nel corso della procedura. Ciò costituisce una deroga al normale funzionamento dell'istituto che prevede che l'impresa ausiliaria sia presente già all'inizio della gara. È molto dubbio che tale deroga possa considerarsi legittima, poiché in questo modo verrebbe consentito all'impresa concorrente di sanare in corso di gara un deficit di qualificazione, in violazione del principio della par condicio tra i concorrenti. (R.M.)

3) In base al paragrafo 4.2.3 delle linee guida Anac n. 4, per affidamenti di importo superiore a 5.000 euro e non superiore a 20.000 euro, la stazione appaltante ha facoltà di procedere alla stipula del contratto sulla base del Dgue reso dall'operatore economico, dal quale risulti il possesso dei requisiti di carattere generale di cui all'articolo 80 del Codice e speciali, ove previsti. In tal caso la stazione appaltante procede comunque, prima della stipula del contratto, alla consultazione del casellario Anac, alla verifica della sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 80, commi 1, 4 e 5, lettera b) del Codice dei contratti pubblici e dei requisiti speciali ove previsti. Domanda: La verifica dei requisiti di cui all'articolo 80, commi 1, 4 e 5, lettera b) deve essere: soluzione a) attivata prima della stipula del contratto soluzione b) attivata e devono essere ricevuti dalla stazione appaltante, prima della stipula del contratto, anche i certificati relativi a tali verifiche (es. casellario, agenzia entrate, durc, ecc.) rilasciati dai soggetti competenti Se l'interpretazione fosse la soluzione b) non si comprenderebbe il senso delle clausole da inserire nel contratto né in cosa consista la reale semplificazione per detta fascia di importo. Grazie.

Per quanto concerne gli specifici requisiti per i quali le linee guida impongono la verifica, dalla lettura in particolare dell'Air di accompagnamento alla delibera di approvazione delle Linee Guida n. 4 aggiornate, sembrerebbe doversi ritenere maggiormente corretta l'ipotesi sub b). Difatti, ancorché con riferimento alla fascia di importo inferiore (quella, cioè, sino a 5.000 euro) l'Anac afferma di ritenere un giusto compromesso tra le esigenze di celerità dell'affidamento con quelle di verifica dei requisiti del contraente la possibilità “di addivenire più rapidamente alla sottoscrizione del contratto e quindi all'esecuzione delle prestazioni dedotte, potendo acquisire l'autocertificazione del fornitore e compiere poche, rapide verifiche”, trattandosi, per tale fascia, di accertamenti effettuabili sostanzialmente in tempo reale. La previsione all'interno del contratto della clausola risolutiva espressa per il successivo accertamento di false dichiarazioni – presente anche per tale fascia inferiore - sembrerebbe doversi ricollegare alla facoltà della stazione appaltante di “integrare le verifiche sia prima che dopo la stipula del contratto” (cfr. pag. 13 Air) nonché all'espletamento delle verifiche a campione, come sembra suggerire anche il parere del Consiglio di Stato n. 381/2018. Come si legge nella relazione Air citata (cfr. pag. 14), al di sopra della soglia dei 5.000 euro, ad avviso dell'Anac, l'esigenza di legalità e di controllo prevale rispetto a quella di autonomia e responsabilità della stazione appaltante. Aderendo all'ipotesi sub b), per la fascia presa in considerazione dal quesito – 5.000/20.000 euro – la semplificazione consiste nel non aver previsto la verifica di tutti i requisiti indicati dall'art. 80, ma solo di quelli di carattere penale, fiscale e contributivo, oltre alla consultazione del casellario Anac (ritenuto rilevante anche ai fini antimafia) e alla verifica di assenza di procedure concorsuali di cui al comma 5 lettera b) dell'art. 80, eseguibile tramite collegamento informatico. (P.C.)

4) La categoria Sios OS3, se maggiore del 10% è scorporabile a qualificazione obbligatoria. Se il concorrente non è qualificato ha la possibilità di ricorrere al subappalto ma limitatamente al 30%. Per effettuare il 70% il concorrente deve comunque essere in possesso della relativa Soa OS3 oppure ricorrere all'Ati. È corretta l'interpretazione?

L'art. 89, comma 11, del Codice ha stabilito un divieto di avvalimento per le categorie SIOS aventi un'incidenza superiore al dieci per cento sull'importo totale dei lavori, ferma restando la subappaltabilità della singola categoria nei limiti del trenta per cento del suo valore, come specificato dall'art. 1, comma 1, del D.M. n. 248/2016. Dal combinato disposto di queste due norme, si ricava che il subappalto non è utilizzabile ai fini dell'integrazione dei requisiti di qualificazione, poiché si risolverebbe di fatto in un avvalimento indiretto, e quindi si porrebbe in violazione del divieto di cui all'art. 89, comma 11. Di conseguenza, la qualificazione nelle categorie Sios deve essere posseduta per l'intero dal concorrente (e ciò, a prescindere dalla decisione di subappaltare parte della lavorazione); in caso contrario, deve essere integrata mediante associazione temporanea di tipo verticale. (L.S.)

5) Un ente appaltante redige un progetto esecutivo dell'importo di circa 570.000,00 che, pur prevedendo lavorazioni impiantistiche per circa il 27% dell'importo a base d'asta (OS4 2,3% - OG11 25% di cui OS3 6%, OS28 13% e OS30 6%), viene posto in gara classificando tutti i lavori nelle categoria OG1. L'impresa che si aggiudica il lavoro è regolarmente qualificata per la categoria OG1, ma non ha nessuna qualificazione per le categorie specialistiche OS4 e OG11, parimenti indica di volersi avvalere del subappalto (senza peraltro indicare alcuna terna) solo per alcune di queste lavorazioni specialistiche e non per tutte. Quesito: l'Impresa, considerato che non potrà assicurare la corretta esecuzione di tutte le lavorazioni previste in progetto senza un'arbitraria estensione del subappalto, può sottoscrivere il contratto di appalto?

Si deve ritenere ancora in vigore l'articolo 12 del DL 47/2014. In base alla previsione del comma 2, lettera b), l'affidatario del contratto di appalto non può eseguire, se non in possesso della relativa qualificazione, le lavorazioni appartenente alle categorie di opere generali e quelle appartenenti a determinate opere specialistiche, tra cui OS3, OS 28 e OS 30, se di importo superiore al 10% del contratto di appalto o comunque a 150.000 euro. Nel caso di specie, anche a voler considerare separatamente le opere specialistiche, l'affidatario non può eseguire le opere della categoria OS 28, che potrà tuttavia affidare in subappalto se avrà dichiarato in sede di offerta la volontà di procedere in tal senso. (R.M.)

6) Se a seguito di richiesta di verifica antimafia, per mezzo del sistema Bdna in quanto l'operatore non risulta inserito nella white list, il sistema Bdna non risponde entro 30 giorni è possibile applicare il silenzio assenso.?

Ai sensi dell'art. 88, comma 4-bis, e dell'art. 92, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011, applicabili rispettivamente alla comunicazione e all'informazione antimafia, decorso il termine di trenta giorni dalla data della consultazione della BDNA, è possibile procedere anche in assenza della documentazione antimafia. (L.S.)

7) In merito alla partecipazione di un Consorzio Stabile ad una gara d'appalto ad evidenza pubblica con ctg prevalente OG2, si chiede se lo stesso Consorzio Stabile possa indicare come esecutrice dei lavori esclusivamente l'impresa consorziata in possesso anch'essa di ctg OG2 di adeguata classifica richiesta dal bando di gara o può lo stesso indicare come esecutrice dei lavori altra consorziata anch'essa in possesso di ctg OG2 ma con classifica minore rispetto a quella indicata nel bando di gara.

L'articolo 48, comma 7 del D.lgs. 50/2016 stabilisce che i consorzi stabili sono tenuti ad indicare in sede di offerta per quali consorziati il consorzio concorre. Si deve ritenere che, coerentemente, l'impresa consorziata indicata debba essere in possesso di tutti i requisiti di qualificazione richiesti dal bando. La conferma indiretta di questa soluzione si trova nella previsione del successivo comma 7 - bis, secondo cui è possibile in taluni casi designare ai fini dell'esecuzione un'impresa consorziata diversa da quella indicata in sede di gara, purché tale modifica non sia finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione in capo all'impresa consorziata originariamente designata. Il che sta a indicare che tale ultima impresa deve essere in possesso di tutti i requisiti di qualificazione richiesti per la partecipazione alla gara. (R.M.)

8) Con la presente si chiede se potrebbe essere considerata contro l'ordinamento giuridico la richiesta di una stazione appaltante che obbliga i consorzi stabili ad indicare, non previsto nel bando ma nelle risposte ai quesiti posti dalla S.A., come esecutrice dei lavori una consorziata in possesso anch'essa, oltre al Consorzio stesso, della classifica e categoria OS21 non prevalente richiesta come requisito di partecipazione.

Da quanto emerge sembra che la stazione appaltante abbia richiesto al consorzio stabile di indicare l'impresa consorziata chiamata ad eseguire i lavori, richiedendo nel contempo che quest'ultima fosse in possesso dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara. La richiesta di indicazione dei consorziati per i quali il consorzio concorre appare legittima, riflettendo la previsione contenuta al comma 7 dell'articolo 48 del D.lgs. 50/2016. Al contrario non sembra legittima la richiesta che l'impresa consorziata sia autonomamente in possesso dei requisiti di qualificazione, valendo al riguardo la previsione del comma 1 dell'articolo 47, che ritiene sufficiente che i suddetti requisiti siano posseduti e comprovati dal consorzio stabile in sé considerato. (R.M.)

9) Importo appalto lavori €. 939.000 oltre ad oneri di sicurezza: cat. prevalente OG1 per €. 780.000 oltre ad oneri cat. scorporabile a qualificazione obbligatoria OS30 per €. 159.000 oltre ad oneri. I concorrenti devono qualificarsi in proprio e in RTI per entrambe le categorie. Il subappalto è autorizzato per il 30% dell'importo complessivo oltre al 30% della OS30. Il concorrente in possesso della sola cat. OG1 può subappaltare il 30% della OS30 ma non può realizzare in proprio la restante quota del 70%. È corretta l'interpretazione?

Le conclusioni indicate nel quesito appaiono corrette. Esse trovano fondamento nelle seguenti considerazioni che discendono dal quadro normativo vigente. In primo luogo si devono ritenere tuttora vigenti le previsioni contenute nell'articolo 12el DL 47/2014, secondo cui l'impresa affidataria che non sia in possesso della qualificazione nelle categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria deve subappaltare le relative lavorazioni a imprese qualificate. D'altro canto, vigono i due limiti quantitativi indicati dall'articolo 105 del D.lgs. 50/2016, e cioè il limite generale del 30% riferito all'importo complessivo del contratto e il limite del 30% riferito alle sole lavorazioni relative alle categorie superspecialistiche. I due limiti sono autonomi, nel senso che si sommano tra loro, cosicché la percentuale delle opere superspecialistiche oggetto di subappalto non concorre al raggiungimento del limite generale del 30% riferito al complessivo importo contrattuale. Ne consegue - come indicato nel quesito - che l'impresa affidataria non in possesso della qualificazione nella categoria scorporabile a qualificazione obbligatoria potrà subappaltare le relative lavorazioni nel limite del 30% delle stesse, ma non potrà eseguire in proprio la retate parte delle stesse. (R. M.)

10) A una procedura negoziata indetta da questa amministrazione, l'impresa invitata, in possesso di qualificazione Soa per la categoria prevalente OG13, non ha compilato la parte relativa al possesso dei requisiti di qualificazione della categoria OG11. L'Amministrazione ha attivato il soccorso istruttorio richiedendo all'Impresa l'integrazione del Dgue per la Cat. OG11 prevista dal bando. L'impresa ha quindi presentato la nota con la quale dichiara di possedere i requisiti richiesti in quanto in possesso della qualificazione Soa nella cat. OG10, con riferimento alla Deliberazione dell'Autorità LL.PP. n. 165 dell'11 giugno 2003. Si chiede, se la delibera dell'Autorità è tuttora in vigore e se l'impresa è da ammettere alla fase successiva di gara.

La citata deliberazione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici n. 165/2003 ha ad oggetto la dimostrazione dei lavori analoghi nel caso di appalti di importo inferiore a 150 mila euro. Come noto, nell'ambito di tale fascia di importo, non trovano applicazione le regole del sistema di qualificazione Soa, ed è invece la stessa impresa a dover dimostrare in sede di gara il possesso dei requisiti di ordine tecnico-organizzativo prescritti dal bando: ragion per cui, nella delibera, era stato chiarito che - ai fini della dimostrazione dei lavori analoghi - i bandi di gara per l'affidamento di lavori al di sotto dei 150 mila euro debbono contenere l'indicazione della natura dei lavori e della corrispondenza ai lavori delle categorie di qualificazione Soa. E quindi, per i lavori impiantistici - tanto per citare quelli rientranti nell'appalto descritto nel quesito - era stata prevista la corrispondenza ai lavori appartenenti alle categorie OG9, OG 10, OG11, OS3, OS4, OS5, OS28 e OS30. Fatta questa premessa, se ne deduce che, al di là della sua vigenza, la deliberazione dell'Autorità n. 165/2003 non è in ogni caso applicabile all'appalto in questione, in quanto si tratta di un affidamento di importo superiore alla soglia di 150 mila euro. Inoltre, trattandosi della categoria OG11, la disciplina di riferimento è oggi contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 10 novembre 2016, n. 248, in base al quale le categorie superspecialistiche - tra cui rientra la OG11 - posso essere subappaltate nel limite del trenta per cento del loro importo, se il valore della singola categoria supera il dieci per cento dell'importo totale dei lavori: il che, è quanto accade proprio nell'appalto di specie. Pertanto, l'impresa avrebbe dovuto dimostrare di possedere almeno il settanta per cento della OG11 e di voler subappaltare il restante trenta per cento o, in alternativa, avrebbe dovuto presentare offerta costituita in raggruppamento temporaneo di tipo verticale con un'impresa in possesso dell'attestazione Soa nella categoria OG11. Ma, non avendo agito in tal senso, non può sanare la sua qualificazione con il soccorso istruttorio. (L.S.)

11) Se un bando di servizi prevede quale requisito speciale l'aver eseguito servizi analoghi, senza altro specificare, è legittimo che la mandataria di rti orizzontale dimostri da sola il possesso di detto requisito?

Il caso prospettato è del tutto anomalo. Infatti i requisiti di partecipazione dei raggruppamenti alle gare trovano sempre la loro disciplina negli atti di gara, nel senso che il bando o il disciplinare indicano la quota parte dei requisiti che devono essere posseduti dalla mandataria e la quota parte che deve essere posseduta dalle mandanti. La totale assenza di ogni indicazione al riguardo potrebbe anche essere considerata motivo di illegittimità del bando. A fronte di un caso come quello prospettato appare opportuno formulare un quesito rai all'ente appaltante in maniera che lo stesso possa fornire i relativi chiarimenti. (R.M.)

12) Nell'ipotesi di consorzi stabili che partecipano alla gara per conto delle proprie consorziate, per soddisfare la previsione di cui all'art 84 comma 7 lett. a) del codice dei contratti (dimostrare una cifra d'affari in lavori pari a 2v l'importo a base di gara realizzata nel triennio precedente, per appalti pari o superiori a 20 milioni), è possibile riferirsi solamente alla cifra d'affari del consorzio (benché non esegua mai tramite la propria struttura) anziché della/e cifra/e d'affari della/e consorziata/e?

La risposta è positiva e trova fondamento nell'articolo 47, comma 2 del D.lgs. 50/2016. Infatti, in base ad esso i consorzi stabili ai fini della qualificazione possono utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio sia quelli posseduti dalle singole imprese consorziate. (R.M.)

13) A un’associazione senza fini di lucro è stata affidata l'esecuzione di piccoli lavori stradali. Ad essa si applica l'art. 90 dpr 207/2010 sulla qualificazione per l'esecuzione di lavori pubblici?

L'articolo 90 del DPR 207/2010 disciplina la qualificazione per l'esecuzione di lavori di importo inferiore a 150.0000 euro. La norma ha una portata generale e risulta quindi applicabile qualunque sia l'esecutore dei lavori. (R.M.)

14) In un interessante approfondimento di Roberto Mangani si legge che, con l'entrata in vigore del Decreto correttivo al Codice degli appalti - che ha inserito, nell'ambito del comma 8 dell'articolo 83 (secondo periodo) la previsione in base alla quale le stazioni appaltanti possono indicare nel bando le misure in cui i requisiti di qualificazione devono essere posseduti da ciascuna delle imprese raggruppate o consorziate, fermo restando che l'impresa mandataria deve possedere tali requisiti (ed eseguire le prestazioni) in misura maggioritaria - vengono meno, per i lavori, le previsioni contenute nell'articolo 92 del DPR 207/2010 in quanto incompatibile con la previsione legislativa sopravvenuta. Chiedo se, nell'ambito della discrezionalità che il citato comma 8 dell'art. 83 lascia alla stazione appaltante, la stessa possa prevedere per il raggruppamento orizzontale di lavori requisiti identici a quelli previsti dal previgente art. 92 (pur non citandolo).

L'articolo 92, comma 1 del DPR 207/2000 prevedeva che nei raggruppamenti orizzontali la mandataria dovesse possedere i requisiti nella misura minima del 40% e la restante percentuale dovesse far capo alle mandanti con la misura minima del 10%. Tale previsione deve ritenersi superata dal comma 8 dell'articolo 83 del D.lgs. 50/2016 in base al quale nei raggruppamenti orizzontali le misure dei requisiti che devono essere posseduti dalle singole imprese raggruppate è indicata nei singoli bandi. Ciò naturalmente non impedisce che la stazione appaltante, nell'ambito delle sue scelte discrezionali, indichi le medesime misure percentuali dei requisiti già previste dall'articolo 92 del DPR 207/2010.(R.M.)

15)  È legittimo secondo voi un avviso per la formazione di un elenco di imprese per future procedure negoziate (ex art. 36, d.lgs. 50/2016), suddiviso in due sotto elenchi: uno con sole ditte “locali”, l'altro con ditte non locali che preveda di selezionare le di ditte da invitare di volta in volta, sorteggiandole per il 50% dall'elenco delle ditte locali e per l'altro 50% dalle ditte non locali?

Le modalità indicate per la selezione dei soggetti da invitare alle procedure negoziate non appaiono legittime. Infatti l'individuazione di un elenco separato di imprese locali nell'ambito del quale selezionare di volta in volta il 50% dei soggetti da invitare costituisce una forma di “localismo”, cioè una modalità che tende a favorire le imprese locali. Questa forma di favoritismo viola i principi di par condicio e di trasparenza e appare anche in contrasto con i principi comunitari di libero mercato e di libertà di prestazione dei servizi. (R.M.)

16) La scrivente impresa deve partecipare ad una gara di appalto, ma l'attestato Soa nella validità triennale è scaduto (31.10.2017) mentre è in corso di validità quinquennale (2019). Il bando prevede attestati di qualità posseduti dalla scrivente. Si è ipotizzato che per partecipare alla gara di procedere all'avvalimento della categoria di appalto. È possibile procedere all'avvalimento con altra impresa, certificando che i requisiti di qualità richiesti nel bando sono in possesso solo della scrivente?

