Amministratori

Province, ritorno all’elezione diretta ma resta l’incognita delle funzioni

Incontro Calderoli-Upi: regia del governo sui Ddl, si parte dal Senato

di Gianni Trovati

«Sono convinto che lavorando uniti nella stessa direzione riusciremo a far tornare a casa Lassie». Il Lassie di cui parla il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli con una battuta delle sue è la democrazia diretta con il voto popolare. La casa a cui deve far ritorno sono le Province, che da quasi dieci anni sono enti di secondo livello con un presidente eletto dai sindaci del territorio e un’assemblea di amministratori locali, e soprattutto con organici ridotti oltre l’osso e bilanci zoppicanti e spesso vicini o dentro il dissesto.

L’idea di resuscitare le vecchie Province cancellate dalla riforma Delrio, concepita come premessa al referendum del 2016 che fra le altre cose avrebbe dovuto cancellare questi enti dalla Costituzione ma è stato bocciato alle urne, non è nuova. È cara da sempre alla Lega, che nel 2018 aveva anche costruito un’intesa con i Cinque Stelle allora alleati nel Conte-1 stoppata però da Luigi Di Maio dopo che questo giornale aveva svelato il progetto perché mal si sposava con la retorica anticasta su cui il Movimento aveva costruito le proprie fortune; ma è vista con favore da quasi tutti i partiti, che in queste settimane hanno presentato varie proposte di legge in questo senso.

Si partirà proprio da lì, ha spiegato Calderoli ieri incontrando i vertici dell’Unione delle Province. L’iniziativa della riforma resterà parlamentare, partendo dai disegni di legge depositati al Senato, ma il ministero farà da «cabina di regia per fare la sintesi fra le diverse proposte per poter raggiungere un risultato concreto in tempi adeguati». L’idea è maturata martedì scorso dal confronto fra lo stesso Calderoli e i gruppi di maggioranza di Camera e Senato: e dovrebbe tradursi a stretto giro nell’avvio delle audizioni che potrebbero già essere calendarizzate dalla prossima settimana. «La concretezza che il ministro ci ha mostrato ci rassicura e ci fa ben sperare», commenta al termine dell'incontro il presidente dell’Unione delle Province Michele de Pascale.

Tutto facile, quindi? Fino a un certo punto.

L’aspetto più evidente del progetto è rappresentato appunto dal ritorno del voto popolare per eleggere i consigli, e delle giunte con gli assessori per supportare il lavoro di un presidente che oggi è di fatto un volontario individuato fra gli amministratori locali del territorio che da solo fa quel che può.

A dispetto di tanti dibattiti sui «costi della politica», dal punto di vista finanziario la questione è quasi irrilevante: le indennità delle vecchie Province costavano poco meno di 114 milioni all’anno, lo 0,0103% della spesa pubblica attuale, e infatti la loro abolizione non ha esattamente condotto al risanamento della finanza pubblica.

Ma il punto più delicato è quello delle funzioni. Con qualche eccezione come la Lombardia, le Province attuali oggi si riducono spesso alla gestione di strade e scuole superiori, faticosa sul piano economico ma non molto significativa su quello politico. Il punto vero è quello di ricreare un portafoglio di competenze che a partire da quelle di programmazione oggi assegnate alle Città metropolitane diano alle Province un ruolo vero di coordinamento del territorio. Ma è una materia ancora tutta da negoziare con le Regioni, che in questi anni hanno acquisito molte funzioni dalle Province lasciate a bagnomaria, e con i Comuni. Che dieci anni fa sono stati i primi sostenitori di una riforma lasciata incompiuta e ora tornata ufficialmente in discussione.

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