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Comunali 2021, Roma e Torino sfide clou per le coalizioni

Nelle due città si potrà valutare lo stato dei rapporti tra Pd e M5s e la praticabilità della loro alleanza per le prossime politiche

di Roberto D’Alimonte

Sono sei i comuni capoluogo di Regione che andranno al voto questa domenica. Due, Roma e Torino, governati dal M5s. Due, Milano e Bologna, governati da Pd e alleati. Uno, Trieste, governato dal centrodestra in quota Forza Italia. Uno, Napoli, governato da quella figura anomala che è Luigi De Magistris. Già lunedì sera si avranno alcuni verdetti. Quasi certamente è il caso di Bologna dove il candidato del centrosinistra Lepore è da tempo sopra il 50% delle intenzioni di voto. Anche Sala a Milano potrebbe farcela già al primo turno. Lo stesso vale per il candidato del centrosinistra a Napoli, Manfredi. Negli altri casi è praticamente certo che sarà il ballottaggio a decidere chi vince.

I due ballottaggi di gran lunga più interessanti saranno quelli di Roma e di Torino, come nel 2016. In primo luogo perché, per ragioni diverse, sono i più incerti. In secondo luogo perché il loro esito potrebbe avere qualche effetto sull’evoluzione dei rapporti interni alle due coalizioni e dentro singoli partiti, Lega e M5s soprattutto. In terzo luogo perché dal conteggio di vincenti e perdenti dipenderà l’impatto mediatico e politico di questa tornata elettorale. È stato così anche nel 2016 con la sorprendente vittoria del M5s con la Appendino a Torino e la Raggi a Roma. In entrambi i casi il successo fu dovuto a due fattori. Il primo è che sia la Appendino che la Raggi riuscirono ad andare al ballottaggio contro due candidati del centro-sinistra superando i candidati del centro-destra. Dopodiché al secondo turno vinsero grazie ai voti di tanti elettori di Forza Italia e della Lega che sfruttarono l’occasione per sconfiggere Fassino a Torino e Giachetti a Roma e così facendo indebolire il Pd e il governo. Erano i tempi in cui Renzi e il Pd erano in caduta libera e il M5s era diventato una sorta di “partito della nazione”, un partito trasversale capace di prendere voti in tutto lo spettro politico.

Oggi è cambiato tutto. A Torino è impensabile che la candidata del M5s Valentina Sganga vada al ballottaggio. La sfida sarà tra Stefano Lo Russo, candidato del centro-sinistra e Paolo Damilano, candidato del centro-destra. Una sfida interessante che vede in campo un rappresentante della società politica (Lo Russo è uomo di partito) e uno della società civile (Damilano è un imprenditore). Alle ultime europee a Torino il Pd ha preso il 33,5% e il centro-sinistra nel suo complesso oltre il 43%, con il centro-destra al 40% e il M5s al 13,3%. Ma le comunali sono una altra cosa. La competizione è aperta e potrebbe essere decisa proprio dagli elettori del M5s che in assenza della loro candidata al ballottaggio dovranno decidere se restare a casa o votare per uno dei due candidati ancora in lizza. Visto come vanno le cose tra il Pd di Letta e il M5S di Conte a Roma sarà interessante vedere come andrà a finire. Se prevarranno i risentimenti accumulati in cinque anni di governo Appendino o i calcoli legati alle future elezioni politiche. E a Torino e Roma, più che a Napoli e Bologna dove sono alleati, che si potrà valutare lo stato dei rapporti tra Pd e M5s e la praticabilità della loro alleanza in vista delle prossime politiche.

A Roma la situazione è diversa. A differenza di Torino non si può dire che la Raggi non abbia alcuna chance di arrivare al ballottaggio. Dopo Michetti che probabilmente sarà il più votato al primo turno, il favorito per il secondo posto a disposizione sembra essere Gualtieri. Ma il suo margine di vantaggio non è decisivo e il suo appeal lascia a desiderare. Né si può trascurare Calenda che vista l’incertezza dominante potrebbe risultare la grande sorpresa di queste elezioni. Come abbiamo detto in altre occasioni, il primo turno a Roma è una lotteria. Nel caso in cui la Raggi non ce la facesse a prendere un voto più di Gualtieri e Calenda al primo turno sarà interessante capire come si comporteranno i suoi elettori al ballottaggio. L’astensionismo sarà una variabile importante. Ma lo scenario più intrigante è quello in cui la Raggi va al ballottaggio. A quel punto il Pd dovrà decidere se appoggiarla o meno, pensando cosa potrebbe succedere a Torino (al secondo turno) o a Napoli (in entrambi i turni) se non lo facesse.

Dunque, esiste una concreta possibilità che Pd e alleati possano vincere in cinque capoluoghi di regione su sei: Milano, Bologna e Napoli quasi certamente; Torino e Roma forse. Tra l’altro a Bologna e Napoli Pd e M5s si presentano uniti. A Trieste invece il candidato del centro-destra, che è il sindaco uscente, dovrebbe riuscire a ottenere la riconferma. Per uno schieramento di centro-sinistra che a livello nazionale viene dato perdente sarebbe un risultato notevole da sfruttare sul piano mediatico. Dai due capoluoghi governati oggi potrebbe passare addirittura a cinque. Naturalmente Berlusconi, Salvini e Meloni non mancheranno di far notare che da sempre nei grandi comuni il centro-sinistra va meglio, ma che in Italia la maggior parte degli elettori vive in comuni piccoli e medi in cui tende a prevalere il centro-destra. È vero. E una analisi più dettagliata del risultato di questa tornata elettorale potrebbe confermare questa tesi. Ma sul piano mediatico sarà il voto nelle grandi città a pesare.

Come è spesso successo in passato, anche questa volta il voto locale avrà ripercussioni a livello nazionale. Certamente non sul governo. Draghi ha poco da temere. Ma ci saranno le solite baruffe tra i partiti e dentro i partiti. Gli oppositori di Salvini e quelli di Conte non mancheranno di sfruttare eventuali sconfitte dei loro partiti per contestarne la linea politica. Ma almeno nel breve termine è difficile che ci siano conseguenze rilevanti. Fino a febbraio 2022 il contesto resterà sostanzialmente stabile. In ogni caso è bene dire chiaramente che è impossibile da questo voto trarre conclusioni attendibili sulla distribuzione dei voti alle politiche. Sono troppi i fattori locali e le liste civiche che interferiscono sulla espressione delle preferenze per i partiti nazionali. Qualcosa si potrà dire sulle tendenze in corso ma con molte cautele. Insomma non si deve cadere nell’errore di utilizzare i dati di queste elezioni per prevedere quello che potrebbe succedere nel 2023 o prima.

Resta il fatto che dopo i ballottaggi del 17-18 ottobre si conteranno comunque vincenti e perdenti e come sempre ciascuno userà i criteri a lui più convenienti. Quello delle vittorie nei capoluoghi di Regione è uno di questi. Cui andrà aggiunto però il risultato della Calabria, che la presenza della lista de Magistris, rende indecifrabile e quello delle suppletive a Siena dove una eventuale sconfitta di Letta annullerebbe del tutto per il Pd l’effetto positivo del successo nei capoluoghi di Regione.

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