Da quanto sembra potersi dedurre dal quesito il concorrente alla gara, non essendo in possesso di una attestazione Soa valida temporalmente, intenderebbe avvalersi di altra impresa in possesso della stessa. Nello stesso tempo i requisiti di qualità richiesti nel bando sarebbero dimostrati direttamente dal concorrente. Se questa è la fattispecie, non si rinvengono particolarità ostacoli nel procedere in tal senso, sul presupposto che i requisiti di qualità sono qualcosa di distinto e separato dall'attestazione Soa. (R.M.)

CAUSE DI ESCLUSIONE

17) L’ impossibilità a partecipare a gara di cui all'art. 80 comma 10 del Codice vale per tutte le sentenze o per le sole sentenze relative a reati per i quali la legge prevede che debba applicarsi la pena accessoria dell' incapacità a contrarre?

La norma si inserisce nel sistema delle pene vigente. Di conseguenza, la previsione contenuta all'articolo 80, comma 10 del D.lgs. 50/2016 non può che riferirsi alle sentenze di condanna che fanno riferimento a quelle ipotesi di reato per le quali è prevista come pena accessoria l'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione. (R.M.)

18) A seguito del Vostro articolo del 20/07 u.s. intitolato “Grave illecito professionale, rilevanza dell'iscrizione nel casellario Anac”, abbiamo analizzato la sentenza da Voi richiamata emessa dal Consiglio di Stato, sez. 3, n. 4266 del 12/07/2018. Nella sentenza, al punto 11.2 si riporta esplicitamente che “è necessario che le informazioni di cui si lamenta la mancata segnalazione risultino, comunque, dal Casellario informatico dell'Anac, in quanto solo rispetto a tali notizie potrebbe porsi un onere dichiarativo ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento, così come è stato chiarito dalle Linee guida dell'Anac n. 6/2016, al punto 4.6”. Tale sentenza si rifà alla sentenza emessa dal Consiglio di Stato, sez. 5, n. 2063 del 03/04/2018. Il nostro dubbio sorge dal fatto che nelle linee guida n. 6 aggiornate al d.lgs. 56/2017, rispetto alla versione delle linee guida n. 6 inizialmente approvata nel 2016, sia stata eliminata la parte dove veniva indicato che “Gli operatori economici [...] sono tenuti a dichiarare [...] tutte le notizie inserite nel Casellario Informatico gestito Dall'Autorità....”, sostituita con “Gli operatori economici [...] sono tenuti a dichiarare [...] tutte le notizie astrattamente idonee a porre in dubbio la loro integrità o affidabilità.” Riteniamo che ci stia sfuggendo qualche passaggio, Vi saremo grati se vorrete illuminarci.

Il quesito coglie una contraddizione che si è verificata in relazione al sopravvenire della nuova versione delle Linee guida Anac n.6. La sentenza citata ha effettivamente affermato che le informazioni che il concorrente è obbligato a segnalare sarebbero solo quelle risultanti dal casellario informatico dell'Anac. In sede di rivisitazione delle Linee guida n. 6 questa conclusione è stata totalmente disattesa. Con una novità rispetto alla precedente versione è stato esplicitamente previsto che i concorrenti devono dichiarare tutti i provvedimenti astrattamente idonei a porre in dubbio l'integrità o l'affidabilità, anche se non ancora inseriti nel casellario informatico. Ciò nella logica di obbligare i concorrenti a dichiarare qualunque tipo di dato astrattamente rilevante, essendo poi rimesso alla stazione appaltante il giudizio in ordine alla rilevanza in concreto dei comportamenti denunziati. Si deve peraltro rilevare che questa nuova indicazione che prescinde, ai fini dell'obbligo di dichiarazione, dall'inserimento nel casellario informatico, fa comunque riferimento all'esistenza di un provvedimento, quale presupposto necessario per far scattare l'obbligo di dichiarazione. In definitiva si deve ritenere che l'indicazione contenuta nelle Linee guida Anac sia ad oggi prevalente sull'indirizzo giurisprudenziale, fermo restando che l'obbligo dichiarativo sussiste solo in relazione all'esistenza di un provvedimento - genericamente inteso - che metta in dubbio l'integrità o affidabilità del concorrente. (R.M.)

19) È corretto interpretare l'art. 80, c. 10, D.Lgs. 50/2010, come trovato su un corso in internet, vale a dire: nel senso che viene meno l'impossibilità di partecipare a gara: 1) dopo 5 anni dal passaggio in giudicato della sentenza se è prevista la sanzione accessoria dell'incapacità a contrattare con la Pa ma il giudice non abbia stabilito la durata; 2) dopo aver scontato la sanzione accessoria dell'incapacità a contrarre con la Pa se il giudice ha stabilito la durata della sanzione (non superiore comunque a 5 anni); 3) dopo cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza se il reato non comporta la sanzione accessoria dell'incapacità a contrarre con la Pa e la pena detentiva è pari o superiore a 5 anni; 4) alla scadere della durata della pena principale in tutte le altre ipotesi. Grazie.

L'articolo 80, comma 10 del d.lgs. 50/2016 prevede che se la sentenza di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria consistente nell'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione tale durata è pari a cinque anni, salvo che la pena principale sia inferiore, nel qual caso la durata della pena accessoria è uguale alla durata della pena principale. In base a tale previsione l'affermazione sub 1) è corretta a meno che la durata della pena principale sia inferiore a 5 anni, nel qual caso la durata della pena accessoria sarà pari alla durata della pena principale. Sono invece corrette le conclusioni di cui ai punti 2), 3) e 4). (R.M.)

20) Nel caso in cui: un’impresa ha firmato un ordine in somma urgenza in data 18/12/2017; dal certificato dell'agenzia delle entrate risulti cartella notificata il 12/9/2017 superiore a 10.000 euro; l'impresa ha fatto richiesta di Rottamazione in data 18/12/2017. Si chiede se la stessa possa essere considerata in regola ai sensi dell'art. 80, c. 4, d.lgs. 50/2016 al momento della chiamata.

L'articolo 80, comma 4 del d.lgs. 50/2016 prevede che sia escluso dalla gara l'operatore che abbia commesso violazioni gravi, debitamente accertate, rispetto agli obblighi di pagamento delle imposte e tasse. L'ultimo periodo del medesimo comma 4 stabilisce tuttavia che la previsione non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o anche semplicemente impegnandosi in modo vincolante a farlo, purché il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande. Applicando questa disciplina al caso di specie, la c.d. rottamazione rappresenta senza dubbio un impegno vincolante a pagare ma, per avere effetto sanante sarebbe dovuta intervenire prima della firma dei lavori di somma urgenza e non il medesimo giorno. (R.M.)

21) Un consorzio stabile dichiara di concorrere in proprio alla partecipazione di una gara d'apaplto, senza indicare pertanto il nominativo dell'esecutrice dei lavori. Lo stesso consorzio stabile è costituito da circa 5 imprese consorziate, delle quali 3 di queste partecipano alla stessa procedura singolarmente. Pertanto chiedo il seguente quesito: visto che il consorzio stabile non indica la consorziata esecutrice dei lavori, possono cmq partecipare alla medesima gara anche le altre consorziate visto che il consorzio stabile ha dichiarato di concorrere in proprio o andrebbero escluse dalla procedura sia il consorzio che le consorziate partecipanti alla stessa procedura di gara?

La fattispecie prospettata appare inficiata da un vizio di base. Essa parte infatti dal presupposto che il consorzio stabile possa omettere di indicare le imprese consorziate che eseguiranno i lavori. In realtà l'articolo 48, comma 7 del D.lgs. 50/2016 stabilisce che i consorzi stabili debbano indicare un sede di offerta per quali consorziati il consorzio concorre e solo a questi ultimi è fatto divieto di partecipare alla gara. (R.M.)

OFFERTA PIU’ VANTAGGIOSA

22) In una gara di lavori di manutenzione pavimentazioni autostradali, da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicatente più vantaggiosa, assegnando un dato punteggio per il possesso dell' Iso 18001 e 14001. Se nello scopo della qualificazione il certificato riporta “manutenzione edifici civili” e non EA28 manutenzione strade, i punteggi vanno comunque assegnati. Si precisa che il disciplinare richiedeva il possesso di dette certificazioni, senza specificare lo scopo.

Se il disciplinare di gara ha previsto l'attribuzione di un punteggio, nell'ambito del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, in relazione al possesso della certificazione di qualità relativa a determinati ISO, senza fornire alcuna specificazione ulteriore, si deve ritenere che il semplice possesso di tale certificazione dia diritto all'attenzione del punteggio, a nulla rilevando che il certificato riporti un'attività diversa da quella oggetto di gara. (R.M.)

PROFESSIONISTI, PROGETTAZIONE E CONCORSI

23) In una gara di progettazione è lecito ammettere un raggruppamento temporaneo di professionisti in cui uno solo possiede i requisiti di carattere speciale richiesti nell'avviso di gara (aver espletato servizi analoghi di ingegneria negli ultimi dieci anni) e gli altri possiedono soltanto l'abilitazione all'esercizio della professione? In caso affermativo possono tutti firmare il progetto?

La risposta al quesito presuppone l'analisi del relativo bando di gara. Quest'ultimo infatti normalmente contiene clausole che stabiliscono, in caso di raggruppamento temporaneo di imprese, se e in che misura i requisiti di qualificazione devono essere posseduti dai singoli componenti dello stesso. In questo senso si esprime anche l'articolo 83, comma 8 del D.lgs. 50/2016, che consente all'ente appaltante di indicare le misure in cui i requisiti di qualificazione devono essere posseduti dalle singole imprese raggruppate. Qualora il bando nulla dica, si pone il problema di come interpretare tale silenzio. Al riguardo un riferimento interpretativo può essere rappresentato dalla previsione già contenuta all'articolo 261, comma 7 del DPR 207/2010. Nonostante la norma sia stata abrogata, ad essa può farsi riferimento solo a fini interpretativi. Tale previsione stabilisce il principio generale che i requisiti di qualificazione devono essere posseduti cumulativamente dal raggruppamento, ancorché anch'esso preveda la possibilità che l'ente appaltante stabilisca le diverse misure in cui tali requisiti devono essere posseduti dai singoli componenti. Si può allora ritenere in via interpretativa che, in mancanza di diversa previsione contenuta nel bando di gara, sia sufficiente che i requisiti siano posseduti anche solamente da un componente del raggruppamento. In tal caso, nessun ostacolo si pone al fatto che il progetto sia firmato da tutti i componenti del raggruppamento, trattandosi di un elemento che attiene alla fase esecutiva che nulla ha a che fare con la precedente fase della qualificazione. (R.M.)

24) Può il titolare di uno studio di progettazione urbanistica essere assessore ai lavori pubblici e all'urbanistica nello stesso paese di 23 mila abitanti in cui esercita la professione?

L'art. 78, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico degli enti locali) stabilisce che “i componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall'esercitare attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato”. Sull'operatività di tale obbligo di astensione si è pronunciata anche l'Anac, con la delibera n. 1307 del 14 dicembre 2016, la quale ha rilevato l'esistenza di un conflitto di interessi tra le attività esercitate da un assessore ai lavori pubblici e la carica politica rivestita: nel caso di specie, si trattava di un architetto con qualità di socio amministratore nell'ambito di uno studio associato di progettazione avente sede sul territorio comunale in cui svolgeva l'incarico di assessore ai lavori pubblici. (L.S.)

25) Qual è la differenza tra concorso di idee e di progettazione e quando, in termini pratici, si ricorre ad una o all'altra procedura ? Come vanno o andrebbero calcolati i relativi compensi da porre a base di gara?

Il concorso di idee e il concorso di progettazione hanno una struttura e modalità di funzionamento sostanzialmente analoghe. La diversità fondamentale consiste nel fatto che il concorso di progettazione ha un ambito di utilizzo più limitato rispetto al concorso di idee. Infatti il primo può essere utilizzato esclusivamente per l'acquisizione di progetti di opere pubbliche o di piani urbanistici, come risulta dalla definizione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera ddd) del D.lgs. 50/2016, secondo cui i concorsi di progettazione sono finalizzati a fornire alle stazioni appaltanti un piano o un progetto nei settori dell'architettura , dell'ingegneria, della tutela dei beni culturali , della pianificazione urbanistica e territoriale, della messa in sicurezza e della mitigazione degli impatti idrogeologici ed idraulici. Il concorso di idee ha invece un ambito di applicazione più ampio, potendo essere utilizzato anche per l'acquisizione di idee relative allo svolgimento di prestazioni di servizi e forniture. Quanto ai premi da porre alla base del concorso, non esistono indicazioni normative cosicché la loro determinazione rimane nella discrezionalità dell'ente che bandisce il concorso. (R.M.)

26) Un concorso di progettazione, con procedura aperta ad un grado, di importo stimato superiore ad € 100.000,00 ed inferiore alla soglia comunitaria, da quali articoli del D.Lgs. 50/2016 è disciplinato relativamente alle modalità di pubblicazioni e termini per la ricezione delle offerte? Essendo inferiore alla soglia comunitaria, si potrebbe prevedere applicabile l'art.36 del codice? In tal caso però il termine di 18 giorni per la ricezione dell'offerta, che dovrebbe essere una proposta progettuale potrebbe risultare insufficiente, come dovrebbe comportarsi la stazione appaltante?

Gli articoli 152 e seguenti del D.lgs. 50/2016 che disciplinano i concorsi di progettazione non contengono alcuna disposizione specifica sulla pubblicità e sui termini. Appare quindi corretto fare riferimento alle norme di carattere generale previste per gli appalti. In particolare, qualora l'importo del concorso di progettazione sia inferiore alla soglia comunitaria si deve fare riferimento alle previsioni contenute al comma 9 dell'articolo 36. La correttezza di questa soluzione è confermata dalla formulazione letterale del medesimo articolo 36 che al comma 1, nel definire il proprio ambito applicativo, parla genericamente di “affidamento” di lavori, servizi e forniture, riferendosi quindi a tutte le modalità procedurali con cui tale affidamento può avvenire. Quanto alla limitatezza del termine, è sufficiente ricordare che quelli indicati dalla norma sono termini minimi, che certo non impediscono alla stazione appaltante di ampliarli qualora siano ritenuti non congrui. (R.M.)

27) Un concorso di progettazione ai sensi dell'art.152 e seg. Del D.Lgs 50/2016 e s.m.i., prevede l'affidamento dei livelli di progettazione definitiva ed esecutiva al vincitore del concorso. L'importo stimato per il premio e quello della progettazione definitiva ed esecutiva ammonta a circa € 160.000,00. Si chiede se il Cig (codice identificativo gara) deve essere richiesto e se è dovuto il contributo all'Anac.

La funzione principale del Cig è quella di consentire di tracciare le movimentazioni finanziarie collegate agli affidamenti di lavori, servizi e forniture. Ne consegue che esso deve essere utilizzato ogniqualvolta vi sia una movimentazione di denaro, qualunque sia la procedura di scelta del contraente adottata. Ne consegue che il Cig va richiesto anche nel caso di Concorso di progettazione, tanto più se tramite il Concorso si procede all'affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva. Si deve inoltre ritenere che sia dovuto anche il contributo Anac, posto che la Delibera 1377 del 21 dicembre 2016 che regola il contributo fa anch'essa un generico riferimento alle procedure di scelta del contraente, tra cui rientra senza dubbio il Concorso di progettazione. Roberto Mangani

28) È stato conferito un incarico ad un professionista per la stesura di un progetto definitivo di messa in sicurezza di un versante nell'anno 2003 per un importo globale di 3.500.000 €. Tale progetto è stato redatto e regolarmente approvato dall'Amministrazione. Con tale progetto è stato chiesto il finanziamento dell'opera. Nell'anno 2008 è stato concesso un finanziamento parziale di € 500.000. E' stato conferito allora al medesimo professionista l'incarico di redigere un progetto stralcio funzionale nei limiti delle somme disponibili, e di direzione dei lavori. Il progetto è stato redatto, approvato ed i lavori sono stati regolarmente conclusi. Nel 2018 è stato concesso il finanziamento delle somme rimanenti per l'attuazione del progetto: 3.500.000 – 500.000 = € 3.000.000. Occorre quindi redigere il progetto esecutivo dell'opera, sulla scorta del definitivo già approvato. Quesito Si chiede se si possa procedere all'affidamento diretto allo stesso professionista che ha redatto il progetto definitivo approvato, in virtù di quanto prevede il Codice che all'art. 23 c. 12 recita : «Le progettazioni definitiva ed esecutiva sono, preferibilmente, svolte dal medesimo soggetto, onde garantire omogeneità e coerenza al procedimento» per come confermato della Linea guida Anac n. 1 aggiornata con Del. n. 138/2018 che prevede: «2. Continuità nella progettazione e accettazione progettazione svolta 2.1. Un secondo elemento cardine è costituito dall'essere svolte la progettazione definitiva e quella esecutiva, preferibilmente, dal medesimo soggetto, onde garantire omogeneità e coerenza al processo (art. 23, comma 12, codice)». In caso affermativo, vi sono limiti dell'importo dell'onorario, cioè l'importo (calcolato secondo le tariffe di cui al D.M. 17.06.2016) deve essere inferiore ai 40.000 € o può essere compreso tra 40.000 e 100.000 euro?

La previsione contenuta all'articolo 23, comma 12 del D.lgs. 50/2016 che esprime una preferenza per l'affidamento allo stesso soggetto della progettazione definitiva ed esecutiva non può essere intesa come una legittimazione a procedere all'affidamento diretto della progettazione esecutiva al soggetto che in precedenza ha redatto la progettazione definitiva. Ciò sarebbe infatti in contrasto con l'impostazione complessiva del Codice dei contratti pubblici e con le specifiche previsioni che disciplinano le modalità di affidamento degli incarichi di progettazione. La norma va quindi intesa nel senso che è preferibile porre l'affidamento della progettazione definitiva e di quella esecutiva a base di una medesima gara, in modo da procedere al loro affidamento congiunto al medesimo soggetto. Nel caso di specie l'unica possibilità di affidare la progettazione esecutiva al medesimo soggetto che ha redatto la progettazione definitiva è quella di procedere all'affidamento diretto se e in quanto il relativo corrispettivo sia pari o inferiore a 40.000 euro, secondo quanto previsto dall'articolo 31, comma 8 del D.lgs. 50/2016. (R.M.)

29) Mi pare ci sia un conflitto all'interno dello stesso art. 102, comma 2 del D.l.gs 50/2016 che recita »Per i lavori di importo pari o inferiore a 1 milione di euro e per forniture e servizi di importo inferiore alla soglia di cui all'articolo 35, è sempre facoltà della stazione appaltante sostituire il certificato di collaudo o il certificato di verifica di conformità con il certificato di regolare esecuzione rilasciato per i lavori dal direttore dei lavori e per forniture e servizi dal responsabile unico del procedimento». Dove allo stesso art. 102 comma 7, lettera d che recita: «d) a coloro che hanno, comunque, svolto o svolgono attività di controllo, verifica, progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione sul contratto da collaudare;». Cioè in buona sostanza il Direttore dei lavori, che è stato anche progettista di un'opera, il cui importo è inferiore ad Un Milione di Euro, può emettere il certificato di regolare esecuzione ?

