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Concorsi, se il bando non è chiaro il candidato non va escluso

La clausola secondo cui i candidati devono "riportare" in calce al curriculum il proprio documento di identità è dubbia

di Pietro Alessio Palumbo

Nel caso di clausole del bando ambigue occorre privilegiare la lettura che, piuttosto che ridurre, estenda la platea dei partecipanti al concorso. Ciò al fine di realizzare l'interesse primario dell'amministrazione che è scegliere tra più concorrenti possibile. Secondo il Tar Lazio-Roma (sentenza n. 4158/2022) la clausola del bando secondo cui i candidati devono "riportare" in calce al curriculum il proprio documento di identità è obiettivamente dubbia: il verbo "riportare" non è un sinonimo di "allegare".

In questo come in analoghi casi occorre allora interpretare il bando nel senso più favorevole al concorrente finito sotto la severa lente della burocrazia: non è lui l'autore del bando e ha fatto affidamento su una interpretazione logica di una clausola vaga. E comunque - ha chiarito il Tar - per le domande telematiche non serve allegare un documento d'identità. Secondo il giudice capitolino in presenza di prescrizioni equivoche questi principi sono validi sia per le gare d'appalto che per i concorsi pubblici.

Risponde infatti al pubblico interesse che alla procedura selettiva partecipi il più elevato numero di candidati in applicazione del criterio costituzionale della massima partecipazione di candidati per la miglior selezione dei più capaci e meritevoli.

Per altro verso se è pacifico che le clausole lesive di un bando di concorso pubblico devono essere immediatamente impugnate – tali essendo quelle relative ai requisiti d'ammissione alle prove selettive - è altrettanto indubbio che questa rigidità va esclusa quando le clausole si prestino da parte dell'interessato a più, e ugualmente ragionevoli, interpretazioni.

Nella vicenda il candidato al concorso era stato escluso per non aver inserito copia della carta d'identità nella domanda. Nelle domande inoltrate alla pubblica amministrazione il documento d'identità serve a conferire unità e collegamento tra l'istanza e il titolare del documento; ma anche a comprovare le generalità del dichiarante e "ufficializzare" le responsabilità per le dichiarazioni rese da chi ha compilato i campi. Tale adempimento, che all'evidenza richiede uno sforzo minimo e un sacrificio irrisorio e non seriamente apprezzabile da parte dell'interessato, può essere superato da altri strumenti parimenti sufficienti a dimostrare chiaramente l'identità del sottoscrittore dell'istanza. Nella vicenda la procedura concorsuale aveva previsto l'inoltro della domanda per mezzo di una apposita piattaforma informatica predisposta dall'ente; e tale piattaforma prevedeva l'accesso attraverso specifiche credenziali di autenticazione. Inoltre era stata prevista la comunicazione da parte del concorrente del proprio indirizzo Pec che come è noto è supportato da strumenti di identificazione del mittente. Tant'è vero che la stessa comunicazione al candidato circa l'esclusione dal concorso era avvenuta proprio all'indirizzo PEC indicato. Inserire nel bando un adempimento ambiguo e comunque non necessario è evidentemente irragionevole e illegittimo.

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