Fisco e contabilità

Appalti, sui risparmi da ribasso d'asta l'ostacolo della contabilità

Le economie da impegni nel fondo pluriennale devono confluire in avanzo

di Elena Masini

L'aumento esponenziale dei prezzi dei materiali da costruzione e dell'energia sta ponendo gli enti locali di fronte alla necessità di rivedere al rialzo i quadri economici di spesa delle opere già progettate o addirittura già cantierate, pena il mancato avvio o addirittura il blocco dei lavori. Il tema è di quelli destinati a scaldare gli animi dei sindaci, alle prese con l'utilizzo delle risorse che arrivano dal PNRR e dalle altre linee di finanziamento statale e/o regionale e con la difficoltà di garantire il rispetto dei termini per l'esecuzione e la rendicontazione delle opere. Consapevole del problema il legislatore è intervenuto con norme speciali: l'ultima in ordine di tempo è l'art. 26 del decreto legge 50/2022 ("decreto aiuti"). Il comma 1 riconosce agli appaltatori che hanno presentato offerte entro il 31 dicembre 2021 il diritto ad un adeguamento dei prezzi relativi alle lavorazioni svolte nel corso del 2022, nei limiti del 90% dei maggiori importi che scaturiscono dai nuovi prezziari regionali (al netto del ribasso d'asta offerto in sede di gara).

Per reperire le risorse necessarie a far fronte agli aumenti, le stazioni appaltanti dovranno utilizzare, nel limite del 50%, gli imprevisti nel quadro economico di ogni intervento (fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti) e le eventuali ulteriori somme a disposizione del QTE e stanziate annualmente relativamente allo stesso intervento. Se l'utilizzo delle risorse disponibili dello stesso intervento riveste carattere obbligatorio, rappresenta al contrario una mera facoltà l'utilizzo di risorse di altri quadri economici. A tal fine il medesimo comma 1 consente alle stazioni appaltanti di ricorrere a:
1) somme derivanti da ribassi d'asta di altri interventi, qualora non ne sia prevista una diversa destinazione sulla base delle norme vigenti;
2) somme disponibili relative ad altri interventi ultimati di propria competenza e per i quali siano stati eseguiti i relativi collaudi o emessi i certificati di regolare esecuzione.

L'esercizio di tale facoltà - applicabile, ai sensi del comma 6, anche alle opere le cui gare sono partite nel 2022 - è tuttavia subordinato al rispetto delle procedure contabili della spesa e nei limiti della residua spesa autorizzata disponibile alla data di entrata in vigore del presente decreto. Gli enti si stanno interrogando sulla portata di tale disposizione perché, in caso di insufficienza di risorse proprie, è consentito fare istanza di accesso all'apposito fondo statale per la compensazione dei prezzi. Cerchiamo quindi di capire quale sia il perimetro entro cui è possibile muoversi per trovare i soldi necessari a ristorare gli appaltatori delle opere pubbliche. Le situazioni che si possono presentare sono diverse:

a) Qte chiusi e opere collaudate per le quali le economie sono state cancellate con il rendiconto 2021 e fatte confluire in avanzo. Contabilmente questa è la soluzione migliore in quanto le somme possono essere applicate al bilancio, senza più vincoli se non quelli derivanti dalla natura dell'entrata che aveva finanziato l'opera, e fermo restando i limiti per gli enti che si trovano in disavanzo di amministrazione. Per tale fattispecie, infatti, non è stata prevista la deroga all'art. 1, commi 897 e ss della legge 145/2018, come ci si sarebbe aspettati. Ma è obbligatorio oppure no utilizzare tali risorse per riconoscere l'adeguamento prezzi? Non potrebbe l'amministrazione rifiutarsi di dichiarare l'esistenza di tali risorse ed utilizzarle per nuove spese? La norma non sembra porre un obbligo assoluto in tal senso, preoccupandosi solamente affermare che qualora le risorse residue confluite in avanzo siano già state utilizzate per altri scopi, verranno utilizzate solamente le somme non autorizzate. La scelta, quindi, è rimessa alla valutazione di ogni singolo ente;

b) Qte chiusi e opere collaudate per le quali sussistono disponibilità su impegni assunti in competenza 2021 (e quindi tenuti a residuo) o a competenza 2022 (finanziate dal fondo pluriennale vincolato). In questo caso la situazione si presenta ancora diversa, perché l'ente avrà le risorse sparse su impegni finanziati in competenza attraverso il fondo pluriennale vincolato intestate a differenti capitoli, su missioni e programmi di spesa eterogenei. Diventa quindi veramente difficile rispettare l'integrità del bilancio e garantire la corretta rappresentazione dei fatti gestionali, perché:
1) il rispetto delle procedure contabili impone che le economie su impegni finanziati dal FPV confluiscano in avanzo prima di poter essere spese. In tali circostanze quindi la ditta dovrebbe aspettare maggio 2022 prima di vedersi riconosciuti gli indennizzi, in aperto contrasto con la finalità del legislatore che è anzi quella di far arrivare prima possibile nelle casse delle ditte la necessaria liquidità;
2) pagare le somme a favore della ditta appaltatrice sugli impegni disponibili sui diversi capitoli delle opere, aventi un diverso CUP (e diversa missione/programma), viola le regole contabili ed il principio di inerenza e preclude una corretta patrimonializzazione dell'opera (salvo il caso di effettuare idonee scritture di rettifica);
3) mandare in economia gli impegni finanziati dal FPV di entrata ed utilizzare tali risorse per integrare le disponibilità del capitolo di spesa a cui è intestata l'opera significa non essere poi in grado di compilare correttamente il prospetto di composizione del FPV per missioni e programmi di spesa.

Come spesso accade, appare inconciliabile il rispetto delle procedure contabili con l'esigenza, tutelata dal legislatore, di riconoscere in tempi rapidi agli appaltatori delle opere pubbliche gli aumenti dei prezzi. Un chiarimento ufficiale in tal senso appare quanto mai indifferibile e necessario, per evitare che i dubbi paralizzino l'attività degli enti e vanifichino l'efficacia della disposizione.

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