L'articolo 102, comma 2 del D.lgs. 50/2016 consente che per i lavori di importo fino a 1 milione di euro e per le forniture e i servizi sottosoglia il certificato di collaudo o il certificato di verifica di conformità sia sostituito con il certificato di regolare esecuzione rilasciato dal direttore lavori (per i lavori) o dal responsabile unico del procedimento (per forniture e servizi). La norma ha natura derogatoria, dettando una disciplina speciale per gli appalti di importo minore. La successiva previsione del comma 7, lettera d)prevede un divieto di affidare incarichi di collaudo o di verifica di conformità a coloro che hanno comune svolto o svolgono attività di controllo, verifica, progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione sul contratto da collaudare. Si deve tuttavia ritenere che tale divieto vada interpretato come riferito ai soli incarichi di collaudo o verifica di conformità in senso proprio, e non riguardi quindi il certificato di regolare esecuzione, per la cui redazione peraltro non si procede con un distinto affidamento. Ne consegue che non si rinvengono ostacoli, anche in considerazione della specialità della previsione del comma 2, al fatto che il direttore lavori emetta il certificato di regolare esecuzione per lavori fino a 1 milione di euro (R.M.)

30 ) In un gara per l'affidamento di un incarico di servizi attinenti all'architettura ed all'ingegneria (servizio di progettazione) per il quale si richiede di aver espletato servizi analoghi per un importo pari ad almeno € 1.000.000,00, come vanno computati i requisiti di un libero professionista che relativamente ad un servizio analogo a quello oggetto della procedura di gara dichiara di aver eseguito tale incarico nell'ambito di un R.T.P. ? Bisogna tener conto della quota di partecipazione nel R.T.P. ossia se il R.T.P. era costituito da due professionisti al 50%, il requisito dichiarato è da intendersi al 50% ? È corretto, se il professionista dichiara di aver espletato un incarico di € 1.200.000,00 nell'ambito di un R.T.P. la cui quota di partecipazione era il 50%, intendere il requisito assolto per € 600.00 0?

In linea generale la prospettazione appare corretta. Infatti, in caso di raggruppamento temporaneo ogni componente dello stesso può assumere il proprio requisito di qualificazione in misura corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento. A tale quota di partecipazione del raggruppamento corrisponde poi la quota di esecuzione delle prestazioni, cosicché ad ogni componente del raggruppamento andrà imputata, ai fini della qualificazione, la corrispondente quota di esecuzione delle prestazioni. (R.M.)

31) È sempre necessario affidare il collaudo di un’opera se il progettista coincide con il direttore lavori? E se l'importo dei lavori è inferiore a 500.000 euro?

L'articolo 102, comma 7, lettera d), del Codice vieta - a prescindere dall'importo dei lavori - di affidare incarichi di collaudo “a coloro che hanno, comunque, svolto o svolgono attività di controllo, verifica, progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione sul contratto da collaudare”. (L.S.)

32) Un tecnico incaricato per una sanatoria di un immobile può assumere anche il mandato di certificatore energetico senza entrare in conflitto con la dichiarazione di indipendenza?

Il Dlgs 192/2005 richiede che il certificatore energetico sia in posizione di “indipendenza”. Il Dm 26 Giugno 2009, “Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica degli edifici”, dal suo canto, vuole che il certificatore rilasci una “Dichiarazione di indipendenza e di imparzialità del giudizio […] resa ai sensi degli art. 359 e 481 del Codice Penale”. Più recentemente, l'art. 3 del dPR 16 aprile 2013, n. 75 è nuovamente intervenuto sulla materia tracciando una linea di demarcazione tra: (a) edifici di nuova costruzione ed (b) edifici esistenti. Nel primo caso (art. 3, comma 1, let. a) il certificatore deve trovarsi in assenza di conflitto di interessi, tra l'altro espressa attraverso il non coinvolgimento diretto o indiretto nel processo di progettazione e realizzazione dell'edificio da certificare o con i produttori dei materiali e dei componenti in esso incorporati nonché rispetto ai vantaggi che possano derivarne al richiedente, che in ogni caso non deve essere né il coniuge né un parente fino al quarto grado, Nel caso di edifici esistenti (art. 3, comma 1, let. b), occorre dichiarare l'assenza di conflitto di interessi, ovvero il non coinvolgimento diretto o indiretto con i produttori dei materiali e dei componenti in esso incorporati nonché rispetto ai vantaggi che possano derivarne al richiedente, che in ogni caso non deve essere né coniuge né parente fino al quarto grado. Da ultimo il DL 23 dicembre 2013 n. 145, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2014, n. 9, ha modificato l'art. 3 del dPR 75/2013 introducendo il comma 1-bis; tale disposizione introduce una terza ipotesi (art. 3, comma 1, let. c) per cui, qualora il tecnico abilitato sia dipendente e operi per conto di enti pubblici ovvero di organismi di diritto pubblico operanti nel settore dell'energia e dell'edilizia, il requisito di indipendenza di cui al comma 1 si intende superato dalle finalità istituzionali di perseguimento di obiettivi di interesse pubblico proprie di tali enti e organismi Nel caso in esame, si ritiene che il tecnico incaricato per una sanatoria possa assumere anche il mandato di certificatore energetico purché non si trovi nelle condizioni indicate dall'art. 3, comma 1, let. b). (D.P.)

33) Le previsioni di cui all'articolo 26 comma 8-bis del codice in tema di verifica e validazione degli elaborati progettuali si applicano o meno nelle concessioni intraprese ai sensi dell'articolo 183 comma 15 del codice? O tali interventi in ragione della specificità consentono forme alternative di verifiche e validazioni? In caso positivo come si procede?

L'articolo 26, comma 8 - bis del D.lgs. 50/2016 prevede che nei casi di contratti aventi ad oggetto la progettazione e l'esecuzione dei lavori, il progetto esecutivo ed eventualmente il progetto definitivo presentati dall'affidatario sono soggetti, prima dell'approvazione di ciascun livello di progettazione, all'attività di verifica. La formulazione della norma fa riferimento ai contratti, ricomprendendo quindi sia gli appalti che le concessioni. A supporto di questa tesi va puntualizzato che la richiamata disposizione rientra tra le norme ricomprese nella parte I del D.lgs. 50 che, per espressa previsione dell'articolo 179, comma 1, si applicano anche alle concessioni stipulate nell'ambito della finanza di progetto, in quanto compatibili. Nel caso di specie si deve ritenere che la compatibilità sussista. Operativamente, il concessionario dovrà trasmettere i progetti all'ente concedente che procederà alla verifica prevista dalla norma. (R.M.)

RUP

34) La linea guida n. 3/2017 Anac, prevede al punto 9 che il Rup possa svolgere anche le funzioni di progettista. Tuttavia al punto 9.1 prevede l'incompatibilità tra le funzioni di validazione con quelle di progettazione. Poiché l'attività di validazione è di esclusiva competenza del Rup e pertanto inalienabile, questo equivale a dire che il Rup non può mai svolgere le funzioni di progettazione? E in questo caso, perchè nelle linee guida viene prevista la possibilità di progettazione per il Rup?

La validazione dei progetti deve essere effettuata dai soggetti indicati dall'art. 26, comma 6, del Codice e dal par. VII delle linee-guida Anac n. 1, tra cui è ricompreso anche il Rup, seppur con riferimento alle sole ipotesi di lavori di importo inferiore a 1 milione di euro. Se in tale ipotesi sussiste un'incompatibilità causata dallo svolgimento della funzione di progettista, le stesse linee-guida Anac n. 1 precisano che la validazione viene invece affidata all'organismo di ispezione di tipo B, accreditato UNI CEI EN ISO/IEC 17020 ai sensi del Regolamento (CE) n. 765/2008, o agli uffici tecnici della stazione appaltante, che siano dotati di un sistema interno di controllo della qualità. (L.S.)

35) Non è stato redatto il verbale di validazione del progetto esecutivo. Cosa comporta questo in capo al Rup che, a causa dei ristretti tempi, non ha proceduto alla verifica delle fasi progettuali e alla redazione del verbale? Ringrazio.

Le Linee guida n. 3 relative ai compiti del responsabile unico del procedimento indicano chiaramente che tra le sue attribuzioni vi è la sottoscrizione della validazione del progetto. Ne consegue che il mancato assolvimento di tale adempimento configura una responsabilità del Rup anche sotto il profilo dell'eventuale danno erariale. (R.M.)

36) L'art. 26, c 6 lett d del codice prevede che per lavori inferiori a 1 milione di euro la verifica sia fatta dal Rup. Il comma 7 prevede che la verifica è incompatibile con l'attività di progettazione. Il punto 9 della linea guida Anac n. 3, tuttavia, prevede che il Rup possa svolgere anche le funzioni di progettista. In quest'ultimo caso, per lavori inferiori a 1 milione di euro, chi deve fare la verifica essendo le due attività incompatibili?

Come specificato dal par. VII delle linee-guida Anac n. 1, in caso di incompatibilità del Rup ai sensi dell'art. 26, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, i soggetti abilitati ad effettuare la verifica della progettazione, per importi inferiori a 1 milione di euro, sono: 1) l'organismo di ispezione di tipo B, accreditato UNI CEI EN ISO/IEC 17020 ai sensi del Regolamento (CE) n. 765/2008; 2) gli uffici tecnici della stazione appaltante, dotati di un sistema interno di controllo della qualità. (L.S.)

37) Vorrei chiarimenti in merito alla possibilità di sostituire il Rup individuato nel programma triennale dei ll.pp. Con delibera del consiglio del maggio scorso si è proceduto alla variazione del programma triennale delle opere pubbliche, inserendo nell'elenco annuale l'opera finanziata dalla regione. Nella scheda è stato individuato come Rup un ingegnere assunto a tempo determinato, come responsabile dell'area in quella fase risultava il geometra di ruolo dell'ente. In data successiva, a giugno, all'ingegnere è stato conferito l'incarico di posizione organizzativa dell'intera area tecnica. Con determinazione di fine luglio, dopo che comunque l'ingegnere aveva già avviato la determina contrattare per la scelta del professionista, ha assegnato tale procedimento al geometra ex resp. del servizio. Si chiede se tale procedura è corretta o se, invece l'attribuzione ad altro dipendente non poteva avvenire in quanto, il ruolo di Rup era stato previsto dalla parte politica con deliberazione del Consiglio Comunale.

Come indicato anche dalle Linee guida Anac n. 3 del 26 ottobre 2016 le stazioni appaltanti per ogni procedura di affidamento nominano un Rup con atto formale del responsabile dell'unità organizzativa. La nomina del Rup è quindi di competenza del responsabile dell'unità organizzativa, che può procedere anche alla sua eventuale sostituzione dandone adeguata motivazione nel relativo atto. (R.M.)

38) Vorrei esporre il seguente quesito in merito al parere espresso dal Rup, che ha espresso parere non favorevole alla redazione di una variante richiesta dalla direzione lavori. Il parere è stato trasmesso al Responsabile del Servizio in quanto differente dalla persona del Rup. Il Responsabile del servizio, che apparentemente non concorda pienamente sul parere negativo del Rup, sostiene però con l'Amministrazione, di non avere alternativa e di dover confermare tale parere. La domanda è pertanto: tale affermazione è veritiera? oppure come negli altri procedimenti amministrativi, il Responsabile del Servizio che dissente dal parere espresso dal responsabile del procedimento, può motivandone le ragioni, dissentire e adottare un procedimento differente? Considerato che il Rup non ha rilevanza esterna, come invece il responsabile del servizio, può quest'ultimo sostituirsi al Rup, rimuoverlo dall'incarico e gestire le ulteriori fasi dell'appalto? anche su indicazione della giunta/Amministrazione/Sindaco? Nella considerazione anche che il Rup è un tecnico diplomato e il Responsabile del servizio è invece un tecnico laureato?

L'art. 106 del D.Lgs. 50/2016 attribuisce specificamente al Rup il compito di approvare le varianti richieste dal direttore dei lavori, ancorché “con le modalità previste dall'ordinamento della stazione appaltante da cui il Rup dipende”. Si ritiene, pertanto, che sebbene l'art. 107 del D.lgs. 267/2000 attribuisca al dirigente responsabile del servizio l'adozione degli atti e dei provvedimenti a rilevanza esterna, l'approvazione della variante non possa prescindere dal parere favorevole del Rup. L'eventuale rimozione dall'incarico di responsabile unico del procedimento è in astratto possibile, ma atteso il ruolo specifico che la normativa attribuisce al Rup non si ritiene che possa essere motivata dal semplice dissenso rispetto alle valutazioni assunte dal medesimo nell'esercizio della propria funzione, a meno che le stesse non siano frutto, ad esempio, di negligenza o imperizia. (P.C.)

39) Al fine di garantirne l'adeguata pubblicità prevista dalla vigente normativa, dove vanno effettuate le pubblicazioni un bando, – con procedura aperta - per l'affidamento di un servizio di ingegneria di importo pari ad € 160.000 ?

Per rispondere al quesito, bisognerebbe sapere se il servizio di progettazione viene bandito da un'autorità governativa centrale o da un'amministrazione aggiudicatrice sub-centrale, dal momento che, nel primo caso, la soglia comunitaria è fissata in 144 mila euro e, nel secondo caso, in 221 mila euro (mentre, nei settori speciali, l'unica soglia Ue prevista è pari a 443 mila euro). Pertanto, nella prima ipotesi di procedura sopra soglia comunitaria, l'avvio di una gara per l'affidamento di un servizio di progettazione di importo pari a 160 mila euro è soggetto al rispetto degli obblighi di pubblicità contemplati dagli articoli 72 e 73 del d.lgs. n. 50/2016, che prevedono rispettivamente gli adempimenti da rispettare in ambito comunitario e nazionale, e cioè: pubblicazione del bando di gara dapprima sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea e, subito dopo, sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana. In realtà, l'articolo 73, comma 4, del Codice prevede la pubblicazione del bando sulla piattaforma digitale presso l'Anac; ma, questo nuovo strumento di pubblicità non è ancora operativo, in quanto non è stato adottato il relativo decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ne fissi il regolamento. Ai sensi dell'articolo 216, comma 11, del Codice, è previsto infine che il bando venga pubblicato anche sul profilo di committente della stazione appaltante, sul sito informatico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e su quello dell'Osservatorio dell'Anac, nonché, per estratto, su almeno due quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore diffusione locale nel luogo di esecuzione della prestazione. Nella diversa ipotesi di appalto sotto soglia Ue, le regole da rispettare sono identiche, eccezion fatta per la pubblicità comunitaria che non dovrà pertanto essere effettuata, oltre che per quella sui giornali che dovrà essere invece effettuata su almeno un quotidiano a diffusione nazionale e su almeno uno a maggiore diffusione locale nel luogo di esecuzione della prestazione. (L.S.)

40) Qualora un ente debba procedere alla verifica di un progetto di importo rientrante nella lett. c) C.6 art 26 e il Rup non possa avvalersi della struttura interna o il progetto sia redatto a progettisti interni, il soggetto a cui affidare l'attività di verifica deve essere in possesso di certificazione ISO9000? Per importi inferiori a 1.000.000 il Rup può avvalersi di supporto di un professionista esterno non certificato ISO9000?

Secondo le linee-guida Anac n. 1/2016 (paragrafo VII), la verifica di un progetto di lavori di importo compreso tra la soglia Ue ed un milione di euro può essere affidata agli organismi di ispezione di tipo A e di tipo C, accreditati UNI CEI EN ISO/IEC 17020 ai sensi del Regolamento (CE) 765 del 2008, oppure ai soggetti di cui all'articolo 46, comma 1, del Codice, dotati di un sistema interno di controllo di qualità conforme alla UNI EN ISO 9001 certificato da Organismi accreditati ai sensi dello stesso Regolamento. Per progetti di lavori di importo inferiore ad un milione di euro - sempre secondo le linee-guida - la verifica può essere svolta dal Rup solo con l'ausilio della struttura di cui all'articolo 31, comma 9, del Codice, ed unicamente nei casi in cui non abbia svolto le funzioni di progettista. Qualora sussista tale incompatibilità, la verifica è affidata ad un organismo di ispezione di tipo B, ugualmente accreditato UNI CEI EN ISO/IEC 17020, o agli uffici tecnici della stazione appaltante, dotati di un sistema interno di controllo della qualità. (L.S.)

COMMISSIONI DI GARA

41) L’art 77 del dlgs 50 recita :La commissione è costituta da un numero dispari di commissari, non superiore a cinque, individuato dalla stazione appaltante e può lavorare a distanza con procedure telematiche che salvaguardino la riservatezza delle comunicazioni. La domanda è : Una CUC è costituita da quattro comuni A,B,C e D. Per un opera da realizzarsi nel comune A che è l'ente titolare del finanziamento concessogli dalla Regione la commissione di gara, per un offerta economicamente più vantaggiosa, la deve nominare l'ente A o la CUC ? Precisamente per stazione appaltante si intende la CUC o il comune titolare dell'opera? Grazie

La Centrale unica di committenza opera a tutti gli effetti come stazione appaltante, e in questa veste è chiamata a porre in essere tutte le attività che sono tipiche e proprie della stazione appaltante. Rientra quindi nelle sue competenze la nomina della commissione di gara, essendo attività strettamente inerente lo svolgimento della gara. (R.M.)

42) Durante la seduta pubblica di una gara da aggiudicarsi al minor prezzo,il seggio di gara ha necessità di effettuare approfondimenti giurisprudenziali in merito all' esclusione di uno o più concorrenti. È legittimo, qualora le fattispecie da approfondire siano di incerta interpretazione, sospendere la seduta pubblica riconvocandola previo avviso pubblico alcuni giorni più tardi (dando atto nel verbale delle modalità di conservazione della documentazione)?

Nello svolgimento delle operazioni di gara vige il principio generale della continuità delle stesse. Al fine di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'azione amministrativa le sedute di gara devono rispettare i criteri della concentrazione e della continuità. Naturalmente il principio di continuità può subire eccezioni in determinati casi, ad esempio in caso di particolare complessità delle operazioni di gara o di numero molto elevato di concorrenti o comunque in tutte quelle ipotesi in cui una breve interruzione sia funzionale al miglior svolgimento della gara. In queste ipotesi sarà possibile un'eccezione al principio della continuità delle operazioni di gara, purché l'intervallo tra una seduta e l'altra sia minimo e siano fornite adeguate garanzie in ordine alla conservazione dei plichi, che devono assicurare l'impossibilità di manomissione degli stessi. (R.M.)

43) È possibile affidare al dirigente di una centrale di committenza i compiti di presidente della commissione giudicatrice? Si precisa che il dirigente assume le determinazioni di approvazione degli atti di gara, di ammissione/esclusione concorrenti (art. 29) e di aggiudicazione, ed è presidente del seggio di gara, deputato al controllo della documentazione amministrativa (Busta A).

In attesa dell'entrata a regime dell'Albo dei componenti delle commissioni giudicatrici da istituire presso l'Anac, la norma cui occorre fare riferimento è quella contenuta all'articolo 77, comma 4 del D.lgs. 50/2016. In base ad essa non possono essere nominati commissari coloro che hanno svolto o possono svolgere qualunque altra funzione o incarico tecnico o amministrativo rispetto all'appalto oggetto di affidamento. Secondo l'interpretazione che è stata data dalla giurisprudenza - che si è formata sotto la vigenza del D.lgs. 163/2006, che conteneva una norma analoga - la finalità della norma è quella di impedire che gli stessi soggetti possano contemporaneamente influire sul contenuto della procedura di gara e sul risultato della medesima. L'incompatibilità va quindi valutata sotto il profilo sostanziale, dovendosi sostanziare nella concreta materiale partecipazione alla redazione degli atti di gara. In altri termini, la previsione dell'articolo 77, comma 4 non vale a rendere incompatibili tutti coloro che siano in qualche misura coinvolti nell'appalto oggetto di affidamento, ma solo coloro che hanno avuto un ruolo significativo nella predisposizione degli atti di gara. Nel caso di specie occorrerà quindi verificare il ruolo che il dirigente della centrale di committenza ha svolto in sede di predisposizione degli atti di gara e se tale ruolo risulterà marginale e limitato ad adempimenti formali sarà possibile la sua nomina a membro della commissione giudicatrice. (R.M.)

