Personale

Sul fondo accessorio rebus senza soluzione

Si moltiplicano le incognite operative sul rapporto fra il nuovo contratto nazionale e il tetto alle risorse per il trattamento accessorio previsto dall’articolo 23, comma 2, del Dlgs 75/2016, che ne fissa l’ammontare massimo a quanto previsto allo stesso titolo nel 2016.
Dopo gli ultimi pronunciamenti delle sezioni regionali la questione dovrebbe presto finire al vaglio della sezione Autonomie o, più probabilmente, delle sezioni Riunite.
Il problema che sta creando difficoltà nella certificazione dei fondi 2018, per cui ne vanno inquadrati i termini.
Il contratto nazionale prevede un aumento obbligatorio delle risorse stabili da destinare al trattamento accessorio. L’articolo 67, comma 2, lettera a), stabilisce un incremento del fondo a partire dal 1° gennaio di 83,20 euro per unità di personale in servizio alla data del 31 dicembre 2015. Le successive lettere b) e c) prevedono, sempre in favore delle risorse stabili, incrementi derivanti dalla rivalutazione delle progressioni economiche (differenziali retributivi) effettuate negli anni precedenti a carico del fondo e dall’inserimento della retribuzione individuale di anzianità e degli assegni ad personam del personale cessato dal servizio. L’articolo 67, comma 7, stabilisce però che la quantificazione del fondo delle risorse decentrate e delle risorse destinate agli incarichi di posizione organizzativa (ora fuori dal fondo) dovrà comunque avvenire, complessivamente, nel rispetto dell’articolo 23, comma 2.
La dichiarazione congiunta n. 5 in calce al contratto nazionale afferma che, per gli incrementi previsti dall’articolo 67, comma 2, lettera a) e b), le parti ritengono che, in quanto derivanti da decisioni nazionali, non siano assoggettati ai limiti di crescita dei fondi.

La giurisprudenza
Le sezioni riunite della Corte dei conti, con la delibera n. 6/2018, nel certificare il contratto prendono atto della dichiarazione congiunta 5, quindi propendendo per l’esclusione dal tetto 2016 degli incrementi in questione.
La Sezione Puglia, con la delibera 99/2018, ha ritenuto che non sia sufficiente una dichiarazione congiunta per ampliare le risorse del trattamento accessorio, se le norme del nuovo contratto prevedono che il salario accessorio non potrà superare l’importo massimo stanziato nel fondo 2016. La rivalutazione delle progressioni economiche e gli 83,2 euro per dipendente, da inserire dal 2019, non potranno essere finanziati dal bilancio con risorse addizionali, ma esclusivamente all’interno del fondo, che dovrà rispettare il limite del 2016. Tutto questo, nel presupposto che non spetti alla contrattazione collettiva, tantomeno a una dichiarazione congiunta, interpretare il contenuto di un limite di finanza pubblica.

Il rebus
Insomma, operatori e interpreti (in primis Corte dei conti) sono davanti a un bel rebus. Il contratto nazionale presenta aspetti contradditori, perché incrementa legittimamente le risorse disponibili dopo otto anni di quasi totale blocco del trattamento accessorio (eccetto la finestra del 2015) e subito dopo afferma la cogenza dell’articolo 23, comma 2.
Dall’altro lato ci sono oggettivi problemi di sistema riguardo alla definizione dei vincoli di finanza pubblica e dei soggetti chiamati a delinearne il contenuto in via interpretativa, con possibili ed imprevedibili risvolti anche in altri campi della finanza pubblica. La soluzione del problema, pertanto, passa da un sentiero molto stretto.

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