Urbanistica

Rigenerazione urbana, la legge modello Milano finisce su un binario morto al Senato

È un’altra delle vittime illustri dello scioglimento anticipato della legislatura

di Giorgio Santilli

La legge Giovannini sulla rigenerazione urbana, una delle grandi riforme per modernizzare l’Italia e ridare slancio alle città, finisce sul binario morto al Senato, senza più nessuna possibilità di essere ripescata. È un’altra delle vittime illustri dello scioglimento anticipato della legislatura.

A poco è servito l’impegno del ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, nell’ultimo anno e a poco è servito il giudizio favorevole e unanime che hanno espresso Regioni, comuni, sindacati, Confindustria, Ance sull’ultimo testo del governo, presentato in commissione Ambiente del Senato.

Alla fine ha prevalso su tutto il siluro lanciato a inizio marzo dalla Ragioneria generale dello Stato al testo che faticosamente Giovannini aveva ricomposto, ottenendo il consenso unanime, tutt’altro che scontato, delle forze politiche. Dalla Ragioneria era arrivato un parere che non solo aveva puntigliosamente stroncato le coperture di molte singole norme del disegno di legge (senza proporre soluzioni) ma aveva concluso che «per quanto sopra esposto si esprime parere contrario all’ulteriore corso del provvedimento». Un verdetto di inedita durezza e senza appello per una riforma sostenuta dal governo.

A nulla sono serviti, visti oggi, neanche gli incontri che erano seguiti a quel parere tra lo stesso Giovannini e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, e l’accordo raggiunto per sbloccare la legge. Il provvedimento aveva appena ripreso il cammino quando la crisi di governo l’ha definitivamente affossato.

«È il 76° provvedimento di riforma delle regole urbanistiche in 26 anni», aveva denunciato l’ex presidente dell’Ance, Gabriele Buia. Ora si può solo aggiungere amaramente che si tratta del 76° provvedimento affossato in 26 anni: la maledizione delle regole urbanistiche continua a perpetrarsi e - nonostante la larga convergenza sul fatto che bisognerebbe scrivere un nuovo quadro legislativo per passare dall’era dell’espansione edilizia a quella della rigenerazione senza consumo di suolo - dal Parlamento anche stavolta la risposta non è arrivata. Se ne riparlerà, forse, nella prossima legislatura.

La novità sostanziale dell’ultimo testo Giovannini era, rispetto alle versioni precedenti, il tentativo di coinvolgere i soggetti privati, aprendo uno spazio per le loro proposte. Per questo si era parlato di «modello Milano».

In particolare l’articolo 7 prevedeva che «nella more della definizione della programmazione comunale, i progetti di rigenerazione presentati da promotori privati possono essere approvati in base alla valutazione del loro interesse pubblico e dell’equilibrio del piano economico finanziario dell’intervento». Un salto culturale che assegna al privato la possibilità di proporre anche al di fuori degli strumenti urbanistici definiti dal comune e di intervenire, comunque in accordo con l’amministrazione comunale.

D’altra parte l’impianto della «legge Giovannini» puntava fortemente su finalità pubbliche e orientate alla sostenibilità: favorire il riuso edilizio, migliorare la permeabilità dei suoli urbani, realizzare infrastrutture strategiche per lo sviluppo ecosostenibile del territorio, privilegiare interventi di densificazione urbana per combattere il fenomeno dello sprawl, applicare il criterio del «saldo zero» per il consumo di suolo, tutelare i centri storici, integrare sistemi di mobilità sostenibile con il tessuto urbano delle aree rigenerate, favorire l’edilizia sociale e la partecipazione dei cittadini alla progettazione e alla gestione dei programmi di rigenerazione urbana, attirare gli investimenti privati orientati a obiettivi pubblici, elevare la qualità della vita nei centri storici come nelle periferie «con l’integrazione funzionale di residenze, attività economiche, servizi pubblici e commerciali, attività lavorative, tecnologie e spazi dedicati al coworking e al lavoro agile, servizi e attività sociali, culturali, educativi e didattici promossi da soggetti pubblici e privati, nonché spazi e attrezzature per il tempo libero, per l’incontro e la socializzazione, con particolare considerazione delle esigenze delle persone con disabilità». La proposta rilancia, inoltre, le politiche urbane del governo attraverso la costituzione del comitato interministeriale per le politiche urbane (Cipu), rimediando a un’assenza che dura da quasi trenta anni, da quando è stato soppresso il ministro delle Aree urbane. Da ultimo era stato recuperato nel teso, in accordo con il ministro Franco, anche un fondo nazionale per incentivi e programmi che favorissero lo scongelamento delle città, in aggiunta ai progetti del Pinqua (Programma integrato nazionale per la qualità dell’abitare) finanziati dal Pnrr.

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