44) Nel caso di una Centrale di Committenza, il Dirigente della CUC - che assume il provvedimento di approvazione degli atti di gara - può essere nominato anche Presidente della commissione giudicatrice? Vige in questo caso il divieto di cui all'art. 77 comma 4 Dlgs. 50/2016?

L'articolo 77, comma 4 del D.lgs. 50/2016 stabilisce che non possono essere nominati commissari coloro che hanno svolto o possono svolgere qualunque altra funzione o incarico tecnico o amministrativo rispetto all'appalto oggetto di affidamento. Secondo l'interpretazione che è stata data dalla giurisprudenza - che si è formata sotto la vigenza del D.lgs. 163/2006, che conteneva una norma analoga - la finalità della norma è quella di impedire che gli stessi soggetti possano contemporaneamente influire sul contenuto della procedura di gara e sul risultato della medesima. L'incompatibilità va quindi valutata sotto il profilo sostanziale, dovendosi sostanziare nella concreta materiale partecipazione alla redazione degli atti di gara. In altri termini, la previsione dell'articolo 77, comma 4 non vale a rendere incompatibili tutti coloro che siano in qualche misura coinvolti nell'appalto oggetto di affidamento, ma solo coloro che hanno avuto un ruolo significativo nella predisposizione degli atti di gara. Nel caso di specie occorrerà quindi verificare il ruolo che il dirigente della centrale di committenza ha svolto in sede di predisposizione degli atti di gara e se tale ruolo risulterà marginale e limitato ad adempimenti formali sarà possibile la sua nomina a membro della commissione giudicatrice. (R.M.)

45) La stazione appaltante può dimenticare di inoltrare l'invito ad una ditta a seguito di sorteggio?

Il sorteggio rappresenta una delle modalità di selezione delle impresa da invitare alla gara. Nel momento in cui l'ente appaltante decide di ricorrervi esso si autovincola a dare seguito alle risultanze dello stesso. Deve perciò considerarsi illegittimo in quanto contrario ai generali principi di imparzialità e buona amministrazione il mancato invito a una delle imprese che sia stata sorteggiata. (R.M.)

46) La stazione appaltante che si occupa di attività rientranti nei settori speciali (ciclo idrico integrato) è tenuta all'applicazione di quanto previsto dal Codice appalti per le commissioni di gara e quindi dalla linea guida Anac n. 4 del 10/01/18?

Le Linee guida che disciplinano la scelta dei commissari di gara e l'iscrizione nell'Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici sono le n.5 del 16 novembre 2016. Per espressa previsione delle stesse, non si applicano ai committenti che operano nei settori speciali che non siano amministrazioni aggiudicatrice. Ciò appare peraltro corrente con la previsione contenuta nell'articolo 122, comma 1 del D.lgs. 50/2016 che, nell'elencare le disposizioni relative ai settori ordinari che si applicano anche ai settori speciali, non ricomprende l'articolo 77 che disciplina le commissioni giudicatrici. Roberto Mangani

SUBAPPALTO

47) In caso di un contenzioso con un subappaltatore che provoca il fermo delle attività di cantiere di un lavoro pubblico, è possibile sostituire lo stesso con un'altra impresa in possesso dei requisiti necessari per l'esecuzione dei lavori? Se si con quale procedura si può procedere?

In linea generale non sussistono divieti alla sostituzione di un subappaltatore. In realtà in termini tecnici l'appaltatore dovrà chiudere il rapporto contrattuale con il subappaltatore che si intende “sostituire” e stipulare un nuovo contratto di subappalto con altro soggetto ottenendo dalla stazione appaltante la prescritta autorizzazione. Nel caso in cui si versi nell'ipotesi in cui in sede di offerta si è dovuta indicare la terna dei subappaltatori, la sostituzione sarà possibile solamente con altro subappaltatore ricompreso in detta terna. (R.M.)

48) È ancora contemplato dalla vigente normativa l'istituto del cd. “subappalto necessario”?

La nozione di subappalto necessario è stata elaborata da parte della giurisprudenza nella vigenza del D.lgs. 163/2006. Essa indica quell'ipotesi in cui il ricorso al subappalto non sarebbe una scelta facoltativa da parte dell'impresa appaltatrice, bensì una scelta obbligata in relazione al fatto che la stessa non avrebbe la qualificazione necessaria per l'esecuzione delle opere scorporabili, che sarebbe quindi obbligata ad affidare in subappalto. La giurisprudenza ha elaborato la nozione di subappalto necessario in relazione agli adempimenti cui sarebbe tenuta l'impresa appaltatrice in sede di offerta, nel senso che la stessa sarebbe tenuta a indicare non solo le parti di opere che ha intenzione di subappaltare, ma anche i nominativi dei futuri subappaltatori. Sotto quest'ultimo profilo il D.lgs. 50 introduce delle novità; l'articolo 105, comma 6 individua infatti le ipotesi in cui è obbligatoria l'indicazione dei subappaltatori già in sede di offerta. Poiché il legislatore è dunque intervenuto indicando esplicitamente le ipotesi di indicazione obbligatoria dei subappaltatori, si deve ritenere che non vi sia spazio per ipotesi diverse e, di conseguenza, non sembra che nel nuovo regime normativo possa riproporsi la figura del subappalto necessario. (R.M.)

49) Riscontriamo spesso difficoltà da parte delle stazioni appaltanti nella gestione delle pratiche nel caso di pagamento diretto dei subappaltatori. In particolare richiedono che la fattura del subappaltatore venga intestata alla stazione appaltante in quanto solamente con una fattura risulta ammissibile giustificare per la Ragioneria un pagamento. Si chiedono chiarimenti in relazione alla questione.

Prima della riforma l'Anac (allora Avcp) ha più volte chiarito che il pagamento diretto della stazione appaltante al subappaltatore deve essere correttamente qualificato in termini di delegazione di pagamento ex lege. In altri termini, il committente, debitore dell'appaltatore, provvede a saldare pro quota il proprio debito pagando il creditore del proprio debitore, ovvero il subappaltatore (cfr. e.g. Deliberazione n. 157/2004; parere AG26/12 del 7 marzo 2013; parere AG30/11 del 10 novembre 2011). Non sorge, pertanto, alcun autonomo rapporto obbligatorio tra il subappaltatore e la stazione appaltante, con la logica conseguenza che anche la fatturazione conserva le regole ordinarie (l'appaltatore fattura alla stazione appaltante e il subappaltatore fattura all'appaltatore). Questa ricostruzione, anche dopo la riforma, è stata ribadita dall'Ance che ha recentemente fornito indicazioni specifiche anche sulle modalità della fatturazione, escludendo comunque che il subappaltatore possa emettere fattura nei confronti dell'amministrazione committente. Su questa linea si sono indirizzate molte amministrazioni. Devono, tuttavia, segnalarsi i seguenti potenziali elementi di criticità. Da un lato la Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 648/2018, ha affermato che non sarebbe stato, nel caso specifico, instaurato “un nuovo e diverso rapporto tra committente e subappaltatore” “non essendosi la stazione appaltante avvalsa della facoltà di provvedere direttamente al pagamento del corrispettivo al subappaltatore”, lasciando potenzialmente intendere che, in caso contrario, tale rapporto diretto si sarebbe invece creato. Dall'altro, l'art. 106, lett. d) n. 3 prevede tra i casi legittimi di “sostituzione di un nuovo contraente a quello cui la stazione appaltante aveva aggiudicato inizialmente l'appalto” il caso in cui “l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei suoi subappaltatori”. Ciò potrebbe alimentare i dubbi delle stazioni appaltanti, sebbene l'ipotesi della creazione di un rapporto diretto tra committente e subappaltatore di fatto stravolge i principi generali della materia che, a sommesso avviso di chi scrive, risulterebbero invece pienamente rispettati dalla ricostruzione in termini di delegazione di pagamento. (P.C.)

50) A seguito di richiesta di subappalto di parte dei lavori, da parte dell'impresa aggiudicataria di un appalto, l'amministrazione ha proceduto ad effettuare le verifiche del possesso dei requisiti di carattere generale e speciale dichiarati dal subappaltatore. È corretto, da parte dell'amministrazione, prorogare il termine per il rilascio dell'autorizzazione al subappalto , ai sensi dell'art.105 – comma 18 – del D.Lgs. n.50/2016 e s.m.i., fino all'avvenuta verifica del possesso dei suddetti requisiti e, quindi, fino all'acquisizione, fra l'altro, delle necessarie certificazioni degli enti preposti (quali a titolo esemplificativo casellario giudiziale, agenzia delle entrate, certificazione antimafia, ecc.) ?

L'articolo 105, comma 18 del D.lgs. 50/2016 consente all'ente appaltante di prorogare il temine per il rilascio dell'autorizzazione al subappalto - rispetto al termine ordinario di 30 giorni - ove ricorrano giustificati motivi. Si deve ritenere che l'acquisizione delle certificazioni del subappaltatore ai fini della comprova dei requisiti autodichiarati costituisca senz'altro un giustificato motivo che legittima la proroga. (R.M.)

51) Se alla stazione appaltante viene comunicato, prima del pagamento del Sal finale, da parte di vari subfornitori di beni e lavori che l'appaltatore è inadempiente nei pagamenti per cifre complessive di gran lunga superiori al Sal finale da riconoscere, come si può successivamente applicare il comma 13 punto b) dell'art. 105 del D.Lgs 50/2016 secondo il quale la SA corrisponde direttamente gli importi dovuti in caso di inadempimento dell'appaltatore ? L'appaltatore ha dimostrato il pagamento del subappalto autorizzato per la quota parte dei precedenti Sal, è in regola con il Durc e tutti i subcontratti sottoscritti tra le parti riportano che l'appaltatore pagherà i subfornitori una volta incassato i Sal da parte della SA. Si sottolinea inoltre che l'appaltatore non ha comunicato gran parte dei subcontratti e subforniture di cui ora vengono contestati i mancati pagamenti.

Cercando di ricostruire gli aspetti che emergono dalla fattispecie illustrata, si rappresenta quanto segue. In primo luogo il fatto che l'appaltatore non abbia comunicato gran parte dei subcontratti e delle subforniture appare contrario alle norme contenute nell'articolo 105 del D.lgs. 50/2016. Infatti, nel caso di subappalti gli stessi devono essere autorizzati dall'ente appaltante, a cui quindi devono essere necessariamente comunicati. Inoltre, il comma 2 prevede che l'affidatario deve comunicare alla stazione appaltante, prima dell'inizio della prestazione, tutti i subcontratti che non siano subappalti, stipulati per l'esecuzione dell'appalto. In secondo luogo se vi è stato inadempimento dell'appaltatore si potrà procedere al pagamento diretto dei subappaltatori ai sensi del comma 13, lettera b). Qualora la rata di Sal finale - che sembra essere l'unica rata ancora da pagare - non sia sufficiente a pagare integralmente tutti i subappaltatori, una soluzione può essere quella di effettuare dei pagamenti parziali in misura proporzionale a quanto dovuto. (R.M.)

52) Con la presente sono a chiedere se sia possibile che un Consorzio Stabile, concorrendo ad una gara d'appalto in proprio, possa indicare nella terna dei subappaltatori una o più imprese consorziate dello stesso Consorzio in possesso della ctg. oggetto di subappalto.

Non vi sono elementi per ritenere preclusa tale possibilità. Se il dubbio potrebbe sussistere in merito alla contemporanea partecipazione alla gara del consorzio in quanto tale e di una o più imprese consorziate, tale dubbio non ha ragione di essere nell'ipotesi in cui le imprese consorziate siano indicate come possibili subappaltatori. Queste ultime infatti non partecipano alla gara ma sono semplicemente destinate ad assumere un ruolo nella fase esecutiva. (R.M.)

53) Un impresa che presta i requisiti in gara mediante avvalimento, può a sua volta essere impresa subappaltatrice. Grazie

partendo dal presupposto che il quesito faccia riferimento al caso di un'impresa ausiliaria che intenda eseguire lavori in subappalto per conto della stessa impresa cui sono stati prestati i requisiti, l'articolo 89, comma 8, del Codice prevede che “l'impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati”. Tuttavia, questa disposizione pone un problema - da tempo irrisolto - con riferimento alla eventuale necessità di applicare i limiti del subappalto anche nell'ambito di tale fattispecie. Gli orientamenti giurisprudenziali e dell'Anac hanno optato per una soluzione che non ammette una deroga alla disciplina dell'articolo 105 del Codice nei confronti del subappalto affidato ad una impresa ausiliaria, il quale deve essere pertanto contenuto entro il trenta per cento dell'importo contrattuale. Resta tuttavia il fatto che le direttive comunitarie ammettono il ricorso all'avvalimento in termini sostanzialmente incondizionati, e quindi, ridurre la possibilità del concorrente di utilizzare l'impresa ausiliaria gravandola delle limitazioni tipiche del subappalto rischia di costituire una forma indiretta di limitazione dell'avvalimento. (L.S.)

ESECUZIONE, VARIANTI E PAGAMENTI

54) Nel nostro Comune, area lavori pubblici, ci sono opinioni discordanti su come interpretare il comma 12 dell'art. 106 D.Lgs 50/2016. 1) Prima tesi: entro il c.d. quinto d'obbligo si può procedere in ogni caso (non si parla né di modifiche né tantomeno di varianti); 2) Seconda tesi: il c.d. quinto d'obbligo è solo un modus giuridico (atto di sottomissione invece che atto aggiuntivo) ma si devono comunque rispettare tutte le altre condizioni di cui all'art. 106.

Le due interpretazioni hanno entrambe delle ragioni a fondamento della soluzione prescelta. Occorre ricordare che il comma 12 dell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016 ripropone una disposizione tradizionale relativa al c.d. quinto d'obbligo, che tuttavia inserita nel complesso delle norme contenute all'articolo 106 pone un problema interpretativo di notevole rilievo. In base al comma richiamato la stazione appaltante può imporre all'appaltatore l'esecuzione, alle medesime condizioni del contratto originario, di prestazioni in aumento o in diminuzione fino alla concorrenza del quinto dell'importo del contratto. Letta isolatamente la disposizione sembrerebbe superare tutti i limiti e le condizioni per il ricorso alle varianti contenute nell'articolo 106. La stazione appaltante cioè potrebbe affidare prestazioni fino a un quinto in più dell'importo del contratto senza dover rispettare alcun limite o vincolo. Se invece si vuole dare un'interpretazione che non consideri questa previsione in maniera isolata, ma la inserisce nel contesto complessivo della disciplina delle varianti, si finisce per ammettere il ricorso al quinto d'obbligo solo in presenza delle altre condizioni previste dalle norme sopra illustrate. Si deve tuttavia rilevare che in questo modo l'istituto dell'aumento del quinto perde la sua valenza autonoma e la previsione che lo disciplina finisce per rimanere senza alcun effetto pratico. Ad avviso di chi scrive va accolta una linea interpretativa di questo tipo: le varianti sono ammesse solo nel rispetto delle condizioni indicate nelle specifiche previsioni dell'articolo 106 e tuttavia l'ente appaltante ha il potere di imporle e l'appaltatore è obbligato ad eseguirle alle medesime condizioni dell'appalto iniziale solo se esse restano nell'ambito del quinto dell'originario importo contrattuale. Oltre tale limite, invece non esiste alcun potere di imposizione in capo all'ente appaltante e l'appaltatore può sciogliersi dal vincolo contrattuale ovvero negoziare lo svolgimento delle prestazioni a condizioni diverse da quelle iniziali. (R.M.)

55) L’art.35 comma 18 del nuovo codice, recita «L'importo della garanzia viene gradualmente ed automaticamente ridotto nel corso dei lavori, in rapporto al progressivo recupero dell'anticipazione da parte delle stazioni appaltanti». Poiché si parla solo di garanzia e non viene fatto espresso riferimento a come debba operare un ente pubblico per il recupero, è corretto interpretare l'articolo nel senso che l'anticipazione debba essere trattenuta in percentuale su ogni Sal (e non sul primo)?

È corretto. L'interpretazione è confortata anche dal DM 31/2018 con il quale sono stati approvati i relativi schemi di polizza. Difatti, all'art. 2 dello schema relativo alla garanzia fideiussoria per l'anticipazione è precisato, quanto alla durata, che essa “cessa alla data del recupero totale dell'anticipazione secondo il cronoprogramma dei lavori e, comunque, alla data di ultimazione degli stessi, risultante dal relativo certificato, allorché si estingue ad ogni effetto”. (P.C.)

56) Esistono ancora le varianti/non varianti del direttore dei lavori (ex art. 132, c. 3, prima parte, Dlgs 163/2006)? Se sì , esistono dei limiti di valore oltre i quali dette varianti non sono ammesse?

Le così dette varianti non varianti erano quelle disposte dal Direttore lavori per risolvere aspetti di dettaglio nell'ambito di importi limitati (10% per i lavori di bonifica e messa in sicurezza e per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro e 15% per tutte le altre categorie di lavorazioni). In questi termini esse non sono più previste dal D.lgs. 50/2016. Lo stesso consente tuttavia di introdurre varianti entro il 10% del valore iniziale del contratto per i servizi e le forniture ed entro il 15% nel caso di lavori, sempre che il relativo valore sia inferiore alle soglie comunitarie.

57) Come si concilia il limite del quinto d'obbligo del comma 12, art. 106 con le modifiche sotto soglia ammesse entro limiti più bassi (10% o 15%) di cui al comma 2, art. 106?

Il quesito mette in evidenza una contraddizione che appare insanabile nell'ambito delle previsioni contenute all'articolo 106. Infatti mentre il comma 2 consente le varianti purché di importo inferiore alle soglie comunitarie e comunque nei limiti del 10% del valore iniziale del contratto per i servizi e le forniture e del 15% per i lavori, il comma 12 ammette l'aumento nel limite del quinto dell'importo del contratto. Nella disciplina complessiva non vi sono elementi idonei a superare questa contraddizione. L'unica diversità potrebbe essere rappresentata dal fatto che ricorrendo all'aumento del quinto le condizioni contrattuali devono rimanere immutate e l'appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto. Al contrario, nella fattispecie dell'articolo 2, non essendovi alcuna indicazione prescrittiva, sarebbe possibile anche modificare le condizioni iniziali del contratto. (R.M.)

58) Può un direttore o un collaudatore non applicare la penale per la ultimazione ritardata di un opera pubblica. precisamente un collaudatore si accorge che non è stata applicata la penale per la ritardata ultimazione dei lavori. È obbligato ad applicarla?

Il collaudo ha lo scopo di verificare e certificare che le opere siano state eseguite a regola d'arte e nel pieno rispetto delle prescrizioni contrattuali. Tra le prescrizioni contrattuali vi è anche quella che prevede l'erogazione di penali in caso di mancato completamento dell'opera nei termini pattuiti. Di conseguenza, qualora in sede di collaudo il collaudatore accerti la mancata irrogazione di penali che dovevano essere applicate, ne deve dare comunicazione al responsabile del procedimento che è il soggetto legittimato a comminare le stesse. In particolare, si deve ritenere che tale segnalazione vada effettuata nell'ambito della relazione riservata che il collaudatore deve produrre e nella quale deve pronunciarsi sulle domande dell'impresa e sulle penali. (R.M.)

