Amministratori

Consiglio di Stato, l'obbligo di rimuovere le opere amovibili dello stabilimento balneare in inverno deve essere motivato

Nei casi in cui la loro permanenza «possa essere motivatamente ritenuta pregiudizievole per la conservazione e la trasmissione dei valori ambientali e paesaggistici»

di Pietro Verna

L'obbligo di rimuovere le opere amovibili di uno stabilimento balneare nella stagione invernale è ammesso solo nei casi in cui la loro permanenza «possa essere motivatamente ritenuta pregiudizievole per la conservazione e la trasmissione dei valori ambientali e paesaggistici». Il che implica che l'Amministrazione deve esporre le «concrete» ragioni connesse all'esigenza di rimuovere le opere durante il periodo invernale e «parametrare la ragionevolezza del sacrificio imposto al privato [in] relazione alla sua utilità per l'interesse pubblico». Lo ha stabilito il Consiglio di Stato ( sentenza n. 11699/2022) alla luce dell' articolo 8, comma 5, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015 n. 17 (Disciplina della tutela e dell'uso della costa) che prevede che le opere amovibili funzionali all'esercizio dell'attività balneare «possono essere mantenute per l'intero anno solare».

La vicenda trae origine che dalla pronuncia del Tar Puglia- Lecce n. 1710/2017 che aveva accolto il ricorso proposto dal concessionario di uno stabilimento balneare contro il provvedimento con il quale il Comune di Otranto aveva negato l'autorizzazione al mantenimento in situ di alcune opere amovibili(una passerella aerea in legno e un cancello), in ragione del seguente parere reso dalla Soprintendenza: «Il mantenimento annuale delle strutture […] non consentirebbe il ricostituirsi dei fattori naturali (dune e vegetazione autoctona) durante il periodo invernale in cui l'area non è interessata da frequentazione massiccia, condizione che potenzialmente costituisce fattore di rischio per la progressiva erosione costiera in atto […]».

Il Tar aveva rilevato che il diniego al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica al mantenimento delle strutture avrebbe dovuto essere supportato da «specifiche esigenze di protezione dell'ambiente diverse ed ulteriori rispetto a quelle ritenute compatibili con l'esistenza dell'impianto nel periodo balneare, tanto più ove si consideri che in conseguenza di tali operazioni di smontaggio e successivo rimontaggio [ i] danni prodotti all'ambiente circostante potrebbero essere maggiori rispetto ai potenziali benefici»(in senso conforme: Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13 maggio 2016, n. 1936; Tar Puglia- Lecce, sentenza 18 novembre 2011, n. 1991).

Il Consiglio di Stato ha deciso che:
• la richiesta dell'autorizzazione paesaggistica «imponeva una risposta puntuale e adeguata, calibrata sulla verifica dei prevedibili rischi ambientali e paesaggistici»;
• l'obbligo di rimozione «non ha ragione di essere ove non sia motivatamente dimostrata la sussistenza di pericoli per l'ambiente o per il paesaggio, oppure ove la rimozione autunnale, lo stoccaggio invernale e la conseguente ricostruzione primaverile risultino maggiormente dannose o pericolose o comunque invasive per l'ambiente rispetto al mantenimento in situ del manufatto»;
• la natura temporanea e stagionale dei manufatti non consente di attribuire automaticamente agli stessi il carattere di opere destinate a permanere sui luoghi «solo nella stagione estiva».

Ciò non mancando di evidenziare la «contraddittorietà» del parere reso dalla Soprintendenza rispetto allo stato dei luoghi accertato nel primo grado di giudizio («[I] manufatti sono posti a ridosso delle strutture preesistenti, al di fuori dell'arenile e al di sotto delle dune […] di modo che la loro presenza invernale non altera il paesaggio costiero sia se visto dal mare sia se visto dalla pineta») e alle disposizioni del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale- PPTR atteso che in tale piano non figurano «previsioni che impongono l'onere generale per gli esercenti degli stabilimenti balneari di rimuovere annualmente tutti i manufatti».

Da qui la pronuncia in narrativa che conferma l' orientamento secondo cui nella motivazione del diniego di autorizzazione paesaggistica l'Amministrazione non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve specificare le ragioni del diniego, ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell'area interessata dall'apposizione del vincolo (Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 2 maggio 2018 n. 2620; in senso conforme, sentenza 5 dicembre 2016 n. 5108: è insufficiente la motivazione del diniego all'istanza di autorizzazione fondata su una generica incompatibilità, non potendo l'Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale).

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