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Stipendi senza tetto ai vertici di ministeri e forze armate

Forte disappunto di Palazzo Chigi contro il blitz dei partiti. Dal Mef solo lavoro tecnico

di Marco Mobili e Gianni Trovati

Nel pieno della battaglia elettorale in vista del voto del 25 settembre i partiti trovano un momento di intesa; e lo fanno per cancellare il tetto dei 240mila euro lordi all’anno che fin qui ha limitato tutti gli stipendi riconosciuti dalla Pa.

La novità arriva con un emendamento inserito all'ultima curva nella legge di conversione del decreto Aiuti-bis approvato ieri al Senato, e ora atteso domani alla ratifica a Montecitorio dove non ci sono i tempi per altre modifiche che imporrebbero un'impossibile terza lettura. Il correttivo, approvato nonostante il forte disappunto arrivato da Palazzo Chigi anche per il metodo del blitz all'ultimo minuto utile dell'ultimo intervento normativo parlamentare prima delle elezioni, ha superato anche la resistenza al ministero dell’Economia, dove la verifica delle coperture ha impedito lo stop per ragioni contabili. Perché le coperture ci sono. Resistenza flebile secondo più di una fonte: il Pd parla di emendamento di Forza Italia riformulato dal Mef, annunciando un ordine del giorno alla Camera per modificare la norma, il leader di Iv Matteo Renzi spiega che «purtroppo abbiamo dovuto votarlo per non far saltare tutti i 17 miliardi di aiuti», e anche i Cinque Stelle annunciano battaglia. Il Mef replica spiegando di aver dato solo un «contributo tecnico», ricordando che l’applicazione della norma richiede un provvedimento attuativo. Insomma: il correttivo è stato approvato da tutti, ma non piace quasi a nessuno.

Il limite dei 240mila euro scompare per un selezionatissimo gruppo di alti vertici della pubblica amministrazione. I fortunati che spuntano l'aumento sono in pratica i vertici delle Forze armate e dei ministeri. Rientrano nel gruppo il capo della polizia, i comandanti generali di Carabinieri e Guardia di Finanza, il capo dell’amministrazione penitenziaria, i capi di Stato maggiore di difesa e Forze armate, il comandante del Comando operativo di vertice interforze, e il comandante generale delle Capitanerie di Porto. Ma, soprattutto, accanto a loro ottengono la deroga tutti i capi dipartimento e i segretari generali di presidenza del Consiglio e ministeri.

Per tutte queste figure il «trattamento accessorio», cioè le voci che si aggiungono allo stipendio di base e che negli scalini più alti della gerarchia sono le voci dominanti della retribuzione, potranno superare il tetto. Per arrivare a dove? Un nuovo limite generale ex ante non è fissato: a definire i confini entro i quali potranno muoversi le retribuzioni di questi alti vertici ministeriali e delle forze armate è la capienza di un fondo del ministero dell’Economia nato per le «esigenze indifferibili» e ora chiamato a finanziare la misura: giudicata, evidentemente, indifferibile a Palazzo Madama.

In realtà, quello arrivato ieri è solo il colpo più duro a un tetto agli stipendi pubblici che è in discussione da tempo, almeno dalle parti dei pochi (ma importanti) che sono più direttamente interessati alla questione. Il limite era stato introdotto a fine 2011, quando il decreto Salva-Italia (Dl 201/2011, articolo 23-ter) rappresentò l’esordio del governo Monti nella battaglia contro il rischio default del Paese, per essere poi rivisto nel 2014 all’nizio del governo Renzi. Altri tempi.

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