59) Il presente per chiedere se sia corretto che un Stazione Appaltante, per una gara bandita il 05/03/2018, utilizzi come riferimento per i prezzi posti a base di gara prezziari relativi al periodo 2009/2011 però scontati di oltre il 50%. Chiedendo delucidazioni alla S.A. la stessa risponde: «in base alle risultanze istruttorie di questa S.A., emerge che i quantitativi progettuali concludono ad economie di scala, tali da rendere congruo l'ammontare complessivo posto a base di gara». È legittimo secondo il Vs. parere l'operato di codesta S.A. ? Potrebbero esserci le condizioni per impugnare il bando ? Grazie come sempre per la collaborazione fornita alle imprese.

La gara è stata bandita nel vigore del D.lgs. 50/2016. Viene quindi in considerazione la previsione contenuta all'articolo 23, comma 16, secondo cui le amministrazioni devono fare riferimento ai prezziari regionali aggiornati annualmente. Si discute se tali prezziari abbiano carattere vincolante per gli enti appaltanti. Nel precedente regime normativo - che conteneva una norma analoga - l'opinione prevalente è che i prezziari costituissero un riferimento per gli enti appaltanti, che tuttavia potevano discostarsi dagli stessi specie nell'ipotesi in cui il loro contenuto non risultasse aggiornato e quindi congruo rispetto alla realtà del mercato. In particolare la giurisprudenza ha ritenuto che i prezzi di riferimento utili a determinare l'importo a base di gara debbano sempre essere aggiornati per consentire il dispiegarsi di un corretto confronto concorrenziale. Sulla base di queste considerazioni è quanto meno dubbio che per una gara bandita nel 2018 si prendano a riferimento i prezziari relativi al periodo 2009/2011, cioè a un periodo molto lontano nel tempo, a meno che non vi siano delle specifiche ragioni - che l'ente appaltante deve adeguatamente motivare con considerazioni senza dubbio più approfondite rispetto a quelle indicate - a supporto di tale scelta. (R.M.)

60) L'impresa può chiedere alla direzione lavori un concordamento di una nuova data per la ripresa lavori dopo una sospensione legittima?

L'articolo 158, comma 6, del d.P.R. n. 207/2010 prevede che, non appena cessate le cause della sospensione, il direttore dei lavori redige il verbale di ripresa dei lavori, che deve essere firmato dall'esecutore, e deve contenere l'indicazione del nuovo termine contrattuale. Quindi, se ciò ancora non è avvenuto, l'impresa può eventualmente far presente alla direzione lavori la propria necessità di differire la data di ripresa, fermo restando che la norma non si esprime in questi termini. In caso contrario, cioè qualora il verbale sia stato già sottoscritto, non vi è alcuna disposizione che consente il concordamento di una nuova data, se non l'articolo 159, commi 8, 9 e 10, del d.P.R. n. 207/2010, che tuttavia fa riferimento alla diversa ipotesi della proroga necessaria per l'ultimazione dei lavori per cause non imputabili all'esecutore. (L.S.)

61) L'art. 6-bis della legge 6 giugno 2103 (Sospensione dei lavori per mancato pagamento del corrispettivo) dice : All'articolo 253 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 23 e' inserito il seguente: « 23-bis. In relazione all'articolo 133, comma 1, fino al 31 dicembre 2015, la facoltà dell'esecutore, ivi prevista, di agire ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile può essere esercitata quando l'ammontare delle rate di acconto, per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il 15 per cento dell'importo netto contrattuale.» La domanda è : A seguito dell'abolizione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 questa norma è ancora vigente ? Un impresa può sospendere i lavori autonomamente per il mancato pagamento di un Sal?

L'articolo 133, comma 1 del D.lgs. 163/2006 prevedeva che l'appaltatore potesse agire ai sensi dell'articolo 1460 (c.d. eccezione di inadempimento) nel caso in cui l'ammontare delle rate di acconto per le quali non fosse stato emesso il certificato di pagamento avesse raggiunto il quarto dell'importo netto contrattuale. L'articolo 6 - bis della legge 6 giugno 2013 aveva ridotto tale importo al 15% dell'importo netto contrattuale. Queste previsioni sono venute meno con l'entrata in vigore del D.lgs. 50/2016. Quest'ultimo contiene unicamente l'articolo 113 - bis - introdotto dal D.lgs. 56/2017 - secondo cui il termine per l'emissione dei certificati di pagamento relativi agli acconti del corrispettivo di appalto non può superare i quarantacinque giorni decorrenti dall'adozione del relativo Sal. Non essendoci più alcuna norma che fissi un limite minimo per l'attivazione dell'eccezione di inadempimento ex articolo 1460 cc, si deve ritenere che alla stesa si possa astrattamente ricorrere anche nel caso di mancata emissione di un solo certificato di pagamento nei termini previsti dal legislatore. (R.M.)

62)Se non sbaglio, con le norme attualmente in vigore sui lavori pubblici, un'impresa può sospendere i lavori ed agire nei confronti dell'amministrazione pubblica sollevando l'eccezione d'inadempimento ai sensi all'art. 1460 del C.C. quando l'ammontare delle rate insolute raggiunge la soglia del 25% dell'importo contrattuale. Con il mio quesito chiedo: - se la soglia per agire ai sensi dell'art. 1460 del C.C. è il 25%; - se l'anticipazione concorre al raggiungimento di tale soglia. Nel caso specifico vanto un credito, fatturato e scaduto, dall'amministrazione pubblica di € 145.346,00 di cui € 84.000,00 per anticipazione e € 61.356,00 riferite al 1° Sal, su un contratto d'appalto di € 420.000,00.

L'articolo 133 , comma 1 del D.lgs. 163/2006 prevedeva che l'appaltatore poteva sollevare l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 del codice civile qualora l'ammontare delle rate di acconto per le quali non fosse stato emesso il certificato di pagamento o il titolo di spesa avesse raggiunto il limite del quarto dell'importo contrattuale. Questa previsione non è più in vigore, essendo stato il D.lgs. 163 abrogato dal D.lgs. 50 che al suo interno non ha riprodotto alcuna previsione analoga. In mancanza di una esplicita norma speciale, si deve ritenere che valga la disciplina generale contenuta nell'articolo 1460 del codice civile, in base alla quale ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione se l'altro non adempie. (R.M.)

63) Un’azienda sta eseguendo un contratto di appalto di lavori per una multiutility del servizio gas e acqua. I lavori sono iniziati regolarmente, e' stata richiesta ed accettata l'anticipazione contrattuale del 20% e non è stata mai pagata. Anche il primo Sal emesso regolarmente non è stato pagato. L'azienda oggi ha eseguito il 50% del contratto, e il committente non ha ancora pagato nei termini sia l'anticipazione che il Sal 1. Come deve comportarsi l'appaltatore per il mancato pagamento? Può interrompere i lavori?

Nella fase di esecuzione il contratto di appalto è sottoposto alla disciplina del codice civile. Ne consegue che nel caso di mancato pagamento da parte dell'ente committente di una parte significativa dell'importo contrattuale l'appaltatore può invocare la previsione di cui all'articolo 1460 del codice civile, secondo cui nei contratti a prestazioni corrispettive, a fronte dell'inadempimento di una parte, l'altra parte può legittimamente rifiutarsi di adempiere la propria prestazione. Ne consegue che del tutto legittimamente l'appaltatore , di fronte al mancato pagamento delle sue spettanze, può interrompere l'esecuzione dei lavori. (R.M.)

64) In riferimento alla sospensione dei lavori, si chiede parere in merito al dettato dell'art. 107 4 comma, ultimo periodo, del D.Lgs 50/2016 che recita: “Quando la sospensione supera il quarto del tempo contrattuale complessivo il responsabile del procedimento dà avviso all'Anac. In caso di mancata o tardiva comunicazione l'Anac irroga una sanzione amministrativa alla stazione appaltante di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo. Nello specifico si vuole conoscere se tale disposizione si applica a ciascuna sospensione lavori che si verifica durante la lavorazione, oppure se il dato si ottiene sommando tutti i vari tempi delle sospensioni parziali intervenute durante l'esecuzione dell'appalto.

La norma impone un onere di comunicazione all'Anac che ha evidentemente la finalità di fornire all'Autorità un bagaglio informativo per l'ipotesi in cui la durata dell'appalto subisca significativi scostamenti rispetto al termine di esecuzione fissato originariamente. Alla luce di tale ratio si deve ritenere che la comunicazione all'Anac vada fatta ogniqualvolta la somma delle sospensioni superi il quarto del tempo contrattuale. (R.M.)

65) L'Ente ha appaltato la costruzione di un parcheggio interrato e sistemazione a piazza superiore per circa € 2.400.000,00 da finanziarsi in quota parte dalla regione e dal Comune con mutuo a carico del bilancio. Non potendo cofinanziare la quota parte a carico del comune pari a circa €1.100.000,00 ha previsto di ridurre l'opera alla sola sistemazione della piazza, il cui importo è pari a circa 650.000 euro , da finanziarsi con mutuo Cassa Dd e PP. È possibile procedere alla revisione del contratto, ovvero si applica l'art. 106 comma 4 del Codice Contratti?

La disciplina dell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016 non è di immediata interpretazione, regolando in un unico contesto sia le tradizionali varianti in corso d'opera sia, più genericamente, le modifiche contrattuali. Ai fini del presente quesito due sono le disposizioni che vengono in rilevo. La prima è contenuta al comma 1, lettera e), che ammette le modifiche al contratto che non siano sostanziali. La seconda è contenuta al comma 4, e offre un'elencazione esemplificativa delle modifiche sostanziali. In particolare, sono considerate tali: a) quelle che introducono condizioni che, se fossero state previste in sede di procedura di affidamento avrebbero consentito l'ammissione di candidati diversi da quelli selezionati; b) quelle che alterano l'equilibrio economico del contratto a favore dell'aggiudicatario. In ogni caso, la modifica è consentita se non altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. Quest'ultima previsione, anch'essa contenuta nel comma 4, si ricollega al principio consolidato secondo cui le modifiche contrattuali non devono stravolgere l'oggetto del contratto medesimo. In ragione di tutto quanto detto si deve ritenere che una modifica che riduca di quasi il 50% l'importo contrattuale non possa considerarsi non sostanziale e non sia quindi consentita, anche in relazione all'incidenza profonda sull'oggetto del contratto. (R.M.)

66) In una procedura negoziata indetta il 29.01.2018 nella lettera d'invito non è stata indicata la corresponsione dell'anticipazione del 20%. Anche il capitolato non indica nulla sull'anticipazione. Pertanto, si chiede se l'impresa vincitrice può richiedere l'anticipazione del 20% ai sensi dell'art. 35 c. 18 del dlgs 50/2016.

La risposta è affermativa. Il contratto in questione è infatti sottoposto alla disciplina del D.lgs. 50/2016. Trova quindi applicazione la previsione contenuta all'articolo 35, comma 18 secondo cui sul valore del contratto di appalto viene calcolato l'importo dell'anticipazione del prezzo pari al 20% da corrispondere all'appaltatore entro quindici giorni dall'effettivo inizio dei lavori. La previsione normativa prefigura l'anticipazione come un vero e proprio diritto dell'appaltatore, senza che residui all'ente appaltante alcun margine di discrezionalità in ordine alla decisione se concederla o meno. (R.M.)

67) È possibile concedere l'anticipazione all'impresa, quando il Capitolato Speciale d'Appalto approvato unitamente al progetto in data dicembre 2016 pone il divieto di anticipazione? la gara d'appalto si è svolta in vigenza del D.Lgs 50/2016, non era ancora in vigore il Decreto correttivo 2017. Il contratto d'appalto, che fa riferimento al capitolato speciale d'appalto che vieta l'anticipazione, è stato però sottoscritto in data ottobre 2017. Spetta comunque all'impresa la liquidazione?

L'articolo 35, comma 18 del D.lgs. 50/2016 stabilisce che sul valore del contratto di appalto viene calcolato l'importo dell'anticipazione del prezzo nella misura del 20%, che deve essere corrisposta all'appaltatore entro quindici giorni dall'effettivo inizio dei lavori e previa costituzione di fideiussione bancaria o assicurativa. Nell'impostazione adottata dal D.lgs. 50 l'anticipazione si configura quindi come un diritto dell'appaltatore. Ne consegue che una previsione del Capitolato speciale di appalto che, nella vigenza del D.lgs. 50, prevedesse il divieto dell'anticipazione deve considerarsi illegittimo. Ne deriva che nel caso prospettato, se la gara si è svolta nella vigenza del D.lgs. 50, l'ente appaltante dovrà procedere all'erogazione dell'anticipazione. (R.M.)

68) Su una gara d’appalto, pubblicata in data 18 luglio 2016, per varie avversità ancora in corso di esecuzione, l'Ente Appaltante, solo oggi, richiede un contributo a favore della SUA dell' 1,50%, calcolato sull'importo d'appalto. Tengo a precisare che tale richiesta non è avallata da nessuno articolo né clausole contrattuale, (contratto sottoscritto tra le parti in data 15/06/2017), né tanto meno trovano riscontro in alcuna norma legislativa a carattere nazionale, che imponga a carico dell'aggiudicatario della gara il pagamento di un contributo a favore della Stazione Unica Appaltante (Sua). Tale ipotesi contributiva verso la Sua veniva indicata solo nel bando di gara, però in sede di espletamento della medesima, non è stata presentata, ne tanto meno richiesta dal disciplinare alcuna dichiarazione con la quale l'impresa si impegnava a versare tale contributo. Inoltre, ribadisco, che il contratto sottoscritto tra le parti, non obbliga l'impresa aggiudicataria al pagamento di tale contributo. Pertanto, a nostro avviso, la richiesta di tale contributo da parte dall’ente appaltante è illegittima. E possibile avere un chiarimento in merito?

La questione se siano legittime quelle clausole dei bandi di gara che impongano all'aggiudicatario il versamento di un contributo economico per il funzionamento delle SUA o delle centrali di committenza è oggetto di opposte interpretazioni. La questione è stata affrontata anche dall'Anac nell'atto di segnalazione al Governo e al parlamento n. 3 del 25 febbraio 2015. In tale circostanza l'Anac ha esposto le ragioni per le quali, a suo avviso, clausole del tipo di quelle indicate devono considerarsi illegittime, sollecitando un intervento chiarificatore del legislatore in questo senso. Tra le ragioni indicate dall'Anac assume particolare rilievo il richiamo all'articolo 23 della Costituzione secondo cui nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. A ciò va aggiunto che essendo l'effetto collegato al mancato pagamento del contributo la revoca dell'aggiudicazione si verrebbe a introdurre in via surrettizia una causa di esclusione dalla gara, in violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione. Alle considerazioni svolte dall'Anac va aggiunto che laddove il legislatore ha inteso porre a carico dei partecipanti alle gare determinati contributi economici a favore di organismi pubblici o degli enti appaltanti lo ha affermato esplicitamente, come nel caso del contributo Anac o delle spese di pubblicazione degli atti di gara posti a carico dell'aggiudicatario. L'insieme delle argomentazioni sopra indicate porta quindi a ritenere che le clausole che impongono dei contributi economici a carico dell'aggiudicatario per il funzionamento delle SUA siano da considerare illegittime in quanto prive di copertura normativa. (R.M.)

69) Cosa accade se l'appaltatore non ottempera ad un ordine di servizio emanato dalla direzione lavori e specificamente nel caso in cui l'appaltatore non ottemperi all'art. 2 del capitolato generale, che obbliga l'appaltatore ad avere domicilio nel luogo nel quale ha sede l'ufficio di direzione dei lavori? E più in generale ottemperare a un ordine di servizio è obbligatorio?

L'ordine di servizio è lo strumento attraverso il quale il Direttore lavori impartisce direttive e istruzioni attinenti ai profili tecnici ed esecutivi inerenti la gestione dell'appalto. L'appaltatore è tenuto a dare seguito e uniformarsi agli ordini di servizio, potando tuttalpiù iscrivere riserve. La mancata osservanza dell'ordine di servizio da parte dell'appaltatore integra un inadempimento da parte dello stesso, che potrà avere effetti diversi a seconda della gravità dell'inadempimento stesso. (R.M.)

70) Una società, aggiudicataria di un contratto di appalto pluriennale perfezionato sotto la vigenza del D.Lgs 163/2006, chiede il subentro con altro operatore economico. Pur non essendoci grosse differenze chiedo se è necessario far riferimento all'art. 116 vecchio codice o all'art. 106, comma 1, lett. d) del D.Lgs. 50/2016.

Essendo stato il contratto stipulato sotto la vigenza del D.lgs. 163/2006 la relativa fase esecutiva è disciplinata dalle norme di tale Decreto. Ciò in base alla disposizione transitoria contenuta all'articolo 216, comma 1 del D.lgs. 50/2016 secondo cui le norme in esso contenute si applicano alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice la procedura sono pubblicati dopo l'entrata in vigore del medesimo D.lgs. 50. (R.M.)

71) Vorrei sapere come mai le concessionarie autostradali per i lavori che appaltano alle imprese adottano prezziari propri in luogo di quelli regionali o di quelli Anas.

L'articolo 23, comma 16 del D.lgs. 50/2016 prevede per i contratti relativi a lavori il costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni sia determinato sulla base dei prezzari regionali aggiornati annualmente. La previsione riguarda indistintamente le stazioni appaltanti per cui si deve ritenere che anche le concessionarie autostradali, in quanto stazioni appaltanti, vi si dovrebbero attenere. (R.M.)

EDILIZIA PRIVATA E URBANISTICA

72)  Ho un permesso a costruire rilasciato nell'anno 2015 con inizio dei lavori comunicata il 18.6.2015. I lavori devono terminare entro il 18.6.2018. Intanto sono sopraggiunte nuove esigenze e nuovi lavori oggetto di una variante al permesso a costruire originario rilasciata il 3.5.2018. Il comune è del parere che il termine di fine lavori è del primo permesso a costruire e cioè il 18.6.2018, mentre io sono del parere che la fine lavori possa computarsi entro tre anni dal nuovo inizio dei lavori della variante. Vorrei sapere qual'è il termine di fine lavori e cioè se quello del primo a permesso a costruire oppure entro tre anno dalla nuova comunicazione di inizio lavori della variante. Grazie

L'art. 15 (comma 2) del dPR 380/01 prevede che i lavori devono avere inizio entro un anno dal rilascio del titolo edilizio e devono essere completati entro i successivi tre anni decorsi i quali il PdC decade per la parte non eseguita a meno che, prima della scadenza, non venga richiesta una proroga. Il costruttore è tenuto al pagamento degli oneri concessori relativi alla quota parte delle opere non portate a termine nei tempi previsti (per cui il Comune ha tutto l'interesse a “restringere” i tempi per “fare cassa” attraverso la proroga). Fatte salve diverse condizioni previste nel regolamento edilizio o nei titoli edilizi rilasciati, si ritiene che i lavori debbano essere portati a compimento entro i tre anni decorrenti dalla data di inizio lavori relativi al PdC “originario” (e non alle successive varianti); diversamente, la data prevista per il fine lavori sarebbe spostata in avanti all'infinito. Occorre tener presente che il DL n. 69/2013, convertito dalla Legge n. 98/2013, (art. 30, commi 3 e 4) ha disposto (a certe condizioni) la proroga di due anni per i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il comma 3-bis (inserito in fase di conversione), dal suo canto, ha introdotto una proroga di tre anni dei termini di validità e dei termini di inizio e fine lavori indicati nelle convenzioni di lottizzazione stipulate fino al 31/12/2012. Tale disposizione è ancor più elastica, in quanto non contiene alcuna precisazione sulla possibilità di applicare l'estensione ai termini convenzionali che siano già scaduti. (D.P.)

