Fisco e contabilità

Canone unico, al buio le modalità di calcolo del tetto alle tariffe

Da chiarire la legittimità di extragettiti da lotta al nero o da nuove basi imponibili

di Pasquale Mirto

Sono diversi i dubbi per i Comuni alle prese con le tariffe del canone unico patrimoniale (Cup) che dal 2021 ha sostituito la tassa di occupazione di suolo pubblico e l’imposta di pubblicità o i relativi canoni.

Lo spazio di manovra tariffario sembra blindato dalla previsione che le tariffe previste dai Comuni debbano assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono stati sostituiti dal Cup, fatta salva la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle singole tariffe.

Non esistono quindi tariffe massime per le singole fattispecie, ma c’è un vincolo complessivo, di cui occorre dare atto espressamente nella delibera di approvazione delle tariffe (Tar Lazio, n. 3248/2022; Tar Veneto, n. 1428/2021).

La ratio dovrebbe essere ricercata nella considerazione che gli oggetti imponibili Cup non sono gli stessi dei prelievi soppressi. E tuttavia si tratta di previsione normativa eccentrica, in quanto si fonda sull’erroneo presupposto che la base imponibile sia sempre la stessa.

La normativa non individua in modo puntuale il parametro di riferimento, nel senso che non è chiaro se si debba fare riferimento al gettito del 2020, che risente ovviamente della pandemia Covid, oppure alla media del triennio antecedente al 2021, o altro. Inoltre, le basi imponibili variano, sicché ben può essere che nel 2021 il Comune sia riuscito ad articolare le tariffe in modo da garantire l’invarianza complessiva, ma poi il gettito 2022 sia calato o aumentato a seguito di campagne di contrasto all’evasione che hanno fatto emergere nuova base imponibile. Il Comune dovrebbe abbassare le tariffe? Il vincolo dell’invarianza deve essere rispettato nell’anno in cui si deliberano le tariffe, risultando ininfluenti le successive variazioni di gettito conseguenti alla mobilità degli oggetti imponibili? E in caso di invarianza delle basi imponibili complessive, è possibile almeno rivalutare annualmente le tariffe in base all'indice Istat dei prezzi al consumo? Sono tutti interrogativi che dovrebbero avere una risposta ufficiale, per evitare una babele applicativa.

L’unico caso in cui il legislatore ha previsto un meccanismo di adeguamento automatico è quello relativo alle occupazioni di sottosuolo per la fornitura dei servizi in rete. La norma prevede l’applicazione di una tariffa forfettaria di 1,50 euro a utenza per i Comuni fino a 20mila abitanti, e di un euro a utenza per quelli con popolazione superiore, con un minimo dovuto di 800 euro. Il comma 831, della legge 160/2019 prevede poi che «gli importi» (senza distinguere tra importi a utenza e importo minimo) sono rivalutati annualmente in base all’indice Istat dei prezzi al consumo rilevati al 31 dicembre dell’anno precedente. Questo vuol dire che, già nel 2022, sia la tariffa forfettaria a utenza sia l’importo minimo di 800 euro dovevano essere rivalutati, e ora occorre procedere alla rivalutazione prevista per il 2023 sulla base dell’indice Istat al 31 dicembre 2022.

Peraltro l’aumento tariffario è automatico, e non necessita di un espresso recepimento con delibera comunale, sicché dovranno essere direttamente gli operatori a versare l’importo aggiornato entro il 30 aprile.

Lo stesso meccanismo di adeguamento tariffario automatico è previsto anche per il cosiddetto “canone antenne”, pari 800 euro a impianto.

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