73) Ho realizzato nel mio appartamento un ampliamento di superficie (9%) di 14 mq nel 2005 (chiusura veranda: al posto della ringhiera mezzo muretto e sopra finestra con infissi in alluminio) . Come posso sanare l'abuso ? Tutti gli inquilini del palazzo, con delibera condominiale, hanno realizzato la stessa cosa per una uniformità di prospetto del palazzo.

La fattispecie prospettata afferisce ad un intervento che rileva sia sotto il profilo urbanistico edilizio, sia sotto quello civilistico. Escluse problematiche di natura condominiale derivanti dalla modifica della facciata, data la delibera di Assemblea che ha facoltizzato tutti i comproprietari alla chiusura dei balconi preesistenti con opere identiche a quella realizzata, è necessario rilevare che, secondo costante giurisprudenza, la trasformazione di un balcone o di una terrazza, anche di modesta superficie (come nel caso di specie), in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica e piccole opere in muratura, non costituisce realizzazione di una pertinenza, né intervento di manutenzione straordinaria e di restauro, ma è opera soggetta a permesso di costruire. Infatti, tutti gli interventi edilizi che determinano una variazione planovolumetrica e architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzati, come le verande edificate sulla balconata di un appartamento, sono soggetti al preventivo rilascio di permesso di costruire, specie se diretti a realizzare -in senso tecnico- un nuovo locale autonomamente utilizzabile destinato ad esigenze non precarie, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile (cfr. in tali termini T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 22/05/2017, n. 2714; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 20 ottobre 2016 n. 1601, Cassazione penale, sez. III, 08/10/2015, n. 48221). Ad eccezione degli immobili soggetti a vincolo ex d.lgs. 42/2004, l'intervento sarà sanabile presentando istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.p.r. 380/2001, dimostrandone la doppia conformità urbanistica, ossia la conformità dell'opera o dell'intervento abusivo sia sotto il profilo urbanistico-edilizio vigente al momento della presentazione dell'istanza (ad es. nel 2018), sia allo strumento urbanistico comunale che vigeva all'epoca in cui è stato realizzato il manufatto (cioè nel 2005). (F.L.)

74) Con accordo di perequazione il Comune dava la possibilità al privato di abbattere un fabbricato pericolante e recuperare la volumetria su terreno attiguo in contropartita di opere di pubbliche (cessione di terreno privato e allargamento strada pubblica ) Il costo delle opere pubbliche può essere scomputato dagli oneri di urbanizzazione dovuti al comune per la realizzazione dei nuovi edifici eseguiti con la trasposizione della volumetria?

L'istituto della perequazione urbanistica, che trova applicazione negli ambiti territoriali unitariamente sottoposti a preventiva pianificazione attuativa, consegue i propri fini pratici in sede di intervento diretto, assicurando all'amministrazione lo strumento per acquisire, senza oneri e con modalità diverse dall'esproprio, aree da destinare a scopi di pubblico interesse, senza incidere sugli altri istituti generali disciplinanti la realizzazione delle opere pubbliche. L'accordo descritto ha consentito al privato il trasferimento del volume preesistente su lotto attiguo a quello interessato dall'allargamento della strada pubblica (con cessione in favore del Comune della porzione di terreno privato interessata dalle opere). La risposta affermativa alla possibilità di scomputo per il privato degli oneri relativi alla realizzazione diretta della strada dipende dal contenuto dell'accordo (es. cessione contestuale ma con possibilità per il privato di intervenire per realizzare direttamente le opere ex art. 16, comma 2-bis d.p.r. 380/2001, indicazione puntuale di opere pubbliche in capo al privato extra standard non scomputabili, ecc.); in ogni caso la Giurisprudenza ha da tempo chiarito che non possono essere previsti oneri aggiuntivi di perequazione, all'infuori del contributo di costruzione di cui all'art. 16 d.p.r. 380/2001 (da ultimo cfr. Consiglio di Stato, sez. I, 21/03/2013, n. 5300). Nel caso l'accordo di perequazione (o la convenzione urbanistica eventualmente sottesa all'intervento edile privato) non contengano previsioni specifiche, si ritengono applicabili alla fattispecie prospettata gli istituti generali di cui all'articolo 16, commi 2 e 2-bis d.p.r. 380/2001, che prevedono la possibilità della realizzazione diretta -cd. a scomputo dal contributo di concessione- delle opere di urbanizzazione (ma con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune, non potendo l'interveniente realizzare le opere di sua iniziativa ovvero limitarsi ad inviare una richiesta di autorizzazione, essendo invece necessario che l'Amministrazione disciplini espressamente le modalità di esecuzione delle opere, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28/11/2012, n. 6033), con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del Comune di riferimento. (F.L.)

75) Sono in possesso di un monolocale due anni fa ho spostato il bagno in altra posizione. Dovrei vendere il locale ma mi chiedono di regolarizzare all'urbanistica il lavoro. Con spese non indifferenti. Mi dicono che subito in partenza avrei 1000 euro di sanzioneper non avere chiesto l'autorizzazione. So che con le ultime normative i lavori dentro la casa non ce bisogno di chiedere autorizzazioni tranne che si operi su strutture portanti.Chiedo se è possibile avere una risposta per risolvere il mio dubbio.Ringrazio anticipatamente della risposta.

Non è sempre agevole qualificare gli interventi edilizi. A parere di chi scrive, solo le opere relative al semplice rifacimento del bagno, rientrerebbero negli “interventi di manutenzione ordinaria” (art. 3, let.a dPR 380/2001); in questo caso di tratterebbe di “opere libere” (art. 6). Bisognerebbe capire cosa intende il lettore per “spostamento del bagno”. Se ha provveduto alla totale demolizione del bagno preesistente ed alla sua ricostruzione in una posizione diversa, difficilmente potrebbe trattarsi di “edilizia libera” in quanto (come minimo) sarebbe stata modificata la distribuzione interna dell'immobile il che renderebbe necessario procedere all'aggiornamento della planimetria catastale con eventuale attribuzione della nuova rendita. Bisognerebbe valutare, inoltre, se le opere hanno influito sull'agibilità dell'immobile. Per comprendere quale sia il regime da applicare, occorre sapere se le opere hanno comportato anche una variazione nella destinazione d'uso, nelle superfici, nella sagoma e nel volume. (D.P.)

76) Vorrei cambiare la destinazione del mio immobile senza effettuare opere. Posso utilizzare il principio “padrone a casa propria” e fare il cambio senza autorizzazione?

Diciamo subito che il cambio di destinazione d'uso non è un'operazione semplice e gli slogan politici spesso sono inattuabili. Il cambio d'uso può essere disciplinato dalla legge statale e da quella regionale oltre che dai regolamenti comunali. L'art.23-ter, comma 1, del dPR 380/2001, che disciplina il “mutamento d'uso urbanisticamente rilevante” prevede che “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile … diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie”. Quindi il cambio di destinazione, anche senza opere, viene considerato dalla Legge statale come una operazione “urbanisticamente rilevante” e, come tale, non rientra tra le “attività di edilizia libera”. La stessa norma, però, nel dividere gli immobili in categorie (residenziale; turistico-ricettiva; produttiva e direzionale; commerciale; rurale), ammette il cambio d'uso all'interno della stessa categoria. In sostanza, posso trasformare un villino in una villa (in quanto la categoria non cambia) ma non posso trasformare una casa rurale o un ufficio in residenza (in quanto si tratta di categorie diverse). Il comma 2 sottolinea che “La destinazione d'uso … è quella prevalente in termini di superficie utile”; se ho un appartamento di 100 mq di cui 30 mq destinati ad ufficio, l'intero immobile si considera residenziale per cui sarà possibile trasformare la superficie ad ufficio in residenza ma non è possibile l'operazione inversa. Molte leggi regionali (specie il piano casa) hanno disciplinato la materia permettendo il cambio d'uso ma sottoponendo il mutamento a norme specifiche che cambiano da regione a regione. Le norme sul piano casa che permettono il cambio di destinazione, molto spesso risultano particolarmente gravose sotto il piano economico in quanto è necessario effettuare le cessioni ovvero “monetizzarle”. Secondo la giurisprudenza, il cambio d'uso, di norma, è soggetto a permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III pen., 14 febbraio 2017, n. 6873; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 6 dicembre 2017 n. 1261; Corte di Cassazione, Sez. III pen., 20 marzo 2014, n. 13014; TAR Lazio, 26 marzo 2012 n. 2832; TAR Lecce, 15 ottobre 2009 n. 2302). Non manca qualche pronuncia di senso contrario, per esempio, TAR Lazio, 5 maggio 2011 n. 4622 che legittima il cambio di destinazione senza opere a condizione che non implichi un mutamento urbanistico-edilizio del territorio. (D.P.)

77) Vorrei effettuare un intervento di ristrutturazione della mia abitazione con un modesto ampliamento (avvalendomi, eventualmente, del piano casa). Secondo il comune, dovrei pagare gli oneri di concessione ma potrebbero esserci delle agevolazioni non meglio definite. Vorrei sapere dai vostri esperti se, in effetti, sono previste delle agevolazioni sul pagamento degli oneri di concessione e qual è la norma a cui fare riferimento. Grazie

L'art. 16 del dPR 380/2001, nell'introdurre il principio generale della onerosità dei lavori, prevede che gli “oneri concessori” siano di due tipi: oneri di urbanizzazione e costo di costruzione. Il successivo art. 17, comma 3, disciplina i casi di riduzione o esonero dal contributo di costruzione (e non degli oneri di urbanizzazione). In particolare, il contributo (ovvero il costo di costruzione) non è dovuto: a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole...; b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari; c) per le opere pubbliche o di interesse generale nonché per le opere di urbanizzazione; d) per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità; e) per i lavori relativi alle fonti rinnovabili di energia. La lettera b), quindi, prevede per gli interventi di ristrutturazione e ampliamento, una riduzione non superiore al 20%, del costo di costruzione dovuto. Occorre una precisazione: tale riduzione è possibile solo per gli interventi riguardanti le unità unifamiliari. In sostanza, l'agevolazione potrà essere richiesta solo ove le opere interessino una villa e non quando riguardino un appartamento in condominio. Ulteriori “sconti” potrebbero essere previsti da norme locali. Alcune norme regionali sul “Piano Casa”, infatti, prevedono la riduzione degli oneri concessori proprio per favorire il settore dell'edilizia. Il c.d. Decreto Sblocca Italia, inoltre, ha introdotto, nell'art.17 del dPR 380/01, il comma 4-bis che prevede anch'esso una riduzione del costo di costruzione in misura non inferiore al 20% ma, in questo caso, i comuni avrebbero dovuto definire i criteri e le modalità applicative per l'applicazione della relativa riduzione. Sono esentati dal pagamento degli oneri concessori i “parcheggi obbligatori” previsti dalla legge Tognoli (L. 122/1989). (D.P.)

78) Una società immobiliare è proprietaria di un area con tre fabbricati intende demolirli per costruire un nuovo unico edificio con la stessa volumetria (pari alla somma dei tre esistenti) ma con superficie utile, piani, unità immobiliari e sagoma diverse. Gli acquirenti delle singole unità immobiliari potranno godere della detrazione fiscale per ristrutturazione calcolando il 25% del costo d'acquisto?

L'art. 16-bis, comma 3, dPR 917/86 prevede la detrazione Irpef, per l'acquisto di immobili a uso abitativo ristrutturati. La detrazione spetta per gli interventi di cui di cui alle let. c) (restauro e risanamento conservativo) e let. d) (ristrutturazione edilizia) del comma 1 dell'art. 3 dPR 380/01 Il secondo punto della let. d) comprende negli interventi di ristrutturazione edilizia “quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”. Di conseguenza si ritiene che, nel caso in esame, non sia possibile avvalersi della detrazione in quanto, venendo modificata la sagoma dell'edificio, si tratterebbe di una nuova costruzione (Consiglio di Stato, 12 ottobre 2017, n. 4728; TAR Lazio, Roma, I quater, 19 marzo 2015 n. 4351). (D.P.)

79) Nel Comune di Roma ho chiuso un balcone con una finestra removibile: mi hanno fatto un esposto e devono venire i vigili a fare il sopralluogo, ma se io rimuovo la finestra prima del loro arrivo che succede? Decade l'abuso e quindi di conseguenza la denuncia perché il fatto non sussiste? O devo aspettare i vigili per il sopralluogo? La finestra e posta sul davanzale del balcone sul bordo interno ,ho letto che forse non è un abuso perché rimovibile e fatto per il freddo essendo esposto a nord gradirei una risposta. Grazie

A quanto sembra, il lettore dovrebbe aver realizzato una veranda; non sappiamo con quali autorizzazioni e, soprattutto, quando. L'epoca di realizzazione delle opere riveste, ovviamente, fondamentale importanza. In linea di principio, se l'opera è stata realizzata di recente, in assenza delle necessarie autorizzazioni, potrebbe essere considerata “abusiva” per cui andrebbe smontata immediatamente. La classica veranda, infatti, potrebbe compromettere l'aspetto architettonico o il decoro del corpo di fabbrica e, quel che è peggio, potrebbe essere considerata come un vero e proprio abuso edilizio comportando un aumento della cubatura e della superficie utile nonché una variazione della sagoma dell'edificio. Nei casi più gravi, potrebbe anche incidere negativamente sulla statica del fabbricato. Non è detto, però, che la trasformazione del balcone in veranda sia necessariamente un'opera abusiva; a certe condizioni, potrebbe essere considerata come una “serra solare” e, come tale, potrebbe trasformarsi in un'opera del tutto legittima. Il che non esclude l'intervento del tecnico di fiducia che dovrà “mettere le carte a posto”. Per quanto riguarda il profilo prettamente urbanistico-edilizio, la serra solare rappresenta uno strumento per incrementare il risparmio energetico ed insonorizzare gli ambienti. In sostanza, si tratta di chiudere il balcone con delle strutture che permettano ai raggi solari di penetrare all'interno aumentando la temperatura dell'immobile. Da non tralasciare anche un altro profilo: la “veranda” costituisce una barriera contro i rumori provenienti dall'esterno. La serra solare, quindi, non produce solo benefici sul piano del risparmio energetico, ma anche sul piano dell'abbattimento delle emissioni sonore e potrebbe costituire, per questa via, una soluzione percorribile anche per combattere l'inquinamento acustico. Sotto il profilo urbanistico, la serra solare costituisce un “volume tecnico” con destinazione non abitativa; ciò comporta l'ininfluenza ai fini del calcolo delle cubature assentite. Trasformare il balcone in una cucina permette di ridurre ulteriormente il consumo energetico dell'appartamento in quanto gli strumenti di cucina (fornelli, forni ecc.) generano del calore ulteriore che si trasferisce agli ambienti abitati. In sostanza la quantità di calore generata dalla serra viene determinata sommando il calore generato dall'energia solare a quello sviluppato dalla combustione dei fornelli. La serra solare richiede che l'ambiente possa usufruire dell'irraggiamento solare al fine di accumulare il calore necessario a riscaldare la casa. Ma non è detto che la serra non possa essere realizzata anche nelle pareti esposte a settentrione. In questo caso, cambiando prospettiva e funzione, si parlerà di “freschiera”. Il manufatto, in questo caso, non servirà a riscaldare l'appartamento, bensì a migliorare il raffrescamento. Alcune Regioni incentivano la realizzazione delle serre solari concedendo dei “bonus urbanistici”. L'articolo 12 della Legge Regione Lazio 27 maggio 2008, n. 6 “Disposizioni regionali in materia di architettura sostenibile e di bioedilizia”, per esempio, favorisce la realizzazione di edifici a basso consumo energetico. Di conseguenza, nel calcolo delle cubature assentite non vengono conteggiate le superficie delle serre solari - purché con vincolo di destinazione - di dimensioni non superiori al 15 per cento della superficie utile dell'unità abitativa realizzata. Successivamente l'asticella è stata portata a quota 30 per cento dall'articolo 5, comma 37, della Legge Regione Lazio 13 agosto 2011, n. 10. (D.P.)

80) Vorrei sapere dai vostri esperti per quanto tempo un immobile può continuare ad essere accatastato in categoria F/3 .

Rispondere al quesito può essere più complesso di quanto possa apparire a prima vista in quanto il problema può essere affrontato sotto due punti di vista: ai fini fiscali ovvero sotto l'aspetto edilizio. In genere il problema viene affrontato solo sotto il profilo fiscale in quanto le c.d. categorie catastali fittizie, essendo prive di rendita, sfuggono al pagamento delle imposte (Risoluzione Agenzia Entrate 02/07/13 n. 8). Il problema nasce quando i costruttori iscrivono gli immobili in corso di costruzione in categorie fittizia “dimenticando” che la categorie F3 (fabbricati incorso di costruzione) e F4 (fabbricati in corso di definizione) sono necessariamente provvisorie in cui gli immobili possono essere “parcheggiati” per 6-12 mesi essendo necessaria una successiva variazione catastale in occasione del fine lavori. Il proprietario potrebbe ottenere un proroga previa presentazione di apposita dichiarazione circa la mancata ultimazione dei lavori (Circolare Agenzia Territorio n.4/T del 2009 e circolare Agenzia Entrate n. 27/E del 2016). In assenza della proroga e della richiesta di variazione, gli immobili rimangono (irregolarmente) nella F3 a vita sfuggendo alle imposte. Il Comune potrebbe chiedere al Fisco di effettuare le necessarie verifiche (Circolare Agenzia Entrate n.27/2016) ma, di fatto, difficilmente si muove. Sotto il profilo edilizio la situazione si complica in quanto (salvo proroghe motivate) i lavori devono essere terminate entro 3 anni dalla data di inizio lavori (art. 15 dPR 380/01) il che vieta che l'immobile rimanga “in corso di costruzione” dopo tale termine. In sostanza, quindi, salvo proroghe motivate, sotto il profilo fiscale l'immobile potrebbe rimanere nella F3 per 12 mesi, mentre, dal punto di vista edilizio, il fine lavori dovrebbe essere rilasciato entro la data prevista dal titolo edificatorio e, quindi, entro 3 anni dall'inizio dei lavori. (D.P.)

81) Il comune subordina il rilascio di un PdC relativo alla realizzazione di una bivilla ad una serie di adempimenti tra i quali il pagamento degli oneri concessori. Vorrei sapere se il comune e' obbligato a concedere la rateizzazione e a quali condizioni. Il comune può subordinare la rateizzazione al rilascio di una fideiussione bancaria o solo di alcune assicurazioni? Cosa succede se non è possibile ottenerla?

Gli oneri legati al rilascio della concessione edilizia erano originariamente disciplinati dall'art. 3 della legge Bucalossi (Legge 28/01/1977, n. 10) che, nel disciplinare gli oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) e i costi di costruzione, prevedeva la possibilità di procedere alla loro rateizzazione. L'art. 16 del dPR 380/2001 ha fatto propri gli stessi principi. In particolare, il comma 2 prevede la rateizzazione su richiesta dell'interessato. Il T.U. dell'edilizia non disciplina le procedure; si ritiene che, come per il passato, le modalità di rateizzazione da seguire vengano fissate da apposito regolamento comunale. Chi intende avvalersi della facoltà di rateizzare, dovrà avanzare apposita istanza, procedendo, di norma, al pagamento di una prima rata e garantendo il saldo mediante polizza fidejussoria bancaria o assicurativa. In passato, molti comuni avevano un elenco di “compagnie assicurative gradite”; attualmente è necessario che la compagnia sia iscritta nell'apposito albo. Ai nostri giorni non è facile ottenere le fidejussioni bancarie o assicurative; molti si rivolgono a compagnie straniere di dubbia fama da qui la necessità, per i comuni, di accrescere i controlli sulla affidabilità della compagnia. Ove non sia possibile presentare la polizza fidejussoria, ovviamente, non sarà possibile aderire alla rateizzazione in quanto occorre garantire l'amministrazione. (D.P.)

82) Si chiede se per la realizzazione di una tettoia di piccole dimensioni (mq 15,00)occorre permesso di costruire e se è necessario rispettare la distanza di mt 10 da fabbricati esistenti e dai confini.

Tettoie, pergolati, pensiline e gazebi, pur essendo apparentemente simili, in realtà sono sottoposti ad una disciplina diversa dando luogo a orientamenti giurisprudenziali non sempre coerenti a cui si aggiungeva, fino a poco tempo fa, il caos dei diversi regolamenti edilizi comunali non sempre omogenei. Le definizioni standardizzate introdotte dalla Riforma Madia e il Regolamento Edilizio Tipo (R.E.T.) hanno cercato di mettere ordine definendo la tettoia (definizione n. 41) come “Elemento edilizio di copertura di uno spazio aperto sostenuto da una struttura discontinua, adibita ad usi accessori oppure alla fruizione protetta di spazi pertinenziali.” Nella pratica si possono distinguere tettoie di diverso tipo, ciascuna assoggettata ad un proprio regime. a) Tettoie realizzate per soddisfare esigenze meramente temporanee per un periodo non superiore a 90 giorni rientrerebbero nell'edilizia libera (art.6, comma 1, let. e-bis); b) tettoia di modeste dimensioni addossata al muro e senza sostegni verticali posta a riparo della porta o della finestra sottostanti. Si tratta propriamente di pensiline rientranti nell'edilizia libera. b2) struttura stabile ed autonoma ma funzionale e strumentale a un edificio principale, di cui costituisce pertinenza (es. tettoia a copertura della legna o dell'auto) è soggetta al regime della Cila b3) negli altri casi si tratterebbe di “nuova costruzione” (art. 3, comma 1, lett. e) soggetta a permesso di costruire e alle relative norme in materia di distanze tra costruzioni. (D.P.)

83) Vorrei sapere qual è la distanza minima da rispettare per una nuova costruzione da una strada statale. Bisogna fare riferimento al codice della strada oppure esistono dei riferimenti dell'Anas?

Si conferma che la fonte normativa vigente in materia di fasce di rispetto stradali è il decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e relativo regolamento di attuazione (decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992 n. 495), mentre in caso di costruzione realizzata a distanza illegale, all'ANAS è attribuita la competenza dell'emanazione dell'ordine di sospensione dei lavori (ovviamente per le strade statali, esclusi i tratti interni agli abitati classificati comunali). Tali fasce di rispetto variano a seconda della classificazione, data dalle caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali della strada, ai sensi dell'articolo 2 del d.lgs. 285/92 cit. (con riferimento al caso di specie: tipo B - Strade extraurbane principali; tipo C - Strade extraurbane secondarie; tipo D - Strade urbane di scorrimento) e dell'ubicazione della costruzione (cioè se all'interno o all'esterno del centro abitato). L'articolo 26 del regolamento di attuazione di cui al d.p.r. 495/1992, fissa le fasce di rispetto fuori dai centri abitati rispettivamente in 40 metri per le strade di tipo B e 30 metri per quelle di tipo C. Nel caso in cui l'area interessata dalla costruzione risulti comunque all'interno dei una zona urbanistica edificabile dallo strumento urbanistico generale comunale, a intervento diretto ovvero per cui risulti già esecutivo lo strumenti urbanistico attuativo, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti la strada, non possono essere inferiori a: 20 metri per le strade di tipo B e 10 metri per quelle di tipo C. L'articolo 28 del regolamento cit. individua, infine, le distante per l'edificazione nei centri abitati, stabilendo (sempre per quanto di interesse al quesito sotteso), la fascia di 20 metri per le strade di tipo D. (F.L.)

84) In discendenza di un Permesso di Costruire, emanato nell'anno 2006, è stato concretato un organismo edilizio residenziale del tipo aggregato che non fu portato a compimento a causa di vicissitudini economiche da parte dell'impresa, proprietaria e costruttrice, che ha condotto la medesima allo stato fallimentare ; successivamente le unità abitative, regolarmente dichiarate presso il Catasto Fabbricati, sono state aggiudicate con procedura di invito ed a seguito di pubblicazione del bando di gara con acquisto finale mediante atto notarile pubblico; per completare le opere mancanti (impianti tecnologici, pavimenti, rivestimenti, coibentazione esterna -cappottatura- con attuazione di tenui modificazioni interne consistenti nell'abbattimento di un tavolato a generare un unico ambiente zona-giorno -cucina/soggiorno-) è stato depositato in comune un congruente procedimento amministrativo edilizio (Scia); si richiede se nella fattispecie summenzionata è praticabile il beneficio delle detrazioni del 50% (art. 1, commi 5-6, della legge 27.132.1997 n. 449 e succ. m. a. ed . sino alla L. 27.12.2017 n. 205 - comma 3 e 12-15).

La situazione dovrebbe essere questa: con un PdC del 2006, viene dato l'avvio alla realizzazione di un fabbricato. L'immobile accatastato, ma non ultimato, viene trasferito agli acquirenti. Successivamente viene presentata una SCIA per il completamento. Non sappiamo se la SCIA è stata presentata dal singolo proprietario o dal condomìnio. Si tratta di stabilire se i lavori di completamento possono godere degli incentivi fiscali previsti per le ristrutturazioni. Occorre tener presente che il bonus ristrutturazione è un'agevolazione fiscale, disciplinata dall'art. 16-bis del dPR 917/86 Tuir, per gli interventi di ristrutturazione edilizia. Nel caso in esame, non siamo in presenza di una “ristrutturazione” bensì di opere di completamento di un fabbricato “al rustico” per cui, riterrei che l'accesso ai bonus sia precluso mancando il “fine lavori”. (D.P.)

85) Come posso sanare un abuso su pertinenza di abitazione (garage isolato), essendo questo autorizzato in fase di permesso a costruire per 10 mq e ampliato dal precedente proprietario a 20mq? Premetto che nell'atto di vendita la pertinenza è risultata essere pari ai metri quadri come da titolo edilizio e per cui risultanti al catasto.

In sostanza,esiste una discrasia tra quanto assentito e quanto realizzato relativamente ad un immobile pertinenziale di modeste dimensioni. Per fornire un parere preciso sarebbe necessario avere una serie di elementi: data di presentazione del progetto; cubatura totale realizzata; cubatura della pertinenza; eventuali vincoli di zona. Non è dato sapere, inoltre, se sono stati emessi provvedimenti a carico del proprietario. In mancanza di dati precisi, possiamo avanzare una serie di ipotesi. Probabilmente non si tratta di una variazione essenziale in quanto abbiamo un incremento minimo della cubatura (art. 32, comma 1, let.b T.U.) e, soprattutto, si tratta di cubature accessorie (art. 32, comma 2). Non dovrebbe trattarsi neanche di una “nuova opera” che potrebbe essere realizzata solo previo ottenimento del titolo edilizio in quanto la differenza tra quanto assentito e quanto realizzato non dovrebbe essere superiore al 20% del volume dell'edificio principale (art. 3, comma 1, let. e.6 del T.U.). Sarebbe opportuno verificare se la variazione rientra nel limite del 2% rispetto a quanto assentito col progetto originario; in tal caso sarebbe possibile fare affidamento sull'art. 34, comma 2-ter che “salva” le variazioni minime. Diversamente, se esistono i presupposti, la soluzione potrebbe essere quella di avviare l'accertamento di conformità e chiedere un permesso in sanatoria (art. 36 T.U.). (D.P.)

86) Il Comune mi chiede, ad integrazione della segnalazione certificata di agibilità e pena prevoca della stessa, la lettera (mai arrivata) di presa d’atto del Genio civile dell'avvenuto deposito del collaudo, collaudo che io ho già allegato alla pratica e del quale ho ricevuta di deposito avvenuto più di un anno fa. Chiedo quanto sia legittima la richiesta e se l'inadempimento possa motivo di revoca della agibilità e come devo comportarmi.

L'articolo 24, comma 5, let. b) del Testo Unico dell'edilizia, prevede che alla segnalazione certificata di agibilità sia allegato il “certificato di collaudo statico di cui all'art. 67, ovvero, per gli interventi di cui al comma 8-bis del medesimo articolo, dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori”. Le alternative sono due: o il certificato di collaudo non è mai stato rilasciato oppure, se rilasciato, evidentemente, è stato smarrito. Ove il certificato di collaudo non sia mai stato rilasciato, occorrerà valutarne i motivi. Ove, se rilasciato, sia stato smarrito, occorrerà effettuare una ricerca presso gli uffici del Genio Civile ed estrarre una copia autentica del documento che andrà depositato al Comune. Si ritiene che, nel caso in cui la segnalazione di agibilità non dovesse essere corredata della prescritta documentazione, la domanda dovrebbe essere considerata come incompleta e, come tale, priva di ogni effetto e mai presentata. In questo caso il comune non dovrebbe neanche preoccuparsi di revocare l'agibilità in quanto questa sarebbe inesistente in quanto mai ottenuta. Si ricorda che, ai sensi dell'art. 24, comma 3, la “mancata presentazione della segnalazione, nei casi indicati al comma 2, comporta l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464”. Non si comprende cosa intenda dire il lettore con l'espressione “collaudo che io ho già allegato alla pratica” il che apre la strada ad ulteriori alternative. Se il collaudo è stato allegato alla segnalazione certificata di agibilità, abbiamo due possibilità: a) se la pratica è stata spedita al comune, quest'ultimo potrebbe eccepirne la incompletezza; b) se la pratica è stata consegnata a mano e l'ufficio protocollo che ha controllato i documenti presentati dandone ricevuta, vuol dire che il certificato è stato smarrito dall'amministrazione; in tal caso sarà più facile provvedere all'integrazione documentale. Se il collaudo è stato erroneamente allegato alla pratica del Genio Civile (e non alla segnalazione certificata), occorrerà effettuare le ricerche presso gli uffici del Genio Civile. (D.P.)

87) Ho ereditato un appartamento dai miei genitori. A causa della crisi non riesco a venderlo. Fittandolo non ho garanzie da parte dei possibili inquilini. Votrei trasformarlo in B&B ma al Comune dicono che occorre il permesso del condominio. È vero? L'amministratore deve autorizzarmi?

Alcune Regioni cercano di favorire il turismo incentivando l'apertura dei B&B. Alcune norme regionali, subordinano espressamente l'esercizio dell'attività all'autorizzazione del condominio. Tali norme, però, sarebbero incostituzionali (TAR Lombardia, ordinanza del 23/01/2008 confermata dalla Corte Costituzionale 14/11/2008 n. 369; Corte di Cassazione, ordinanza 6 gennaio 2015 n. 7004) in quanto la legge regionale non può disciplinare i rapporti condominiali che rimangono regolati dal codice civile. Secondo la Cassazione (Sez. II civ., 20 novembre 2014, n. 24707) la clausola del regolamento condominiale che vieta “di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato” non impedisce l'apertura del B&B in quanto tale attività può essere esercitata solo in una civile abitazione. Tale clausola, quindi, non vieta di aprire un B&B. La Cassazione, però, precisa (ordinanza 16 gennaio 2015 n. 7004) che è necessario verificare quanto disposto dal regolamento condominiale che potrebbe vietare tale attività. In definitiva, seguirei l'orientamento del Comune in quanto il regolamento condominiale, specie se di origine contrattuale, potrebbe vietare il B&B il cui esercizio rimane sottoposto ad un duplice vincolo: amministrativo (in quanto sarà necessario ottenere le prescritte autorizzazioni) e di natura civilistica (essendo necessario rispettare le norme contenute nel regolamento condominiale). (D.P.)

88)Sto vendendo una vecchia villa (masseria) con relativo terreno (circa 15.000 mq). L'acquirente ritiene che il certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal comune è incompleto in quanto non riporta gli estremi del permesso di costruire relativo alla villa. Chi ha ragione?

Nel caso in esame abbiamo la vendita di una villa (bene principale) e del relativo terreno (bene pertinenziale). L'art. 30 del dPR 380/2001, disciplinando la lottizzazione abusiva dei terreni, prevede (comma 2) che gli atti relativi al “trasferimento … di diritti reali relativi a terreni sono nulli … ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l'area interessata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano quando i terreni costituiscano pertinenze di edifici … , purché la superficie complessiva dell'area di pertinenza medesima sia inferiore a 5.000 metri quadrati.” Il certificato di destinazione urbanistica contiene (comma 4) “la destinazione urbanistica dei terreni secondo gli strumenti urbanistici vigenti o adottati, ovvero l'inesistenza di questi ovvero la prescrizione, da parte dello strumento urbanistico generale approvato, di strumenti attuativi.” Si precisa che l'art. 46 del dPR 380/2001 pone a carico del venditore l'obbligo di dichiarare, in sede di atto definitivo di compravendita, relativamente agli “edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985... gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria.” E' evidente, quindi, che il certificato di destinazione urbanistica è necessario solo per il trasferimento dei terreni (e non degli immobili eventualmente realizzati al loro interno) e dovrà contenere la destinazione urbanistica del suolo allo scopo di evidenziarne l'eventuale potenzialità edificatoria. Si ritiene che, nel caso in esame, il venditore potrà dichiarare che l'immobile è stato realizzato in epoca antecedente al 1967. (D.P.)

89) Ho fatto un condono negli anni novanta per un abitazione rurale. Senonché anche se tutto era stato fatto mi sono dimenticato di trasmettere l'avvenuto accatastamento che pure avevo fatto all'epoca, esattamente nel 1996. dovendo vendere l'immobile mi sono accorto di non avere il titolo autorizzativo che mi è stato prontamente rilasciato, nel mese di febbraio scorso, dopo avere inviato la ricevuta dell' avvenuto accatastamento. la domanda è : per l'agibilità sono da applicare le norme dell'epoca o quelle attuali dato che dal 2016 una norma regionale mi impone di osservare un particolare regolamento in materia ambientale?

Non è dato sapere quale sia la legge regionale a cui fa riferimento il lettore per cui prenderemo in esame le norme nazionali. In primo luogo, occorre considerare che, salvo diverso accordo, l'agibilità non dovrebbe essere un elemento essenziale per la vendita dell'immobile. La circostanza che l'amministrazione abbia rilasciato a febbraio 2018 il titolo in sanatoria, dovrebbe garantire la legittimità dell'intervento anche perché le opere abusive, per essere regolarizzate, devono risultare tali da permetterne l'uso in relazione alla funzione cui sono destinate e, in altre parole, devono essere agibili. Ove si ritenga necessario ottenere un documento formale che attesti l'agibilità, propenderei a favore delle norme attuali anche perché quelle in vigore nel 1990 sarebbero ormai inadeguate. Il DLgs 222/2016 ha modificato sostanzialmente la disciplina contenuta nel dPR 380/01 (art. 24 e segg), trasformando il certificato di agibilità in segnalazione certificata di agibilità (SCAGI) da parte del proprietario. La nuova disciplina prevede che la SCAGI (introdotta nell'ambito della semplificazione delle procedure amministrative) sia necessaria solo in alcuni casi (art.24, comma 2); di conseguenza diventa importante sapere la data di realizzazione dell'immobile (per quelli realizzati ante 1934 l'agibilità è esclusa), le opere eseguite successivamente e quelle oggetto di condono in quanto l'agibilità potrebbe non essere necessaria. (D.P.)

90) Siamo proprietari, di un fabbricato di due piani, avuto in eredità, dove abitiamo. Essendo il fabbricato non antisismico e datato vorremo abbattere e ricostruire con l'ausilio e l'accordo di un costruttore. Una volta ricostruito il fabbricato siamo soggetti a plusvalenza?

La plusvalenza immobiliare può essere considerata come il “guadagno” realizzato da chi, avendo acquistato un immobile ad un determinato valore (per esempio 100), lo rivende per un corrispettivo maggiore (120) , lucrando la differenza (20). La tassazione, in questo caso, colpisce la differenza tra il valore d'acquisto e quello di cessione. La plusvalenza immobiliare, di norma, viene generata da tre tipologie di operazione: 1) lottizzazione di terreni; 2) cessione a titolo oneroso di terreni edificabili; 3) cessione a titolo oneroso di fabbricati e terreni non edificabili, acquistati o costruiti da non più di cinque anni (esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari). Si ritiene che, ove i proprietari dovessero decidere di vendere gli immobili risultanti dall'operazione di demolizione e ricostruzione, si applicheranno le “normali” regole per la vendita delle unità di nuova costruzione. Il problema della plusvalenza potrebbe essere generato dalla tipologia contrattuale con cui vengono formalizzati i rapporti con il costruttore. Se vendo il terreno a 100 e reimpiego tale somma per acquistare un appartamento che viene venduto nel quinquennio a 120, pagherò la plusvalenza sul differenziale tra l'acquisto e la vendita dell'appartamento. Se ho ricevuto in eredità un immobile che vale 100 e affido al costruttore l'appalto per la ristrutturazione dell'immobile che viene successivamente venduto a 120, non sarò soggetto a plusvalenza. (D.P.)

91) I proprietari di un palazzo vecchio non antisismico vogliono dare incarico ad una impresa di abbattere e ricostruire un nuovo palazzo. Una volta costruito il nuovo fabbricato si è soggetti a plusvalenza?

La plusvalenza è un “reddito diverso” maturato da persone fisiche (non esercenti arti e/o professioni) che percepiscono dei proventi al di fuori dell'esercizio dell'impresa. La plusvalenza immobiliare è il “guadagno” realizzato da chi, avendo acquistato un immobile ad un determinato valore, lo rivende per un corrispettivo maggiore, lucrando la differenza. Abbiamo 3 tipologie: 1) plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni; 2) plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni edificabili; 3) plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di fabbricati e terreni non edificabili, acquistati o costruiti da non più di cinque anni (esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari). Il problema della plusvalenza potrebbe venire in evidenza ove l'immobile venga venduto nello stato attuale, in questo caso, si potrebbe discutere se di tratta di vendita del fabbricato in quanto tale o dell'area edificabile. Si è anche discusso dell'ipotesi in cui l'acquirente acquisti l'immobile in corso di costruzione e persino della possibilità di sottoporre a tassazione l'eventuale “bonus volumetrico” ottenuto. Si ritiene che, ove, come nel caso in esame, i proprietari dovessero decidere di vendere gli immobili risultanti dall'operazione di demolizione e ricostruzione, si applicheranno le “normali” regole per la vendita delle unità di nuova costruzione. (D.P.)

92) Buongiorno, chiedo un chiarimento per un intervento riguardante la creazione di un vano tecnico o box protettivo per una caldaia privata posta all'esterno su un terrazzo. Siamo in Friuli Venezia Giulia e vorrei sapere se l'intervento si configura come ristrutturazione edilizia o come manutenzione straordinaria. Grazie e saluti.

La realizzazione di box protettivo della caldaia dovrebbe essere inquadrato all'interno dell'edilizia libera, salvo il caso in cui il regolamento edilizio comunale non prescriva diversamente. La prima sezione del TAR Puglia, con la recente sentenza del 13/02/2018 n. 241 ha ritenuto che un armadio amovibile collocato sul balcone, delle dimensioni di 0,70 cm. x 0,50 cm. x altezza 2,20 mt. con struttura portante leggera in anticorodal con vetri trasparenti, utilizzato per la salvaguardia della caldaia, può essere qualificato con un arredo esterno, di riparo, funzionale alla mera protezione di elementi tecnologici e come contenitore per oggetti, ossia elementi di arredo non suscettibili di abitazione ma utilizzabili per una razionale e ordinata fruizione dello spazio esterno all'appartamento cui accedono. Tale manufatto, per tipologia, funzionalità e dimensioni non configura un aumento del volume e della superficie coperta, non crea o modifica l'organismo edilizio, non altera il prospetto o la sagoma dell'edificio, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d'uso degli spazi esterni interessati, della facile e completa rimovibilità, in quanto solo appoggiato alla parete. La quarta sezione del TAR Campania, con la sentenza del 5 dicembre 2017 n. 5743, ha ritenuto legittima la realizzazione di tre pensiline di m 2,80 x 0,8 x2,7 e una pensilina di m.2,40 x 1x 3,10 considerandole “opere minimali (con profondità esigua considerata l'estensione lineare e l'inclinazione) destinate al riparo della caldaia e degli infissi dalle precipitazioni atmosferiche” la cui realizzazione viene considerata come “manutenzione ordinaria per la loro natura pertinenziale e accessoria e, comunque, per la loro funzione di «mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti» (art. 3 lett. a D.P.R. 280/2001).” La terza sezione del TAR Campania, con la sentenza del 25 ottobre 2017 n. 5015 ha ritenuto che “la realizzazione di un nuovo vano destinato a wc di circa mq. 6 e la costruzione di un vano in alluminio per l'alloggio della caldaia sono interventi di adeguamento tecnologico, consentiti sia dalla normativa urbanistica che dal P.T.P., anche in considerazione delle ridotte dimensioni planovolumetriche”. Secondo la seconda sezione del TAR Venezia 23 febbraio 2016 n. 203 il locale caldaia non determina aumento di volume in quanto “si tratti di un'opera che, per le sue dimensioni (0,83 x 2.00 x h 2,56), la sua collocazione distaccata rispetto all'abitazione, la sua unica funzione di contenere la caldaia, ovvero un impianto tecnologico, può, essa sì, essere considerata un “volume tecnico”, come tale inidoneo ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale.” Secondo la giurisprudenza, quindi, “l'armadietto” a protezione della caldaia non dovrebbe creare problemi particolari. E' anche vero che, proprio il fatto che il caso sia tanto frequente nelle aule dei tribunali dimostra che non vi è chiarezza al riguardo e che i comuni, spesso e volentieri, su denuncia dei “cari vicini di casa” adottano provvedimenti che poi vengono puntualmente annullati dal TAR. Per evitare problemi, inutili grattacapi e costi di giustizia, sarebbe opportuno rivolgersi all'ufficio tecnico del proprio comune per concordare, nei limiti del possibile, il da farsi. (F.L.)

93) Ho acquistato in tempi ed atti di acquisto diversi, un appartamento ed un giardino. Il giardino ha un'accesso diretto dall'appartamento ed un'accesso indipendente dalla strada. Nella definizione delle tabelle condominiali, posso non considerare pertinenziale il giardino all'appartamento?

Non è dato capire quale sia l'obiettivo che il lettore vorrebbe raggiungere; oltretutto sarebbe necessario sapere se il giardino (immagino acquistato successivamente all'appartamento) sia stato acquistato come pertinenza dell'abitazione o meno. Non conosciamo neanche l'attuale situazione catastale; i due immobili, anche se acquistati in tempi diversi e originariamente dotati di due diversi identificativi catastali dovrebbero, attualmente, far parte di un'unica particella catastale. In linea di massima, per quel che sono i dati in possesso, sembrerebbe che, a seguito dell'acquisto, i due beni, contigui tra loro, costituiscano, attualmente, un unico immobile; in altre parole, dovrebbero essersi “fusi” tra loro. A seguito dell'intervenuta fusione, non sarebbe più possibile discutere dell'eventuale rapporto di accessorietà tra l'abitazione (bene principale) ed il giardino (pertinenza) in quanto si tratterebbe di un unico immobile; se parliamo di un bene unitario, il concetto di “pertinenza” viene meno. Ovviamente sarebbe necessario verificare se il regolamento condominiale o l'assemblea (che ha fissato i coefficienti di riduzione necessari a redigere le tabelle millesimali) dettino una “specifica definizione” delle pertinenze e/o dei giardini. (D.P.)

94) Un immobile è stato edificato a seguito di una concessione edilizia unica in capo a un solo committente proprietario del terreno. Successivamente al rilascio della concessione edilizia il terreno è stato oggetto di permuta (ratificata da notaio) con la generazione di due distinte particelle sulle quali l'impresa (permutante) ha edificato in totale abuso. In questo caso il proprietario del terreno può usufruire di una sanatoria stralcio per la propria quota? Preso atto del fatto che il permutante ha ultimato i suoi immobili e li ha venduti anche se in difformità rispetto al progetto approvato con atto pubblico a terzi.

Credo di capire che la situazione è questa: il proprietario del suolo edificabile ottiene un Permesso di Costruire; successivamente conclude un contratto con una impresa di costruzione; in virtù di tale contratto, il proprietario del suolo trasferisce al costruttore l'area edificabile e le relative volumetrie ottenendo, in cambio, alcuni immobili da realizzare, sul medesimo suolo, a cura e spese del costruttore. Orbene, operazioni di questo tipo, normalmente qualificate come “permute” possono essere attuate attraverso varie formule contrattuali, ad esempio: permuta; vendita dell'area edificabile nei confronti del costruttore e parallelo contratto di appalto; vendita dell'area edificabile e parallelo contratto di vendita di bene futuro da ultimare. Ogni possibile formula contrattuale ha i suoi pro e conto e richiede un approfondimento anche in relazione alle singole clausole contenute nei contratti. Diciamo subito che non bisogna illudersi, se sono stati compiuti degli illeciti edilizi, il proprietario dell'area (attuale proprietario degli immobili realizzati su di essa) potrebbe avere dei problemi, specie se risulti essere anche titolare del permesso di costruire. La circostanza che il costruttore ha trasferito i beni a terzi lascerebbe ben sperare in quanto il notaio, in sede di stipula degli atti definitivi di compravendita, dovrebbe aver effettuato le necessarie verifiche sulla regolarità urbanistica ed edilizia dell'intervento. Se gli immobili sono stati venduti, è possibile che gli acquirenti abbiano finanziato l'acquisto tramite un mutuo; anche tale circostanza lascia ben sperare in quanto gli istituti di credito, prima di erogare il finanziamento, verificano la regolarità dell'intervento. In definitiva, la situazione potrebbe essere meno tragica di quanto potrebbe apparire a prima vista ma per avere un quadro preciso sarebbe necessario un esame dei contratti ed una verifica puntuale delle eventuali difformità tra quanto assentito con il PdC e quanto effettivamente realizzato. (D.P.)

LAVORO E SICUREZZA

95) Nel caso in cui in sede di emissione del Sal e del relativo certificato di pagamento a favore dei componenti di un raggruppamento temporaneo di imprese, emerga un'irregolarità contributiva di uno solo dei componenti del raggruppamento temporaneo di imprese, l'importo da trattenere dal certificato di pagamento per essere versato all'ente previdenziale, deve essere trattenuto dalla sola quota spettante al componente inadempiente, ovvero nel caso in cui l'importo dell'inadempienza contributiva risulti superiore alla quota del componente inadempiente verrà trattenuto quota parte anche dalla quota dei componenti in regola cui i medesimi Sal e certificato di pagamento si riferiscono?

Il quesito del lettore non evidenzia se l'appalto pubblico si riferisca ad una Ati di tipo verticale od orizzontale, secondo la definizione data dall'art. 48 del D.Lgs. n. 50/2016. Nel primo caso (tipo verticale), ferma restando la riunione degli operatori economici, nel suo ambito uno di essi realizza i lavori per la categoria prevalente; nel secondo caso (tipo orizzontale), la riunione di operatori economici è finalizzata a realizzare lavori della stessa categoria. Lo stesso art. 48 stabilisce che l'offerta degli operatori economici, raggruppati o consorziati, determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante. Ora si tratta di stabilire se l'ipotetica impresa, in sede di Sal abbia, preso parte all'esecuzione dell'opera o meno, se cioè nella fattispecie ci troviamo di fronte ad una Ati verticale od orizzontale. In quest'ultimo caso l'impresa facente parte del gruppo delle imprese affidatarie, assumendo, tra l'altro gli obblighi di cui all'art. 96 del D.Lgs n. 81/2008, sarà destinataria, insieme alle altre partecipanti all'appalto, della richiesta, da parte della stazione appaltante, del Durc con le eventuali conseguenze di cui all'art. 30, comma 5, del Codice appalti. Ove l'impresa, cui fa cenno il lettore, non prende parte all'esecuzione dell'opera, nessun obbligo sussiste da parte della stazione appaltante la quale in tal caso si rivolgerà per il Durc all'unico affidatario, cioè esclusivamente all'impresa mandataria. È il caso dell'ATI del tipo verticale. Tutto ciò sarà ben evidenziato in sede di offerta ai sensi dell'art. 48, comma 5, del Codice appalti. Lo stesso Ministero del lavoro con interpello n. 19 del 9 giugno 2010 concluse che seppure all'atto dell'affidamento dei lavori la verifica del Durc deve interessare le imprese riunite nell'Ati, al momento del pagamento del Sal, essendo la sola consortile impresa esecutrice e impresa autorizzata dal committente a stipulare contratti di subappalto, la stazione appaltante sarà tenuta a verificare il Durc esclusivamente della società consortile e delle eventuali subappaltatrici. (L.C.)

96) Per potere pagare un Sal è necessaria la regolarità contributiva. Se però un direttore dei lavori è a conoscenza del mancato pagamento delle maestranze cosa deve fare? Vi sono riferimenti normativi che regolano la questione?

I pagamenti all'appaltatore sono sempre subordinati alla presentazione di un Durc aggiornato, da cui risulti la regolarità contributiva all'atto del pagamento. Ne consegue che il Direttore Lavori non dovrà fare altro che chiedere all'impresa, prima di effettuare il pagamento, il Durc aggiornato. (R.M.)

97) Vorrei sottoporre il seguente quesito per il ruolo di datore di lavoro ai sensi del D.Lgs 81/2008. In un comune di popolazione inferiore a 2.000 abitanti che ha individuato all'interno dell'ente tre responsabili dei servizi : tecnico - finanziario - amministrativo, e che ha la figura del Segretario Comunale al quale compete la gestione giuridica di tutto il personale, a chi deve essere affidato il ruolo di datore di lavoro? Rimane in capo al sindaco pro-tempore, oppure deve essere nominato il resp. servizio per ciascuna area?

Al fine di dare una risposta esauriente al lettore sarebbe stato necessario conoscere se i responsabili dei tre servizi, od alcuno di essi, rivesta la qualifica di dirigente. In tal caso sarebbe questi, od uno di questi, ad acquisire la funzione di datore di lavoro ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 81/2008). Peraltro, lo stesso articolo prevede, in subordine, che può assumere la funzione di datore di lavoro, ai fini dell'applicazione del TU sicurezza, anche il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice dell'Amministrazione (quindi anche il Comune) tenendo conto dell'ufficio nel quale svolge l'attività ma soprattutto dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In poche parole il funzionario-datore di lavoro non può e non deve essere condizionato nell'applicazione di tutte le disposizioni applicabili al caso e contenute nel TU, perché di tali azioni o inazioni ne risponde penalmente. Solo in mancanza di tali condizioni, secondo l'art. 97, comma 4, lett. d), del Tuel e tenendo conto dello Statuto o il Regolamento dell'Ente, il segretario comunale potrà assumere la funzione di datore di lavoro con atto formale contenente inderogabilmente il potere gestionale adeguato alle sue competenze, con l'attribuzione del potere di spesa e secondo le regole della delega indicate nell'art. 16 del TU. Pur tuttavia, nei Comuni con meno 5mila abitanti, potrà trovare applicazione l'art. 53, comma 23, della legge n. 388/2000, come modificato dall'art. 29, comma 4, della legge n. 448/2001, il quale consente di attribuire ai componenti dell'organo esecutivo, responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Ciò potrebbe far concludere che la funzione di datore, in assoluta mancanza delle professionalità sopra indicate, potrebbe essere assunta anche dallo stesso Sindaco o da un assessore, tenendo sempre ben presente, però, il contenuto dell'art. 2 del TU il quale stabilisce che “in caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo” (In tal senso anche la Cass. Pen. n. 38840/2005 e n. 38840/2007). Nel nostro caso l'organo di vertice è il Sindaco. (L.C.)

98) La circolare Ministero del Lavoro N. 10/2003 del 28 Marzo 2003 dispone che per le imprese non soggette agli obblighi derivanti dalla legge n.68/99, la dichiarazione di responsabilità attestante la condizione di non assoggettabilità, non necessita di verifica da parte delle Amministrazioni interessate in quanto i servizi provinciali non custodiscono alcuna documentazione concernente la loro situazione. Tale disposizione è ancora valida?

La circolare n. 10/2003 del Ministero del lavoro, alla quale fa cenno il lettore, fa riferimento agli obblighi di assunzione obbligatoria di lavoratori appartenenti alle categorie protette (collocamento obbligatorio) da parte dei datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti ed ai rapporti tra questi e l'ente appaltante in caso di appalto pubblico. In tal caso trovava applicazione l'art. 17 della legge n. 68/1999, il quale stabiliva che le imprese che partecipano a bandi per appalti pubblici o intrattengono rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, erano tenute a certificare l'avvenuto adempimento degli obblighi di assicurazione. Per i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti, che non abbiano effettuato alcuna ulteriore assunzione, in quanto non soggetti agli obblighi derivanti dalla legge in questione, la dichiarazione di responsabilità, attestante le condizioni di non assoggettabilità, non necessitava di verifica da parte delle Amministrazioni interessate in quanto i servizi provinciali non custodivano alcuna documentazione concernente la loro situazione. Con la semplificazione introdotta dall'art. 40, comma 5, del D.L. n. 112/2008 (conv. dalla legge n. 133/2089) è stato soppresso l'obbligo di certificazione, rilasciata dagli uffici competenti, attestante l'ottemperanza alle disposizioni di cui alla citata legge n. 68/1999, da parte delle imprese concorrenti. In relazione a quanto sopra, deve pertanto ritenersi superata anche la citata circolare n. 10/2003. (L.C.)

99 ) Si chiede se una stazione appaltante, in presenza di Psc, possa nel bando di gara indicare come costi della sicurezza (non soggetti a ribasso) la cifra zero e bypassare completamente nel Piano, la stima di questi ultimi. La giustificazione che viene fornita è che tutti i costi della sicurezza sono già compresi nei costi unitari oppure all'interno delle spese generali dell'appaltatore; mentre invece considerano come costi della sicurezza non soggetti a ribasso da esplicitare nella lex di gara solamente i costi da interferenza; nel caso di cui si tratta poi la medesima stazione appaltante aveva escluso anche la presenza di costi da interferenze, mettendo quindi zero nella lex di gara, pur in presenza di opere con rischio di caduta per persone e materiali dall'alto, baraccamenti di cantiere, riunioni di coordinamento, ecc… grazie mille.

Il quesito che pone il lettore sembra un po' avventuroso. Sembra, infatti, che si voglia ipotizzare il costo per la sicurezza nei costi unitari ovvero nelle spese generali, specificando i costi della sicurezza solo se collegati all'interferenza, ovvero neanche in tal caso. Appare dunque doveroso fare un po' di chiarezza sull'argomento. L'art. 100 del D.Lgs. n. 81/2008 (TU sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) nel regolamentare il Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) stabilisce che “ i contenuti minimi del PSC e l'indicazione della stima dei costi della sicurezza sono definiti all'allegato XV e che il PSC è parte integrante del contratto di appalto. A sua volta, il punto 2.1.2 alla lett. l) dell'allegato XV, stabilisce che il PSC contiene almeno, tra i vari elementi, “la stima dei costi della sicurezza”. Ai sensi del successivo punto 4.1 lo stesso allegato prescrive che “ove è prevista la redazione del PSC, nei costi della sicurezza vanno stimati per tutta la durata delle lavorazioni previste nel cantiere, i costi….”, come di seguito riportati. Esaminando la questione posta dal punto di vista del contratto di appalto, l'art. 23, comma 16, del D.Lgs. n. 50/2016 (Codice degli appalti) è ancora più chiaro allorché stabilisce che “nei contratti di lavori e servizi la stazione appaltante, al fine di determinare l'importo posto a base d'asta, individua nel progetto i costi della manodopera sulla base di quanto previsto nel presente comma. I costi della sicurezza sono scorporati dal costo dell'importo assoggettato al ribasso d'asta”. E' evidente, da quanto sopra riportato, che i costi della sicurezza, già presenti nella fase progettuale dell'opera, derivano direttamente dalla discrezionalità delle scelte tecniche fatte dal committente dell'opera stessa, dal suo progettista e rese applicative dal coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e stimate all'interno del PSC. Ciò esclude, dunque, in modo assoluto, che i costi della sicurezza, come individuati dal citato art. 100 del TU e relativo allegato XV, possano essere ricompresi all'interno delle spese generali. Non di meno appare necessaria l'individuazione nel PSC dei costi della sicurezza in “presenza di costi da interferenze”, atteso che sempre l'allegato XV, nell'elencare i contenuti minimi del Piano fa esplicito riferimento ad “una relazione concernente l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all'area ed all'organizzazione del cantiere, alle lavorazioni ed alle interferenze” (punto 2.1.2, c), deteminate, queste ultime, dalla presenza di due o più imprese operanti nel cantiere oggetto dell'appalto. (L.C.)

100) Può essere considerato valido, in attesa del rilascio dell’originale, un attestato di formazione provvisiorio, rilasciato dall'ente certificatore, riportante data, durata ed esito del corso sostenuto dal lavoratore, ai fini della redazione ed accettazione del Pos?

L'art. 37 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 8tU sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro stabilisce che il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza anche in merito ai rischi specifici cui è o potrebbe essere esposto. L’Accordo tra Ministero del lavoro e Regioni nonché le Province Autonome, del 21 dicembre 2011 stabilisce le modalità, procedure e contenuti di tale formazione. Lo stesso Accordo stabilisce altresì che gli attestati di frequenza e di superamento delle prove di verifica vengono rilasciati direttamente dagli organizzatori del corso, individuati sempre nell'Accordo ora citato. L'attestato in parola deve contenere, tra l'altro, la firma del soggetto organizzatore del corso. Poiché l'Accordo non prevede la possibilità di sostituire seppure provvisoriamente l'attestato con altro documento, si ritiene che il datore di lavoro, ai fini dell'adempimento all'obbligo di cui al citato art. 37 del TU, non possa avvalersi di documenti sostitutivi rispetto a quanto previsto dall'Accordo in questione. (L.C.)

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